Considerazioni sull’Encilica «Laudato si’»
di Mario Carrera
«Le creature di questo mondo non possono essere considerate un bene senza proprietario: “Sono tue, Signore, amante della vita”(Sap 11,26). Questo induce alla convinzione - ha scritto papa Francesco nell’enciclica “Laudato si’” - che, essendo stati creati dallo stesso Padre, noi tutti esseri dell’universo siamo uniti da legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale, una comunione sublime che ci spinge a un rispetto sacro, amorevole e umile».
Questo «rispetto umile» era nel DNA della santità di don Guanella; per lui tutto era sacro: dalle persone a questa «stanza senza pareti», che è il nostro mondo. Niente di questo mondo ci è indifferente e per don Guanella tutto era interessante e meritevole di attenzione. Dice papa Francesco: «Tutto l’universo materiale è un linguaggio dell’amore di Dio, del suo affetto smisurato per noi. Suolo, acqua, montagne, tutto è carezza di Dio.
La storia della propria amicizia con Dio si sviluppa sempre in uno spazio geografico che diventa un segno molto personale, e ognuno di noi conserva nella memoria luoghi, il cui ricordo gli fa tanto bene. Chi è cresciuto tra i monti, o chi da bambino sedeva accanto al ruscello per bere, o chi giocava in una piazza del suo quartiere, quando ritorna in quei luoghi, si sente chiamato a recuperare la propria identità». Luigi Guanella, figlio dei monti e della natura aspra delle sue valli, in tutte le persone, con i suoi occhi celesti scorgeva una luminosa scintilla di Dio che brillava con la luce del vero, del buono e del bello.
Il vero era la capacità di scoprire il senso del vivere. Il buono era il frammento di bontà divina che tutti abbiamo nascosto nel cuore. Il seme del bello in ogni creatura è simile a una splendida cattedrale, dove Dio abita. In ogni creatura umana lo specchio della bellezza non è rintanato in un tugurio o in una catapecchia ma in una casa, dove si respira la tenerezza dell’amore. La tenerezza è la melodia del grazie per il dono della vita, è il canto di gioia nel sentirsi amati. Per questo la vita di san Luigi Guanella è stata un costante pellegrinare nelle strade degli uomini alla ricerca di perle preziose da far emergere in particolare dalla fragilità delle persone le cui risorse del vero, del buono e del bello erano imprigionate nel profondo dell’animo. In ogni frammento di fragilità umana egli trovava un seme di speranza; per questo il suo spirito, fidandosi della paterna bontà di Dio, scommetteva con fiducia l’investimento di energie così da favorire benessere in persone ferite nella vita. Don Luigi sentiva la natura come il respiro di Dio. Negli anni giovanili aveva suggerito al papà sindaco del comune di incanalare l’acqua da una sorgente sovrastante le povere abitazioni di Fraciscio. Fin dagli anni giovanili il suo animo diventava triste quando percorreva l’ultimo tratto di strada che congiungeva la Val Chiavenna con la Valtellina. Una domanda senza risposta si presentava alla sua mente passando tra paludi stagnanti, spesso origine di malattie e di infezioni. Lui, montanaro abituato a rubare alla montagna anche un minuscolo pianoro di terra fertile per recuperare una manciata di fieno, ogni volta, si chiedeva perché quella terra da madre feconda era ridotta a sterile matrigna.
All’inizio del 1900, prendendo maggior consistenza le case della carità gestite dalle sue congregazioni religiose, don Guanella aveva intuito e attuato per le persone con handicap psichico la pedagogia riabilitativa attraverso il lavoro e anche qui ha giocato la scommessa alleandosi con la madre-terra, ridonando alla terra la fecondità come grembo di vita e alle persone disabili la gioia di partecipare alla crescita della natura, amata solidale compagna di vita. Dirà padre Agostino Gemelli, fondatore dell’Università Cattolica di Milano: «quello che la scienza psichiatrica non è riuscita a conquistare, don Guanella l’ha raggiunto con la pedagogia del lavoro». I risultati di questa pedagogia si videro nell’arco di pochi anni, con la realizzazione della bonifica di un territorio paludoso su cui è sorto un paese, Nuova Olonio san Salvatore. Per questo lavoro don Guanella ricevette da prima un’onorificenza dallo Stato Italiano con una medaglia d’argento e poi, pochi mesi prima della sua morte, 24 ottobre 1915, dalla Provincia di Como con una medaglia d’oro al merito.
Accanto alla pedagogia del lavoro, è interessante rilevare la metodologia del risanamento del terreno sia da un punto di vista tecnico, per il quale si è servito di tecnici, ma soprattutto per un’azione di coinvolgimento delle parrocchie, dei comuni limitrofi e della stessa Provincia di Sondrio. Per le comunità parrocchiali, piccole realtà dedite al lavoro agricolo, ha scritto ai parroci esortando: «Cominci (il parroco) a dare l’esempio di studiare e di occuparsi seriamente della coltivazione delle sue terre, tenendo conto del progresso fatto e delle scoperte che possono moltiplicare i prodotti. Il suo esempio non resterà senza imitatori e stabilirà così un affiatamento tra il prete e il popolo». Ancora: «Nelle lunghe serate invernali e nei giorni festivi, (il parroco) organizzi alcune conferenze. […] Da questo nasceranno cooperative, latterie, assicurazioni di bestiame e verranno di molto migliorate le condizioni del contadino». Per la circostanza è rimasto inedito un volumetto di cultura agricola, in cui questo «manovale della Provvidenza» indicava la mano di Dio nella natura e, in modo concreto, suggeriva diverse modalità di coltivazione.
In questa pubblicazione parlava del clima, come il valore delle cooperative. Più concretamente descriveva della cura dell’orto di casa, della coltivazione dei gelsi, del governo delle api, della vigna, del frutteto, dei campi e altro ancora. Un prontuario del «fai da te» sulla scorta delle tradizioni locali. In quegli anni era in atto la rivoluzione industriale, molti contadini s’impegnavano nell’industria in cui il salario era garantito e non era in balia della stagione climatica. Con il moltiplicarsi dei capannoni industriali è iniziato un cammino di sofferenza per questa «sorella e madre» terra che ha incominciato a protestare «per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza - dice il Papa nella sua ultima enciclica - che c’è nel cuore umano, ferito dal peccato». Anche l’occasione della sua discesa a Roma, era motivata dalla «cura del creato», infatti, la sua prima istituzione romana fu una scuola agricola, un apprendistato per le nuove generazioni per imparare l’utilizzo dei fertilizzanti e altro che le industrie offrivano al mercato. Una “nuova” agricoltura esigeva aggiornati operatori agricoli che collaborassero con la terra a renderla sempre più madre prolifica e amorevole per i suoi figli. Sarà bene ricordare, come il Papa ha fatto nella «Laudato si’», che il nostro organismo è costituito dagli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora.