di Madre Anna Maria Cánopi
«Tutti vengono a te», canta ancora
la liturgia; ma questo “andare”
è sempre all’inizio, ha sempre bisogno
di essere nuovamente sospinto
Sulla soglia del nuovo anno troviamo ad accoglierci, con sorriso rassicurante, Colei che il Concilio di Efeso ha riconosciuto a pieno titolo “Madre di Dio”. Come umile e insieme altissimo trono, ella regge sulle ginocchia il Rex Pacificus. Felicemente perciò la Chiesa ha fatto la scelta di celebrare proprio il 1° gennaio anche la “giornata della pace”.
Quasi presi per mano e guidati da Maria, ci avviamo, dunque, per i sentieri di questo nuovo spazio di tempo che il Signore ci dona per ritornare a lui con tutto il cuore.
La liturgia ci fa ancora sostare alla grotta di Betlemme, dove troviamo la Vergine Madre che, dopo la visita dei pastori, va meditando nel suo cuore quanto sta accadendo attorno a lei e quanto si va dicendo del Bambino che stringe tra le sue braccia.
Questo suo atteggiamento la rende per noi un bellissimo esempio di ascolto, di preghiera e di meditazione. Là nella grotta, in silenzioso raccoglimento, ella già sembra contemplare, riflessa negli occhi di Gesù, la storia dell’intera umanità ancora ignara di avere un Salvatore, e proprio per questo bisognosa del suo materno aiuto per essere orientata a lui.
Ed ecco, al culmine del tempo di Natale, la solennità dell’Epifania: festa di luce nella quale splende la pienezza del mistero dell’Incarnazione, così come la Pentecoste in riferimento al mistero pasquale.
La Chiesa – lumen gentium – spalanca tutte le sue porte, affinché la luce del Cristo si diffonda nell’universo e avvolga e penetri tutto e tutti. Si sente protagonista di questa “manifestazione”, per questo si adorna come una sposa che invita tutti alla gioia. In questa festa risuonano in tutta la loro forza e bellezza le parole di Isaia:
«Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Cammineranno le genti alla tua luce…» (60,1-3).
Nello scintillante linguaggio profetico viene così presentato l’universalismo inaugurato dal Cristo. Questo aspetto di universalità viene messo in risalto nella liturgia specialmente attraverso l’interpretazione dell’avvenimento che caratterizza ormai la festa dell’Epifania: l’adorazione dei magi. Nei tre personaggi venuti da lontane regioni, dietro la guida della stella loro apparsa, si è voluto infatti vedere, sin dai primi secoli del cristianesimo, la chiamata di tutte le genti alla salvezza. Vengono così abbattute tutte le frontiere dell’esclusivismo nazionalistico: il Dio d’Israele, nato uomo dalla stirpe di David, nato a Betlemme di Giuda, si manifesta Dio e Salvatore di tutti gli abitanti della terra e diventa il primo cittadino di un popolo nuovo da lui costituito e stabilito – per legge d’amore – nell’unità.
La stella, che guida i magi nel loro viaggio, arricchisce non solo di bellezza poetica, ma anche di forza teologica questa festa: in essa si vede il simbolo della fede che illumina interiormente gli uomini per condurli alla conoscenza e all’incontro con Dio.
«Abbiamo veduto la sua stella ad oriente e siamo venuti ad adorarlo», dicono i magi. La stella è quindi il segno, l’irradiazione della luce immortale che è il Cristo. Essa costituisce anche, si può dire, una prova della potenza divina del Bambino nato a Betlemme, poiché con il suo brillare e il suo arrestarsi sopra la capanna “confessa” Dio, come canta un inno della festa e, confessandolo, gli rende omaggio da parte di tutti i corpi celesti: «Che cos’era dunque questa stella – scrive sant’Agostino – che non s’era mai vista prima tra gli astri, se non la lode magnifica del cielo che proclamava in tal modo la gloria di Dio?».
Il Dio incarnato non si manifesta soltanto all’umanità, ma all’intera creazione. E come i magi – l’umanità – vedendo interiormente brillare la stella trasaliscono di gioia e muovono verso la sorgente della luce, così certamente, anche se in un modo che da noi non può essere percepito, il cosmo trasale di gioia all’apparizione del Cristo e converge tutto verso di lui, come attorno ad un centro planetario di gravitazione.
