di Ottavio De Bertolis
Vogliamo riprendere le singole parole della preghiera del Signore, come abbiamo fatto nei nostri incontri precedenti, per poterle gustare intimamente: molte volte le abbiamo ripetute, ma non sempre ci siamo soffermati in esse. Sant’Ignazio ci insegna proprio che è necessario “sentire e gustare intimamente” la preghiera che facciamo: il rischio sarebbe infatti quello di “dire su” orazioni, un po’ a pappagallo, certo sinceramente, ma con poco senso, e quindi con meno frutto spirituale.
“Che sei nei cieli”: certamente i cieli sono metafora del mondo di Dio, perché il cielo è ciò che è radicalmente distinto dalla terra, cioè il mondo dell’uomo. E così il salmo dice “il Signore ha fatto i cieli, ma ha dato la terra ai figli dell’uomo”. Possiamo contemplare dunque la trascendenza di Dio, la sua santità: il cielo d’altra parte è anche ciò che rimane stabile per sempre, a differenza della terra, che per quanto appaia ferma può essere squassata dai terremoti o dai grandi cataclismi. Contemplare il “Padre nostro, che è nei cieli”, significa dunque innanzi tutto portare lo sguardo su Colui che rimane per sempre, la cui fedeltà e il cui amore permangono immutati, scritti appunto nei cieli. “Come il cielo è alto sulla terra, così la sua misericordia per i figli dell’uomo”: da qui vediamo che il cielo non è solo la volta del firmamento, non è solo quello spazio celeste che noi vediamo al di sopra delle nostre teste, ma diviene immagine di qualcosa d’altro, di ciò che è bello, maestoso, elevato al di sopra di tutte le cose, e dunque più grande di esse, in ultima analisi della stessa bontà, fedeltà, misericordia di Dio, che con il suo chiarore e sovrana bellezza avvolge tutte le cose. Ogni volta che diciamo questa espressione siamo dunque invitati ad elevare il nostro sguardo a Lui: “come gli occhi dello schiavo alla mano della sua padrona, come gli occhi della schiava alla mano della sua padrona, così i nostri occhi sono rivolti al Signore nostro Dio”. Lui è l’Altissimo, cioè colui che è più alto, più grande, più forte di tutte le tempeste e di tutte le difficoltà che possono squassare i nostri cuori.
Ma in fondo, a ben pensarci, i nostri cuori sono i veri cieli in cui Lui abita. Siamo stati creati a sua immagine e somiglianza, e per la grazia del battesimo siamo divenuti tempio dello Spirito Santo: le nostre esistenze sono abitate da Lui, e possiamo così dire che la nostra terra diventa il suo cielo. Lui pone la sua dimora tra i figli dell’uomo, dice la Scrittura: noi siamo sua dimora, suo tempio. “Chi mi ascolta e mi apre la porta, verrò da lui, cenerò con lui e lui con me”, sta scritto. Siamo allora anche invitati da questa espressione a contemplare o a leggere la nostra esistenza proprio come il luogo dove Lui abita: e non abita, per bontà sua e autentica nostra fortuna, solo nei luoghi “belli” della nostra vita, ma anche (e soprattutto) dove meno ce se lo aspetterebbe. Lui infatti ha detto: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”, intendendo non solo i giorni della gioia, ma anche del lutto e della tristezza. Lui abita con noi, la nostra terra è il suo cielo, non solo nei giorni della nostra giustizia, ma anche in quelli del nostro peccato. Il salmo dice: “se salgo in cielo, là tu sei, se scendo negli inferi, eccoti”. E Sant’Agostino, guardando alla sua vita di peccatore, dice: “io ero lontano da Te, Signore, ma tu non eri lontano da me”.
La preghiera del Signore ci sfida quindi, in un certo senso, a vedere la nostra vita come essa è, cioè amata da Dio, per quanto grandi siano le nostre difficoltà o le contraddizioni in cui ci imbattiamo. Infatti: “nessuno di noi vive per se stesso (ossia: da solo) e nessuno muore per se stesso: ma se noi viviamo, viviamo per il Signore, e se noi moriamo, siamo del Signore”. In altri termini, siamo sempre nelle sue mani di Padre e a Lui ci possiamo abbandonare con fiducia. Perché non siamo più servi o schiavi, ma figli amati.