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di Madre Anna Maria Cánopi

La spiritualità del tempo di Quaresima
è un costante appello a ritornare a Dio.
Far dimorare Dio al centro dei nostri interessi
e gestire il nostro vivere in comproprietà

Già all’inizio del IV secolo si ha testimonianza della pratica, nella Chiesa, di un periodo di quaranta giorni in preparazione alla celebrazione del Sacro Triduo pasquale – Passione, Morte e Risurrezione di Cristo – che è il centro di tutto l’anno liturgico.
Originariamente questo tempo – che trae il suo significato simbolico dai quarant’anni della traversata del deserto da parte del popolo eletto (esodo), dal ritiro di Mosè sul Sinai e più ancora di Gesù stesso nel deserto all’inizio della sua predicazione – coincideva con la preparazione dei catecumeni che a Pasqua avrebbero ricevuto il Battesimo. Essi erano così premurosamente sostenuti da tutta la comunità cristiana che con loro si preparava ad una nuova rinascita spirituale. La Quaresima era pure con il periodo in cui i pubblici peccatori si sottoponevano ad una particolare austerità di vita, per essere riammessi, il Giovedì Santo, nella comunità ecclesiale accostandosi alla mensa eucaristica. Il tempo quaresimale si apre, nel rito romano, con il mercoledì delle ceneri. La liturgia di questo sacro giorno è particolarmente densa di significato e crea un’atmosfera di pensoso raccoglimento.
Ci viene incontro l’Apostolo Paolo con il suo pressante invito a non trascurare la grazia di Dio, ma a farla fruttificare, poiché ci è donato un altro tempo in cui lavorare per crescere nella fede, nella speranza e nell’amore: «Ecco, ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza» (2Cor 6,2).
Il rito dell’imposizione delle ceneri, per quanto presenti un tono di velata mestizia a motivo del riferimento al nostro essere polvere e dover ritornare polvere, è tuttavia anche pervaso da un senso di grande fiducia, soprattutto ora che è accostato al rito del bacio del Vangelo con l’invito alla conversione: «Convertitevi e credete al Vangelo».
Tutto questo suggerisce fin dall’inizio il giusto atteggiamento da assumere: un atteggiamento di umiltà e di sincera contrizione del cuore pervaso di serena speranza.
Comunemente si pensa che scopo di questo tempo liturgico sia la mortificazione in se stessa, ma così si mette in ombra l’aspetto più importante della Quaresima, il suo valore positivo, ossia di preparazione, sotto l’azione dello Spirito Santo, a ricevere la grazia pasquale.
Il cristiano è, sì, invitato alla penitenza – prezzo necessario alla purificazione del cuore – in vista però di un giorno di festa, anzi, del giorno della gioia per eccellenza.
È sempre per condurci ad uno spazio più ampio e luminoso che, lungo l’anno, la Liturgia ci fa passare attraverso la porta stretta della mortificazione. Così, come dopo l’attesa dell’Avvento, abbiamo visto spuntare la “grande luce” del Natale, dopo la fatica della Quaresima nel sostenere la lotta della Luce con le forze tenebrose che le si oppongono, arriveremo a celebrare il trionfo della vittoria di Cristo sulla morte.
La lotta si combatte nel mondo in cui il Figlio di Dio si è incarnato, e questo mondo non è soltanto esterno, ma anche interno a noi. È quindi necessario affrontare il combattimento spirituale, ossia l’impegno di resistere alle tentazioni e di mettere a morte – “mortificare” – il nostro uomo vecchio, per far crescere l’uomo nuovo, in Cristo. Questo comporta il rinnegamento di quanto vi è in noi di estraneo alla grazia; in breve, la nostra rinunzia al peccato.
Tutto ciò non può tuttavia essere compiuto con le sole forze umane. La Chiesa ci mette, quindi, a disposizione i sostegni della grazia che il Signore Gesù Cristo ci ha meritato con la sua Passione, Morte e Risurrezione.
Essi sono principalmente la Parola di Dio, i sacramenti e la carità fraterna.