«Tutti vengono a te», canta ancora la liturgia; ma questo “andare” è sempre all’inizio, ha sempre bisogno di essere nuovamente sospinto. Perciò la colletta della festa ci fa chiedere: «O Dio che in questo giorno, con la guida della stella, hai rivelato alle genti il tuo unico Figlio, conduci benigno anche noi, che già ti abbiamo conosciuto per la fede, a contemplare la grandezza della tua gloria». Oltre al simbolo della stella, la liturgia della manifestazione del Signore presenta il simbolo dei doni che i magi offrono al Messia: l’oro viene offerto a Gesù come segno della sua regalità; l’incenso – che indica adorazione e culto – come segno della sua divinità; la mirra come segno della sua vera umanità e come presagio della sua Passione, morte e sepoltura. Con i loro doni, però, i magi offrono anche se stessi. Significativo il fatto che siano stati spesso rappresentati nell’atto di deporre le loro corone ai piedi del Bambino, riconosciuto quale unico e vero Re di tutti i popoli, cui si deve l’ossequio della fede, dell’obbedienza, dell’umile servizio.
Il mistero contemplato nell’Epifania è solo l’inizio della “manifestazione” del Signore; essa si amplia subito nel corso dell’anno liturgico, in due altri importanti eventi della vita del Cristo: il suo battesimo e il suo primo miracolo compiuto a Cana, come canta la bellissima antifona gregoriana che, con sguardo contemplativo, li unisce nella stessa luce: «Tre miracoli hanno illustrato il santo giorno che celebriamo: oggi la stella condusse i magi al presepe; oggi fu cambiata l’acqua in vino al banchetto di nozze; oggi il Cristo volle essere battezzato da Giovanni nel Giordano per salvarci.
Con soprannaturale libertà la liturgia supera le leggi storiche e presenta in meravigliosa sintesi i vari aspetti dell’unico mistero salvifico del Cristo. Ma c’è di più: da quell’oggi extratemporale, eccola passare splendidamente ad una interpretazione mistica dei fatti: «Oggi la Chiesa s’unì alla Sposo celeste, poiché Cristo lavò nel Giordano le sue impurità: i magi accorrono con doni alle nozze regali, e i convitati si rallegrano per l’acqua cambiata in vino. Alleluia».
Tutto è unificato: dei tre avvenimenti separati nel tempo ora risulta unicamente la gioia delle nozze regali della Chiesa – dell’umanità redenta – con la divina Persona del Verbo incarnato.
La liturgia del Battesimo del Signore – nella domenica successiva alla solennità dell’Epifania, come pure quella delle domeniche immediatamente seguenti – continua dunque a sviluppare il tema della manifestazione del Signore. Dopo essere stati a Betlemme, eccoci sulle rive del Giordano dove Giovanni Battista sta battezzando. Gesù è tra la folla e si presenta al Precursore come un semplice israelita per ricevere da lui il battesimo di purificazione.
Questo avvenimento ci mette davanti ad un mistero di umiltà sconvolgente. Il Figlio di Dio non solo si è fatto uomo, ma si è caricato del peso e della responsabilità del peccato dell’uomo di ogni tempo, per presentarsi al Padre nella condizione di figlio pentito che comincia a percorrere la via del ritorno.
Nell’episodio del Battesimo si profila, infatti, già chiaramente la missione salvifica di Gesù: egli ha ormai lasciato la casa e l’officina di Nazareth, dove per circa trent’anni si era dedicato alle «cose del Padre» santificando nella sua la nostra vita quotidiana. Ora la sua opera si affretta al compimento. È il Padre stesso che lo fa uscire dall’ombra e che ce lo mostra proclamandolo suo Figlio diletto e suo Servo fedele.
Nel grido di Giovanni: «Ecco l’Agnello, ecco colui che toglie i peccati del mondo», c’è già un preannunzio del mistero pasquale, ossia del nuovo battesimo, veramente rigeneratore, che il «Servo di Dio» sofferente avrebbe inaugurato con il suo battesimo di sangue.
Nelle acque del Giordano Gesù non riceve quindi semplicemente un battesimo di purificazione – di questo egli non aveva bisogno – ma riceve una solenne investitura: viene apertamente dal Padre costituito Messia e manifestato al mondo come tale.
Perciò chi lo incontra è ormai messo davanti ad una scelta radicale: accettarlo e seguirlo o rifiutarlo e continuare ad attendere sulla strada deserta uno che è già passato.
Giovanni Battista, al quale è toccata l’incredibile avventura di battezzare l’immacolato Agnello di Dio, è il primo a riconoscerlo e a rendergli testimonianza: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio» (Gv 1,32-34).
È lui il Figlio di Dio. Nemmeno un’ombra di dubbio. È lui!
Ritornano alla mente le parole degli angeli ai pastori di Betlemme: «Troverete un bambino avvolto in fasce e adagiato in una mangiatoia». Ecco, il segno che è lui. E ritorna pure alla mente il segno dato ai Magi: là dove si arrestò la stella, c’era lui.
Ma per vederlo e riconoscerlo bisogna spingere lo sguardo al di là della apparenze, bisogna avere dentro una luce soprannaturale, quella della fede.