A Giuda Taddeo, cugino del Signore, è attribuita l’ultima lettera del Nuovo Testamento. Mattia invece subentrò nel Collegio apostolico al posto di Giuda Iscariota
di Lorenzo Bianchi
L'apostolo Giuda detto Taddeo, che significa “magnanimo” o, secondo alcuni codici, Lebbeo, cioè “coraggioso”, o ancora, come Simone Zelota, “ardente di zelo”, era figlio di Cleofa, fratello di Giacomo Minore e cugino del Signore; a lui è attribuita l’ultima delle “lettere cattoliche” nel Nuovo Testamento. Benedetto XVI nell’udienza generale dell’11 ottobre 2006 ne ricordava la conclusione formata da queste bellissime parole: «A colui che può preservarvi da ogni caduta e farvi comparire davanti alla sua gloria senza difetti e nella letizia, all’unico Dio nostro salvatore, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore: gloria, maestà, forza e potenza prima di ogni tempo, ora e sempre. Amen».
Scarsissime sono le notizie sulla vita di san Giuda Taddeo. Una tradizione gli assegna attività di apostolato in Palestina e nelle regioni vicine; gli scrittori siri affermano che subì il martirio ad Arado, presso Beirut. Dalla confusione con Addai, evangelizzatore della Siria mesopotamica, discepolo dell’apostolo Tommaso e uno dei settantadue di cui parla il Vangelo di Luca (Lc 10, 1), nasce invece un’altra tradizione che assegna a Giuda Taddeo una morte naturale a Edessa (oggi Urfa, in Turchia), capitale di un regno situato nella Mesopotamia nord-occidentale. L’origine di questa confusione è forse da ricercarsi in un racconto dai tratti leggendari, riportato da Eusebio di Cesarea, che narra la guarigione del re Abgar V a Edessa e la conversione di questi al cristianesimo.
Ma la tradizione che più si rafforza è quella che unisce Giuda Taddeo all’altro apostolo Simone lo Zelota, insieme al quale, secondo il Breviario Romano, predicò in Mesopotamia. Pertanto la Passio Simonis et Iudae indica per entrambi il martirio comune a colpi di bastone in Persia, nella città di Suanir, verso l’anno 70, e la loro sepoltura in Babilonia.
Le reliquie di Giuda Taddeo, di cui si ha notizia in vari luoghi della Francia, dal Medioevo si trovano a Roma, insieme a quelle di Simone, collocate nell’antica basilica di San Pietro in Vaticano dove esisteva un altare loro dedicato. Dopo la costruzione della nuova basilica michelangiolesca, dal 27 ottobre 1605 si trovano al centro dell’abside del transetto sinistro (Tribuna dei santi apostoli Simone e Giuda), nell’altare che nel 1963 fu dedicato a san Giuseppe patrono della Chiesa universale. Una reliquia di san Giuda Taddeo è esposta e venerata anche nella chiesa romana di San Salvatore in Lauro.
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Mattia è l’apostolo associato agli undici dopo la Pasqua, in sostituzione di Giuda, che aveva tradito Gesù; della sua scelta a preferenza di Giuseppe, detto Barsabba e soprannominato Giusto, si legge negli Atti degli Apostoli (At 1, 15-26).
Era di origine giudaica e aveva seguito Gesù fin dall’inizio della sua predicazione: probabilmente era anche lui uno dei settantadue discepoli menzionati da Luca, come afferma Eusebio di Cesarea: «Si racconta anche che Mattia, che fu aggregato al gruppo degli apostoli al posto di Giuda, e anche il suo compagno che ebbe l’onore di simile candidatura, furono giudicati degni della stessa scelta fra i settantadue» (Storia ecclesiastica).
Della sua vita, a parte l’episodio riportato dagli Atti degli Apostoli, nulla di certo si conosce. Una tradizione, riportata da Clemente Alessandrino, lo fa morire di morte naturale; una seconda lo dice martire, crocifisso e sepolto nell’attuale Georgia, dove si sarebbe recato dopo un primo periodo di predicazione in Giudea; una terza invece (Breviario Romano, Martirologio di Floro) ne afferma il martirio, dopo la predicazione in Macedonia e poi in Palestina; proprio in quest’ultima regione fu lapidato da ebrei, in quanto nemico della legge mosaica, e finito da un soldato romano che gli avrebbe tagliato la testa con un colpo di scure, lo strumento che appare spesso nelle sue raffigurazioni, soprattutto nella Chiesa d’Oriente.
Una tradizione tarda vuole che il corpo di Mattia sia stato ritrovato nel 325 da Elena, madre di Costantino, a Gerusalemme, e di lì trasportato a Roma, nella basilica di Santa Maria Maggiore, dove fonti medievali e rinascimentali (ad esempio la Legenda Aurea di Iacopo da Varagine) lo danno presente nell’urna di porfido sotto l’altare maggiore insieme alle reliquie di san Girolamo, mentre il teschio era custodito in un reliquiario.
Anche gli Annali di Treviri (Germania) dell’anno 754 (ma la loro redazione è molto più tarda) attestano la sepoltura di Mattia a Gerusalemme, confermata da un’aggiunta posteriore agli Atti apocrifi di Mattia, secondo cui proprio a Treviri il suo corpo giunse direttamente da Gerusalemme.
Infine una terza tradizione cerca di conciliare le prime due, parlando di una traslazione da Gerusalemme a Treviri, con tappa a Roma. A Treviri il corpo di Mattia venne ritrovato nel 1127, durante la ricostruzione della basilica (ora a lui intitolata) collegata all’adiacente convento benedettino; il suo sepolcro si trova ancora nel mezzo della navata centrale, nello stesso luogo dove allora fu collocato. Altre reliquie che una tradizione medievale attribuisce all’apostolo sono infine conservate nella basilica di santa Giustina a Padova, ma recentissime indagini scientifiche sembrano escludere tale attribuzione.