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di Madre Anna Maria Cánopi

Con l’Avvento ha inizio l’anno liturgico, il tempo sacro della grazia (kairòs) in cui la Chiesa celebra il grande mistero della salvezza. Il suo nucleo essenziale è l’evento Gesù Cristo: il Figlio di Dio che si è incarnato ed è entrato nel mondo per condurre gli uomini al loro fine ultimo, alla piena comunione di vita con Dio nel Regno dell’eterna vita.
Con la nostra partecipazione alla celebrazione liturgica degli eventi salvifici, diventiamo annunziatori e testimoni della nostra fede, testimoni, quindi, dell’Amore del Padre che si è rivelato nella Persona del Figlio, anzi, ce lo ha donato perché «chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16).
Tutto il tempo della Chiesa – l’anno liturgico – è caratterizzato da una triplice dimensione: la memoria del passato (l’attesa e la venuta di Gesù nella carne), la dinamica del presente (come oggi questo evento ancora avviene e si attualizza) e l’attesa del futuro (il ritorno del Cristo nella gloria: evento escatologico).
Nella nostra vita di cristiani coesistono quindi il “già” e il “non ancora”, l’esperienza, nella fede, del “Dio-con-noi”, l’Emmanuele, e quella dell’attesa escatologica tutta pervasa di speranza, quando il Cristo verrà di nuovo non più nella umiltà della carne, ma nella gloria e nella potenza dello Spirito (cf. Mt 24,30; 1Pt 3,18).
Questi aspetti emergono chiaramente dalla liturgia la quale, mentre celebra tutto il mistero della Redenzione, ne evidenzia i successivi eventi per attingervi particolare grazia di partecipazione, così da vivere il momento “presente” non come tempo che fugge verso il nulla, ma come ponte verso l’eternità.
Nelle prime settimane di Avvento domina il senso dell’attesa del Cristo Pantokrator, di Colui che verrà a ricapitolare la storia e a giudicare tutti gli uomini. È quindi un’attesa estremamente impegnativa. La lettura del profeta Isaia apre orizzonti di grande speranza e di consolazione, ma insiste anche nell’indicare le vie da seguire, che sono vie da preparare, perché attualmente impraticabili; sono strade ardue da salire, sentieri da raddrizzare, poiché il peccato, che ci ha portati lontano da Dio, li ha resi contorti e accidentati.
«Una voce grida:
“Nel deserto preparate la via al Signore,
spianate nella steppa la strada
per il nostro Dio.
Ogni valle sia innalzata,
ogni monte e ogni colle siano abbassati;
il terreno accidentato si trasformi in piano
e quello scosceso in vallata.
Allora si rivelerà la gloria del Signore
e tutti gli uomini insieme la vedranno,
perché la bocca del Signore ha parlato”»
(Is 40,3-5).
La voce del Profeta è un pressante invito alla conversione, all’ascolto di Colui che parla, che è Lui stesso Parola di Verità e di Vita e che, solo, può illuminare le profondità delle coscienze per liberarle dall’oppressione del male antico che si addensa tenebroso sul cammino dell’umanità.
Portavoce sonoro di questo messaggio di conversione e di liberazione è in modo speciale Giovanni Battista, il battistrada, che si trova alle soglie dell’Avvento e accompagna il popolo di Dio nella sua corsa incontro a Colui che viene, come pure lo accompagnerà nelle prime tappe del cammino quaresimale. Mentre il Profeta sostiene la speranza nella venuta dell’Atteso – «Dite agli sfiduciati: “Coraggio, non abbiate timore: ecco il vostro Dio viene a salvarvi» (cf. Is 35,4) – il Precursore lo indica già presente: «In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, uno... al quale io non sono degno di sciogliere il legaccio del sandalo» (Gv 1,26-27); lo addita come Salvatore, come Colui che dà un nuovo corso alla storia e come imminente Giudice che pone fine alla storia e le imprime il sigillo del Regno eterno dicendo l’ultima parola, l’amen conclusivo.
