Mazzolari
di Gianni Gennari
Contadino di nascita, alla campagna restò sempre fisicamente legato alla sua Bassa Padana. Papa Giovanni, due mesi prima che morisse, lo salutò così: “Ecco la tromba dello Spirito Santo in terra mantovana!” Primo Mazzolari nasce nel 1890 a Boschetto di Cremona. A 22 anni è prete, viceparroco e professore di lettere, e per qualche tempo, a varie riprese, anche missionario tra gli italiani emigrati in Svizzera.
Arriva la guerra, che Benedetto XV definì l’inutile strage, e oggi a sorpresa noi leggiamo che il giovane prete, entusiasta, è per l’intervento e fa il cappellano militare, e allora capisce tante cose, che ne segneranno per sempre la vita, e anche la fede. A fine guerra vuole tornare a fare solo il parroco, prete a tempo pieno, in mezzo alla gente. Sul campo scopre i poveri, e anche i lontani, da Dio e dalla Chiesa…Per un dono speciale ha la parola di fuoco che trascina la gente. Ed eccolo, allora, metà degli anni ’20, fieramente antifascista, che rivendica a sé prete, e ai suoi ragazzi, alla sua gente cui parla ogni giorno, e non solo alla domenica, ogni libertà di critica, spaventando clericali e bigotti, borghesi e gerarchi, in camicia o in tonaca nera…L’11 febbraio 1929 arriva il Concordato, ma lui – tra l’altro in compagnia illustre, basterà ricordare che il giovane Montini scrive che “coloro che pensano” hanno molte perplessità in materia – non ne è contento, e lo dice apertamente. è l’inizio di anni difficili: il 5 agosto del 1931 gli sparano, presso la sua canonica, sfiorandogli la testa. Più volte ammonito, non si lasciò mai intimidire. Nel 1932 il vescovo lo promuove arciprete di Bozzolo, sulla riva del Po. Di giorno è tra la gente, di notte prega o scrive: 28 libri da vivo, 5 glieli pubblicano postumi, più due Diari, 4 volumi di lettere e 3 di discorsi.
Alla domenica la predica era un incanto: i suoi ricordano un intero mese di maggio tutto su Pinocchio, sensazionale: contro tutti i bugiardi, di regime e di sagrestia, di partito e di propaganda…A marzo 1934 pubblica “La più bella avventura”, riflessione sulla parabola del Figlio Prodigo, in cui i lontani e gli scapestrati appaiono “vicini”, e i sedicenti giusti e superbi si scoprono “lontani”da Dio! Non era il tempo di Papa Francesco! Un putiferio, con denuncia al S. Offizio e condanna del libro. Obbedisce, ma continua a scrivere. Nel 1937 per un suo articolo su “Cattolici italiani e comunismo” il regime tramite il prefetto sequestra il settimanale diocesano, “La Vita cattolica”. Nel 1941 il suo “Tempo di credere”, ancora in tipografia, è sequestrato dal Minculpop, Ministero della Cultura Popolare. Per un discorso sui caduti in guerra, rispettoso con i caduti, ma duro con chi li mandava a cadere, lo portano in Tribunale. Anche con gli uomini di Chiesa i rapporti sono difficili. Per difendersi scrive un opuscolo, “Anch’io voglio bene al Papa”, che solleva un vespaio tra preti e bigotti vari, e allarma anche in Vaticano.
Nel 1943 un suo opuscolo, “Della fede”, e il libro “Impegno con Cristo” trova i fulmini del S. Offizio: “meritevole di censura, se non nella sostanza, almeno nella forma…” L’Italia è in guerra, lui partecipa attivamente alla Resistenza, e scrive: “Cominciamo a gettare i ponti per una ripresa cristiana”. Nel 1944 lo arrestano, lo rilasciano, lo riarrestano e allora lui scappa, il 31 luglio, restando alla macchia con i partigiani fino alla fine della guerra. Intanto continua a scrivere, e fonda un giornale, “Adesso”, che ha in mente la ricostruzione morale dell’Italia. Cambia l’Italia, e lui nel 1949 propone “la rivoluzione cristiana”, e la cosa dà fastidio a preti, democristiani e comunisti. Si impegna forte per la pace, contro ogni guerra, dialoga con tutti, esigente con i suoi e con gli altri. Si scontra anche con i rossi, che volevano l’esclusiva, e cercavano alleati utili idioti, che non muovessero critiche.
