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Una storia secolare, fatta di prestiti finanziari ai grandi e ai piccoli. Allo scopo di evitare i pericoli dell’usura

di Ferdinando Toscano

Parlare di Monte di Pietà evoca inevitabilmente ricordi di circostanze difficili dovute alle più svariate ragioni: perdita del lavoro, malattie e pestilenze, guerre e carestie. A queste situazioni, sempre tristi e a volte drammatiche, un’opera concreta ed intelligente come i Monti di Pietà cercò di porre rimedio.

L’Umbria, intrisa di spirito francescano, è stata la culla di questi istituti che sorsero intorno alla seconda metà del XV secolo grazie alla predicazione di alcuni Frati Minori Osservanti, tra i quali brillano Bernardino da Siena, Michele Carcano, Bernardino da Feltre. Mossi da una decisa volontà di combattere il fenomeno dell’usura, iniziarono raccogliere denaro con l’intento di creare un fondo, un “monte” appunto, da impiegare per l’aiuto alle persone in difficoltà. Chi aveva necessità di denaro depositava un oggetto, come piccole suppellettili e monili, fino ad arrivare a veri e propri gioielli, presso il Monte di Pietà che provvedeva alla stima e proponeva una somma al richiedente. Il Monte si incaricava poi di custodire l’oggetto per un anno, trascorso il quale il proprietario poteva riscattarlo versando una somma pari a quella che gli era stata offerta maggiorata di una modesta percentuale, e rientrava così in possesso del proprio oggetto. Nel caso in cui il bene non fosse stato riscattato, il Monte aveva il diritto di rivendere l’oggetto; se la vendita avesse fruttato un importo maggiore del prestito, la rimanenza sarebbe andata comunque al proprietario.

Dall’Italia centrale, ben presto i Monti si diffusero nel resto della Penisola, tanto che nel XVI secolo papa Leone X, con la bolla Inter multiplices, del 4 maggio 1515, riconobbe la legittimità dei Monti di Pietà, lodandone gli scopi «buoni e necessari alla società» e dichiarando la legittimità del modesto onere finanziario.

A Roma il Sacro Monte della Pietà fu fondato da Giovanni Calvo (da Calvi, in Corsica), al secolo Giovanni Maltei, anch’egli dell’ordine dei Frati Minori. Ben presto il Monte acquistò una reputazione crescente e insieme assunse compiti sempre più rilevanti all’interno dello Stato Pontificio. Esso cominciò a praticare il credito agrario ed i prestiti a basso tasso d’interesse, nonché ad aumentare i propri depositi, arrivando a beneficiare di un reddito fisso. La conseguita autonomia finanziaria nel 1636 permise al Monte di concedere gratuitamente prestiti fino a trenta scudi.

Se da un lato esso si mostrò molto generoso nei confronti dell’aristocrazia romana e straniera, che poteva permettersi di portare in pegno gioielli e oggetti di grande valore, dall’altro fu molto attento verso gli ultimi. Tra le persone privilegiate si annovera addirittura la regina Cristina di Svezia, cui fu accordato un prestito di ventimila scudi dietro consegna di otto diamanti. In seguito alla sua conversione al cattolicesimo, nel dicembre 1655 la sovrana era giunta esule a Roma, ma dopo pochi anni, nel 1660, dovette tornare in Svezia a causa della prematura morte di Carlo X, il cugino a cui aveva affidato il regno dopo aver abdicato; sapendo di non poter più contare sui suoi sudditi, chiese il prestito al Monte per affrontare il viaggio e la permanenza nel suo paese.

Anche Giacomo Stuart, figlio di Giacomo II, si rivolse al Monte di Pietà allorché, in esilio a Roma, volle promuovere un nuovo tentativo di tornare sul trono di Inghilterra e di Scozia, così nel 1745 riuscì a mandare un esercito in Scozia. La rovinosa campagna di riconquista, la cosiddetta “insurrezione giacobita” è all’origine dell’enorme prestito che il Monte gli accordò, ben centomila scudi.

Il Monte fu però provvido e generoso anche nei confronti dei meno fortunati. In occasione delle ricorrenti piene del Tevere, testimoniate dalle epigrafi disseminate per Roma a indicare il livello raggiunto dall’acqua, organizzò varie distribuzioni di beni di prima necessità per chi aveva perso tutto. Vennero diffusi presso il popolo dei “buoni” che davano diritto a ritirare, presso la sede del Monte, completi da letto, ma anche scarpe e singoli indumenti, come camicie. La distribuzione topografica dei buoni, conservati presso l’Archivio del Monte di Pietà, indica quali zone cittadine fossero maggiormente soggette all’esondazione delle acque. Il record spetta all’abitato attorno alla chiesa dei santi Celso e Giuliano in via del Banco di Santo Spirito, non lontano da ponte Sant’Angelo. Il Monte di Pietà si occupò anche della cosiddetta “Università israelitica”, come veniva chiamata la comunità ebraica, e diversi buoni sono intestati a questa istituzione, tra cui spicca un esemplare valevole per ben 50 letti.

Un altro esempio di intervento: quando nel 1725 si diffuse nelle zone di Albano e Velletri la piaga delle cavallette – nei documenti coevi definite «grilli» o «locuste» – Benedetto XIII Orsini impose ai proprietari terrieri di adoperarsi attivamente per debellare l’infestazione nei propri poderi. I proprietari però disattesero il provvedimento, per cui si decise di ricorrere al Monte, che prestò quattromila scudi per la bonifica dei terreni. Per restituire l’ingente somma, il papa impose allora una speciale tassa sui proprietari dei terreni infestati, che venne mantenuta fino al secolo successivo.

Fin dalle proprie origini, dunque, il Monte di Pietà di Roma e in generale tutte le istituzioni simili hanno rappresentato una confortante storia di efficienza e di solidarietà, che si è perpetuata dapprima attraverso le Casse di Risparmio; queste poi hanno conservato, accanto all’attività creditizia, un’attenzione diligente alle emergenze del territorio dove di trovavano a operare. Sono poi da ricordare le attuali fondazioni di origine bancaria, eredi e continuatrici dello spirito filantropico dei Monti e delle stesse Casse di Risparmio.