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di Madre Anna Maria Cánopi

Mentre il Tempo Ordinario volge al termine e la natura si fa di giorno in giorno più brulla e spoglia, il mese di novembre si apre con il contrasto della bellissima festa di Tutti i Santi: un tripudio di luce, di canto, di gioia; il Cielo sulla terra.
In questa solennità la Chiesa pellegrina nella fede, contemplando le abbondanti messi già raccolte nei celesti granai, comincia sin d’ora a cantare la gioia del suo arrivo in patria: «Rallegriamoci tutti nel Signore, celebrando questo giorno di festa in onore di tutti i Santi: con noi gioiscono gli angeli e lodano il Figlio di Dio». Con questa antifona si apre la Celebrazione Eucaristica, durante la quale si viene ad instaurare, per così dire, un appassionato dialogo tra terra e cielo, tra i santi ancora pellegrini nella fede e i santi già in patria, tra i “santi delle beatitudini” (cf. Vangelo della solennità) e i santi della «moltitudine immensa, di ogni nazione, razza, popolo, lingua» che innalza a gran voce il grandioso cantico della salvezza, di cui si sente l’eco nella prima lettura (cf. Ap 7).
Tra gli uni e gli altri non c’è separazione, ma compartecipazione; non distanza, ma affettuosa vicinanza. I santi già in patria sono presenti a noi nelle nostre tribolazioni e noi, “santi in cammino”, ci rallegriamo con loro per la pace di cui godono e che già, in forza dell’amore, si riversa nei nostri cuori. Con questa solennità la Chiesa ci invita, dunque, ad una grande festa di famiglia, convoca tutti i suoi figli attorno all’unica mensa. Infatti, chi sono i santi, se non i figli di Dio cresciuti fino alla “pienezza di Cristo” (cf. Ef 4,14)? Essi sono i nostri fratelli maggiori. Alcuni di loro, forse, sono stati fino a ieri nostri compagni di viaggio; perdura forse ancora nella nostra mano il calore della loro mano, nella nostra memoria il suono della loro voce… Tra i santi possono esservi – anzi, certamente ci sono – anche tanti che chiamiamo i “nostri morti” e che, sapientemente, la Chiesa ci fa commemorare proprio il 2 novembre, dilatando la festa in due giorni, per sottolineare l’unità del mistero. Se la morte ci pone davanti a un grande, insondabile mistero ed è giusto provare davanti ad essa un senso di timore e di tremore; tuttavia ancor più grande è il motivo di fiducia e di speranza che ci viene dalle stesse parole di Gesù, dalle sue promesse affidate al cuore degli apostoli e, quindi, al cuore della Chiesa. C’è un “mistero di pietà” che consiste nel concedere, anche dopo la morte, alle anime non del tutto purificate, ma non ostinatamente chiuse all’amore di Dio, un tempo – non si sa di quale intensità o durata – «per ottenere la santità necessaria ad entrare nella gioia del cielo» (cf. Catechismo della Chiesa Cattolica). Le colpe possono essere perdonate ed espiate attraverso la sofferenza del cosiddetto Purgatorio (v. art. pag. 4). Ecco perché nel popolo cristiano è tanto sentita la pietà verso i defunti: è consolante sapere che si possono alleviare e abbreviare le loro sofferenze pregando per loro, offrendo elemosine, facendo opere di penitenza, soprattutto partecipando per loro all’offerta del Sacrificio Eucaristico. Ed è proprio da questo santo intento che nasce la buona consuetudine di far celebrare, in ogni tempo dell’anno, messe in suffragio dei defunti, nell’anniversario della loro morte o in altre particolari circostanze, persino per trenta giorni di seguito per la stessa anima (le cosiddette “messe gregoriane”).
La liturgia della Commemorazione di tutti i fedeli defunti – contrariamente alle apparenze, ad esempio l’uso del colore viola – è tutta pervasa da un senso di spirituale letizia. «Venite, adoriamo il Re per cui tutto vive!» è il ritornello del Salmo invitatorio con cui si apre l’Ufficio divino di questo giorno, nel quale la Chiesa propone i salmi che, più di tutti, esprimono il desiderio, la fiducia e la speranza di poter contemplare svelatamente il volto di Dio e di godere della sua pace e della sua gioia.
Immedesimandosi in quelle anime che stanno completando la loro purificazione nel crogiuolo del desiderio e dell’attesa, la Chiesa nella sacra Liturgia ci fa compiere una specie di viaggio attraverso le misteriose regioni del loro spirituale “esilio”, così che, ardendo della loro stessa sete e condividendo la loro attesa, affrettiamo il felice esito del loro tempo di purificazione. In questa ascesa alla luce, per la diritta via della speranza, non mancano tuttavia – e non potrebbe essere diversamente – aspetti difficili da accettare: lo comporta la naturale ripugnanza per la morte e l’esperienza, sempre dolorosa, del distacco dalle persone care, distacco fisico che viene però confortato dalla più intensa unione spirituale mediante la preghiera di suffragio.  Madre premurosa verso i suoi figli anche dopo la loro morte, la Chiesa ha concesso che il 2 novembre ogni sacerdote possa celebrare per i defunti tre messe. Da parte loro i fedeli, nel parteciparvi, possono esprimere particolari intenzioni allargando sempre di più il cerchio della carità. Questo è, inoltre, il modo più vero per esprimere con efficacia l’affetto che da sempre ci unisce a quelli che sono entrati nella vita eterna. Tutte le preghiere delle tre Messe sono pervase di sincera e profonda tenerezza per le anime dei defunti che vengono fiduciosamente affidate alle mani di Dio: «Accogli i nostri defunti nella gloria del tuo regno», «Dona loro la beatitudine senza fine», «Ricevili tra le braccia della tua misericordia»… Per non dire, poi, che la pietà verso i defunti giova anche alla santificazione dei vivi e ci prepara alla nostra stessa morte; ad esempio, la colletta della prima Messa ci fa pregare così: «Conferma in noi, o Dio, la beata speranza che insieme ai nostri fratelli defunti risorgeremo in Cristo a vita nuova».
Non la paura, dunque, ci deve assalire di fronte al mistero della morte, ma una illimitata fiducia, poiché, se è vero che, essendo giudicati sull’amore, tutti saremo senza dubbio trovati “scarsi”, è pure vero che, per provvido disegno di Dio, all’umana povertà supplisce la Santa Chiesa che con fede domanda per i suoi figli: «Splenda ad essi la luce perpetua, insieme ai tuoi santi, in eterno, o Signore, perché tu sei buono», quia pius es. Ecco la chiave della speranza che spalanca il cuore di Dio e ci fa pregustare la consolazione e la gioia della piena comunione con Lui e con tutta la Gerusalemme celeste.  n