E’ tempo di scontro grave Est Ovest, Cortina di ferro, minaccia atomica, e lui si fa pacifista, scrivendo tra l’altro un memorabile opuscolo, “Tu non uccidere”, del 1955, che dà fastidio a tutti. Il S. Offizio glielo ritirerà nel febbraio del 1958. Dialoga e testimonia, restando ogni giorno fedele alla sua gente contadina di Bozzolo, sempre sul suo altare ogni domenica e sempre sul suo pulpito scricchiolante di campagna, difende e critica, sta accanto ai poveri, ma non sopporta chi li strumentalizza, neppure i compagni che guardavano all’Urss… Con loro parla di pace, contro la guerra, anche contro quella guerra con cui ad uso interno, da noi, qualcuno diceva di difendere la pace. La crisi dell’Urss e del comunismo internazionale: Budapest ‘47/‘48, Berlino ‘53, ancora Budapest ’56…Insiste a tutto campo, lui, e gli scontri indebolivano chi lo apprezzava e difendeva, favorendo così anche i malintesi da tutte le parti. Ecco allora che arrivavano le condanne e le punizioni ecclesiastiche: 1954 e 1956. Con qualche primo accenno, per fortuna, di consolazione: nel 1957 l’arcivescovo Montini lo chiama a Milano, a predicare la Missione al Popolo: un trionfo, di gente, ma anche di scandalo tra i benpensanti.
Nell’autunno 1958 muore Pio XII e arriva Roncalli. Si conoscevano, anche e soprattutto tramite una bella amicizia con Don Loris Capovilla, e Roncalli gli voleva bene. Ecco la novità: il Papa vuole vederlo, e dopo vari tentativi, ostacolati da chi, anche in Vaticano, voleva impedire l’incontro arriva il 24 febbraio 1959: il Papa lo abbraccia, in Vaticano, il saluto che vale la pena di ripetere: “Ecco la tromba dello Spirito Santo in terra mantovana!” Una consolazione grandissima. Dopo tante tempeste la bonaccia. Ma Don Primo ormai aveva dato tutto: a Dio, alla Chiesa, agli uomini. Domenica 5 aprile 1959 non termina la predica, colpito da un ictus mentre parla alla sua gente di Bozzolo. Otto giorni di agonia silenziosa. La domenica dopo spirò, 12 aprile 1959. Aveva detto qualche giorno prima: “Lasciatemelo dire, lasciatemelo dire, se c’è una soddisfazione che io domando al Signore, è questa: che quando chiuderò gli occhi io possa dire: i miei figlioli camminano bene”. Nel testamento scrisse: “sotto lo sguardo della Madonna, mi preparo al distacco supremo… Non possiedo niente.
La roba non mi ha fatto gola, e tanto meno occupato. Non ho risparmi, se non quel poco che potrà sì e no bastare alle spese dei funerali, che desidero semplicissimi…Non ho niente, e son contento di non aver niente da darvi…Chiudo la mia giornata come credo di averla vissuta, in piena comunione di fede e di obbedienza alla Chiesa…so di averla amata e servita con fedeltà e disinteresse completo”. Don Mazzolari: un grand’uomo, modesto e sereno, un gran prete, per nulla gonfio di sé. Insomma, un santo, con i piedi per terra, la testa in cielo, e il cuore mangiato da tutti. Attuale, Don Primo? Tempo di “Misericordia”, e di “uscita” verso i poveri e i lontani. Per questi lui è stato sempre “in uscita”, e “con l’odore delle pecore”. Per la Misericordia basterà ricordare la sua celebre omelia del Venerdì Santo: Riascoltiamo la sua voce incrinata dal pianto che dice: “Nostro Fratello Giuda”: tempo di conversione per tutti…