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A conclusione dell’Anno della vita consacrata

La vita consacrata è uno dei frutti che meglio evidenziano la fecondità e la bellezza del grande albero su cui veniamo innestati mediante i sacramenti dell’iniziazione cristiana. La grazia del Battesimo ci dona la filiazione divina e tale esperienza rigenerante è custodita e alimentata mediante la Cresima e l’Eucaristia, sacramenti che segnano una cosciente e sempre crescente esperienza esistenziale di tale filiazione battesimale. Quando c’è la chiamata a una forma di vita di speciale consacrazione, tale grazia può e deve produrre il “cento per uno” (cf. Mt 13,8). Dice bene il profeta: «Il Signore fin dal seno materno mi ha chiamato, fin del grembo di mia madre ha pronunziato il mio nome» (Is 49,1). Ancor più propriamente questo lo si può dire riferendosi al grembo materno della Chiesa che ci genera alla vita in Cristo, ci nutre di Lui e ci colma del suo Spirito.

Non deve perciò stupire il fatto che non di rado semplici bambini e adolescenti dimostrino di avere profonde e luminose intuizioni a proposito della fede e delle cose di Dio. Nel compiere il discernimento vocazionale ho avuto spesso modo di constatare che le vocazioni più autentiche e solide affondano le radici nella intensa vita sacramentale della prima età e fin da allora si sono in certo modo rivelate. Poi di anno in anno, durante la crescita umana, si è pure andato configurando sempre più chiaramente il volto interiore dei chiamati, si è manifestato il loro specifico dono. Personalmente potrei dire che nel ricevere la prima volta il sacramento dell’Eucaristia ho avvertito – pur senza saperlo esprimere – la forza dell’incorporazione a Cristo e ai fratelli; e nel ricevere il sacramento della Confermazione ho quasi letteralmente fatto l’esperienza dello Spirito che in noi, con impeto d’amore, chiama il Padre e lo loda e lodandolo lo annunzia.

Nella professione religiosa tale unione con Cristo, già realizzata con il Battesimo, si sviluppa, perché il consacrato inizia, con il dono totale di sé a Dio, un cammino di conformazione più compiutamente realizzato e più liberamente scelto e di giorno in giorno riconfermato. Infatti i voti della Professione religiosa – obbedienza, verginità, povertà – uniscono, per libera e consapevole adesione, più intimamente a Cristo, Figlio obbediente, tutto consacrato alle “cose del Padre” suo e tutto offerto per i fratelli. Entrando nel mondo, in quanto Uomo, in quanto nuovo Adamo, il Cristo offre al Padre il sacrificio di se stesso – obbedienza filiale – a riscatto della disobbedienza del primo Adamo: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta,/ un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco, io vengo – perché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà» (Eb 10,6-7). Tale adesione alla volontà del Padre ha spinto Gesù fin sulla croce, e la sua obbedienza ha redento il mondo in forza dell’amore con cui egli ha detto al Padre il suo sì per noi. Per dono di grazia e libera scelta d’amore, i consacrati si uniscono a Lui nell’adesione piena alla volontà salvifica del Padre.

Questa obbedienza non è un giogo imposto dall’esterno; non è un peso che ci schiaccia, ma un’esigenza che nasce e cresce dentro il cuore del consacrato in forza dello Spirito Santo che, riversato nel suo cuore, lo rende capace di amare filialmente Dio (cf. Rm 5,5.8) e di fare ogni cosa cercando la sua gloria e il bene dei fratelli. Bisogna quindi che ogni consacrato metta Dio al primo posto nel proprio cuore, nella propria vita, per attingere proprio da Lui, Amore fontale, la carità misericordiosa verso tutti gli uomini. Per non lasciarsi, quasi inavvertitamente, guidare dallo spirito mondano è necessario vigilare attentamente su di sé e insieme guardare a Cristo, nostro divino Modello. «Come figli obbedienti – ammonisce l’apostolo Pietro – non conformatevi ai desideri di un tempo, quando eravate nell’ignoranza, ma, come il Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta. Poiché sta scritto: Sarete santi, perché io sono santo. E se chiamate Padre colui che, senza fare preferenze, giudica ciascuno secondo le proprie opere, comportatevi con timore di Dio nel tempo in cui vivete quaggiù come stranieri…

Dopo aver purificato le vostre anime con l’obbedienza alla verità per amarvi sinceramente come fratelli, amatevi intensamente, di vero cuore, gli uni gli altri» (1 Pt 1,14-23 passim). Parola esigente, ma rinnovatrice; Parola così semplice, chiara e attinente al concreto della vita quotidiana, da non lasciare spazio ad alibi per disattenderla e barare al gioco con Dio. Chi è dunque il consacrato di Dio? È figlio nel Figlio; è l’uomo che, continuamente scegliendo di essere di Cristo, non si lascia asservire dagli idoli del mondo o dalle passioni che sempre cercano di insorgere dal profondo della sua natura ferita; combatte contro lo spirito di superbia e di autonomia e si lascia guidare dallo Spirito filiale per fare di tutta la sua esistenza un autentico culto a Dio, un’offerta. È in questo senso che fa sua l’esortazione di san Paolo ad offrire il proprio corpo – la propria persona – «come sacrificio vivente», santo, gradito al Padre perché unito a quello del Figlio Unigenito (Rm 12,1-2). Così trasformato, potrà «discernere la volontà di Dio, e davanti ad ogni situazione – specialmente di prova – saprà intravedere con fede il disegno provvidenziale di Dio che tutto fa concorrere alla salvezza universale. Tutto, dunque, gli diventa accettabile, anzi, adorabile. Allora vive l’obbedienza quale “martirio” della coscienza consumato giorno per giorno nel gaudio dello Spirito Santo. Si tratta, in definitiva, di perseguire l’ideale evangelico della santità, ossia la conformazione a Cristo, Figlio dell’eterno Padre, ma in modo tale da irradiarlo, come vive icone dalle quali promana il fascino della divina Presenza.