La Parola di Dio, viva e vivificante – che in questo periodo dovrebbe essere letta con più assiduità – ci porta ad una più profonda meditazione sul mistero della nostra redenzione, visto sempre come attuazione, nel tempo presente, dell’eterna e amorosa volontà di Dio per la salvezza delle sue creature. Facendoci prendere le mosse dall’aurora del mondo su cui ben presto scese l’ombra del peccato e l’angoscia della morte, passando attraverso le dolorose esperienze purificatrici (con il diluvio, la schiavitù, il cammino nel deserto…), fino a giungere alla venuta del Figlio di Dio che prese su di sé tutto il peso del peccato e della miseria umana per redimerla con la propria sofferenza, la Parola ci dà uno sguardo nuovo su noi stessi, sul nostro destino eterno, ma anche su questo nostro tempo, su quest’ora drammatica della storia del mondo intero che stiamo vivendo non senza sussulti di paura.
I sacramenti, poi, realtà viva quanto la Parola di Dio, ci comunicano già i frutti della redenzione, per aprirci sempre di più alla grazia nel tempo presente e alla gloria nell’eternità.
Questi mezzi fondamentali sono resi in noi vitali e fecondi dalla pratica della carità fraterna, che è e rimane sempre il cuore del cammino ascetico verso la santa Pasqua.
L’aspetto comunitario dell’ascesi quaresimale ci viene continuamente proposto dalla Liturgia. Noi siamo il “nuovo popolo di Dio” e, come già l’antico Israele, facciamo anche noi il nostro esodo dalla terra della schiavitù del peccato verso la terra promessa della grazia, ossia dall’egoismo di una vita vissuta per se stessi ad una vita spesa per gli altri.
In questa compatta marcia ecclesiale, ognuno è responsabile dei compagni di viaggio; ognuno avanzando porta avanti gli altri, mentre arrestandosi o retrocedendo compromette la marcia dell’intera comunità. Una così grande responsabilità deriva al cristiano dalla sua stessa unione al Cristo la cui vita e il cui sacrificio sono stati un grande atto di solidarietà con gli uomini, un libero farsi responsabile di ogni condizione umana, affinché nessuno rimanga escluso dal bene della salvezza. Non vi può, quindi, essere una Quaresima individualista; c’è la Quaresima del popolo di Dio, della Chiesa, di ogni comunità e famiglia, di tutta l’umanità di cui la Chiesa, nel Cristo, si fa carico, secondo l’espressione di san Paolo: «Portate i pesi gli uni degli altri».
In tale prospettiva comunitaria della Quaresima, trovano il loro giusto posto e prendono valore anche tutti gli esercizi di mortificazione che vengono raccomandati. Essi, infatti, non sono soltanto un mezzo di personale purificazione, ma prima di tutto un pubblico riconoscimento della necessità di una conversione radicale e di una autentica condivisione dei beni con chi è più povero e più bisognoso, sia materialmente che spiritualmente.
Per fare bene la Quaresima, e quindi, la Pasqua, occorre perciò prendere la ferma decisione di convertirsi, di cambiare mentalità, di passare da una mentalità egoistica e pagana a una mentalità evangelica, altruistica ed ecclesiale. Infatti, chi cerca sinceramente Dio e lo riconosce come unico e sommo Bene, anzitutto rinunzia agli idoli (e quanti sono anche oggi gli idoli attorno a noi e dentro di noi!), e poi si mette a servizio del bene comune.
Allora anche le prove della vita, anche le sofferenze accettate con umiltà e soprattutto con fede e amore, diventano un prezioso contributo all’opera della redenzione. Tutti, infatti, facciamo l’esperienza della croce nel nostro vivere quotidiano. Se con spirito di fede riconosciamo in essa il mezzo che ci purifica dalle nostre colpe e ci unisce al Signore, possiamo trasformare il dolore in gioia di salvezza. Ecco perché il tempo del cristiano è tutto sacro; segna sempre l’ora della misericordia del Signore, l’ora del suo passaggio di grazia.
In definitiva, che cosa significa vivere la Quaresima, se non prepararsi a “fare la Pasqua?”, a passare dalla morte alla vita, dalla tristezza alla gioia?
Il deserto quaresimale in cui il Signore ci conduce non è un luogo esteriore, ma interiore: è la profondità del nostro cuore, là dove abita la SS. Trinità alla quale si addicono il silenzio e la lode, l’umiltà e l’adorazione.
In questo cammino spirituale ci sostiene la materna e premurosa presenza di Maria, la Vergine Madre che, fedele discepola del suo Figlio, lo seguì fino alla vetta del Calvario, e là stette, forte nella fede, ripetendo, in sintonia con lui, il suo sì d’amore alla volontà del Padre.  n