Accanto all’attesa vigilante, altra nota ricorrente dell’Avvento è l’elevazione, il movimento anelante verso Qualcuno che sta per venire. Molto significativa è, in proposito, l’antifona d’ingresso della prima domenica, tratta dal salmo 25: A te, Signore, elevo l’anima mia (v. 1): la creatura umana sembra quasi voler sollevare sulle mani, in un gesto concreto, la propria vita per affidarla e insieme farne omaggio alla Fonte da cui è scaturita. È un gesto di totale abbandono che, nato dalla fiducia, sfocia nella pace. L’antifona, infatti, prosegue: Dio mio, in te confido. Questo abbandono e questa pace non sono passività, immobilità, attesa inerte, bensì espressione della piena disponibilità dell’anima ad armonizzarsi con il disegno divino, a mettersi sulla nuova via che le viene aperta davanti, come ancora canta il Salmista: Mostrami, Signore le tue vie; insegnami le tue strade.
Lungo il cammino ci guida anche la voce dell’Apostolo che esprime l’entusiasmo di chi, spinto dal desiderio, parte al mattino di buon’ora per non perdere tempo prezioso: «Fratelli, è ormai tempo di svegliarvi dal sonno… La notte è avanzata, il giorno è vicino» (Rm 13,11-12). Risvegliarsi, correre, lasciarsi illuminare: questo rende bella la vita! Tuttavia, se fossimo noi soli a muoverci, ci troveremmo presto, malgrado ogni buona intenzione, in difficoltà; ma nell’Avvento il movimento avviene in duplice senso: dalle profondità verso le altezze (ed è il nostro cammino incontro al Signore) e  dalle altezze verso le profondità (ed è il cammino di Dio, la sua discesa). Anzi, noi possiamo muoverci verso Dio solo perché per primo Egli si muove verso di noi e ci attrae alimentando il nostro grido di impaziente desiderio che trova nelle parole dei salmi gli accenti più toccanti: «Mostraci, Signore, la tua misericordia e donaci la tua salvezza» (Sal 85,8); «Fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi» (Sal 80,4); «Ha sete di te l’anima mia» (Sal 63,2). La grazia che l’Avvento ci porta consiste proprio nel farci sperimentare interiormente l’attesa della venuta di Cristo quasi come un sacramentale, un battesimo che purifica l’anima nel crogiuolo del desiderio.
Nello stesso tempo la Liturgia dà alla nostra attesa e alla nostra ricerca anche una santa allegrezza, animandole di una speranza viva: Popolo di Sion, il Signore verrà a salvare i popoli e farà sentire la sua voce potente per la gioia del vostro cuore, afferma l’antifona di ingresso della seconda Domenica. L’annuncio profetico è già pieno di certezza, ma l’anima vuole averne conferma dalla stessa viva voce del Desiderato e non esita a domandargli insieme con Giovanni Battista: Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro? (Mt 11, 3).
Sei Tu? Questa ricerca del Tu, dell’Unico in cui l’anima ritrova se stessa e la propria completezza, costituisce la più profonda esigenza dell’esistenza umana. È, ovviamente, una ricerca che non tende soltanto a possedere il Tu, ma anche e soprattutto a donarsi a lui, ossia a realizzare con lui una tale comunione di vita da sopprimere la dualità. «Chi sei tu?». E Gesù risponde con la manifestazione concreta dell’amore: «I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo » (Mt 11,5).
Là dove c’è l’amore, il Signore è già presente. Perciò si può davvero gioire, come invita a fare l’Apostolo, nel passo della lettera ai Filippesi che caratterizza la terza domenica di Avvento: «Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti» (Fil 4,4).
Qualcuno forse dirà: «Ma come è possibile rallegrarsi, mentre c’è ancora tanto male e tanto dolore in tutto il mondo? Non sarebbe un affronto a chi piange?». No: la gioia del Signore e nel Signore è dono di consolazione proprio per i poveri e i sofferenti; è il sorriso del Cielo che si china a baciare la terra, ad asciugare le lacrime.
In questo tempo, la Madre Chiesa ci insegna ad invocare, per noi e per tutta l’umanità, Colui che è la Gioia: Gesù. Con uno dei suoi bellissimi inni che impreziosiscono la sacra Liturgia, così ci fa cantare: «Vieni, o Re Messaggero di pace, reca al mondo il sorriso divino: nessun uomo ha mai visto il suo volto; solo tu puoi svelarci il mistero», «Vieni, Signore Gesù!».
Negli ultimi giorni di Avvento alla prospettiva escatologica e di attesa anelante – che comprende anche una nota penitenziale e purificatrice per essere pronti all’evento – si accosta e quasi si sovrappone la dimensione evocativa del fatto storico dell’Incarnazione; l’attenzione si concentra sulla nascita di Gesù dalla Vergine di Nazareth in una condizione di estrema insicurezza e povertà. Giovanni Battista cede decisamente il posto a Maria, alla quale tuttavia lo sguardo è rivolto fin dall’inizio, in particolare nella solennità dell’Immacolata, che sapientemente la Chiesa ha collocato proprio nel cuore dell’Avvento. Dalla quarta domenica e ancora di più dal 16 dicembre – inizio della popolare Novena di Natale – fino alla conclusione del tempo natalizio, la liturgia celebra il Cristo nato da Maria. Associando armoniosamente il tema cristologico a quello mariano, mostra come il piano divino della salvezza implichi la collaborazione dell’umanità e in particolare della femminilità.
L’avvento è il tempo degli “anawim”, dei poveri di Yahwè, di coloro che ripongono in Dio tutta la loro speranza. Tra questi Maria è colei che può dirsi la più povera dei poveri, la più umile e ignara di sé, perché tutta riferita a Dio. Il mistero dell’incarnazione nel quale si sente totalmente coinvolta, la mette nella più profonda adorazione, e dopo il “sì” detto all’annunzio recatole dall’angelo, tutto il suo essere è ceduto al Signore quale luogo sacro riservato al compiersi dell’ineffabile mistero del Verbo fatto carne.
L’“eccomi” della totale disponibilità pronunziato da Maria fiorisce nell’“eccomi” del Verbo – l’Emmanuele, Dio-con-noi – che entra nel mondo per compiervi la volontà del Padre.
Sincronizzando ogni giorno il nostro cuore sulla musica divina di questo “Eccomi” di obbedienza e di amore, ci apriamo alla grazia e alla gioia del Santo Natale, festa della “novità” nel cuore dell’inverno.
All’alba del dies Natalis la Chiesa, infatti, esploderà nell’inno che canta la nuova primavera dell’umanità:
È fiorito il germoglio di Jesse,
l’albero della vita ha donato il suo frutto;
Maria, figlia di Sion,
feconda e sempre vergine,
partorisce il Signore.

(Inno a Mattutino)

La presenza di Maria che riempie di adorante silenzio la trepida attesa dell’Avvento, rimane anche a Natale e fino all’Epifania come uno sfondo di luce, un’atmosfera di tenerezza e di pace, di silenziosa adorazione.
Verbi silentis muta Mater: così canta un altro inno dell’antica liturgia, ispirandosi a un commento di Ruperto di Deutz al Cantico dei Cantici.
Sì, Madre silente del Verbo silenzioso, poiché il Verbo divino si è fatto in-fans, un bambino che non parla ancora. Ma tale silenzio contiene la Vita, è la sostanziale Parola dell’amore di cui è pieno il mondo e da cui è lievitata la storia del genere umano mentre corre verso il giorno e l’ora del glorioso ritorno di Cristo: quando tutti gli uomini lo vedranno e lo riconosceranno come unico Signore.