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di Madre Anna Maria Cánopi, osb

Il 10 giugno 1940, mentre stavo accanto a mia madre che, seduta davanti a casa sotto il tiglio, allattava l’ultimo fratellino, arrivò una donna gridando: «È scoppiata la guerra! Il Duce ha proclamato alla radio che anche l’Italia si è alleata alla Germania ed è entrata in guerra!». Mia madre ebbe un sussulto e strinse a sé il bimbo come per proteggerlo: «Misericordia, Signore! Che avverrà di tutti noi?».

Prima conseguenza fu la chiamata degli uomini  – giovani e meno giovani – sotto le armi. Avevo nove anni; non sapevo ancora che cosa fosse una guerra mondiale, ma ne intuivo la gravità dallo sgomento che vedevo sul volto delle due madri. Di fatto la nostra vita subì un brusco cambiamento.

A scuola si doveva studiare anche il «Cate­chi­smo della mistica fascista» e si iniziava ogni mattina non solo facendo il segno di croce e recitando il Padre nostro, ma anche recitando il “credo” fascista e facendo il giuramento: «Nel nome di Dio e dell’Italia giuro di eseguire gli ordini del Duce e di servire con tutte le mie forze – e se necessario anche con il sangue – la causa della Rivoluzione fascista». Si dichiarava inoltre di appartenere alla razza ariana! Cosa strana che dicevamo senza conoscerne il significato; ma erano tante le parole che non capivamo!
Si pregava per i soldati perché potessero sconfiggere  il nemico. E un nemico particolare era il popolo ebreo – quello da cui era nato Gesù Cristo – e che si era sparso in tutto il mondo inquinandolo!
Queste idee assurde e questi sentimenti devianti e ostili facevano violenza alla nostra età di ragazzi delle scuole elementari e ci inculcavano una concezione della vita del tutto in contrasto con il Vangelo e con l’insegna­mento che il nostro buon parroco cercava di tra­smet­terci continuando a farci il Cate­chismo della Chiesa cattolica.
Ogni settimana veniva un giovane “avanguardista” a farci fare ginnastica e ad interrogarci sul “catechismo fascista” – che aveva domande e risposte lunghissime e, come già detto, per noi incomprensibili. Con una mia sorella, che era una classe più avanti di me, ci alzavamo prestissimo al mattino per studiare anche prima di andare a scuola. E mio padre, che a volte ci sentiva, esclamava: «Roba da matti, roba da matti!». L’istruttore fascista diceva che dovevamo acquisire sentimenti patriottici, quindi odiare il nemico del nostro Paese. Ogni volta che sentivo nominare “il nemico”, io provavo un tale spavento da vederlo ovunque nascosto come un mostro.
In quegli anni anche il cielo faceva paura quando veniva attraversato dagli aerei bombardieri che si dirigevano sulle città. Dall’alto delle colline noi vedevamo talvolta salire il fumo e le fiamme all’orizzonte della pianura padana e sentivamo i racconti impressionanti degli sfollati che cercavano rifugio in campagna.
Poiché l’Italia era povera, fu rivolto l’appello a tutte le spose di offrire il loro anello matrimoniale per contribuire  alle spese degli armamenti e al mantenimento dell’esercito! Anche mia madre rispose all’appello e diede il suo unico gioiello d’oro. E poiché la guerra si prolungava, venne anche l’ora della chiamata alle armi del mio fratello maggiore. Aveva vent’anni: se ne andò come un ragazzo ignaro di ciò che l’aspettava. Infatti passò attraverso drammatiche vicende, trasferimenti e campi di concentramento. Non avevamo sue notizie e fu ritenuto disperso. Noi pregavamo aggrappandoci ad una impossibile speranza, e finalmente nel 1946 – un anno dopo la fine della guerra – tornò a casa. Si riprese pian piano al calore del nostro affetto e sulla sua tragica esperienza, come molti altri reduci, preferì far calare il silenzio.
Le conseguenze della guerra si protrassero a lungo per tutti, negli animi e nella situazione economica. Gli alimenti essenziali venivano ancora acquistati con la “tessera annonaria” che assegnava una scarsa razione a ogni membro della famiglia. I poveri che non potevano accedere al “mercato nero” erano perciò denutriti. In quegli anni, se la nostra mamma metteva a tavola una pietanza e non diceva nulla, il piatto si vuotava in un batter d’occhio; se invece diceva che doveva bastare per tutti, ne avanzava sempre un po’…
La povertà era una buona scuola di educazione all’altruismo. Ovviamente dove veniva a mancare l’amore vicendevole, diventava invece causa di lotta per la sopravvivenza.
L’esperienza del tempo di guerra e degli anni immediatamente successivi fu determinante per il mio modo di conoscere l’umanità e di concepire il senso e il valore della vita.
Nel 1945 – durante le lotte tra partigiani, fascisti e tedeschi ancora in Italia – tornando a piedi dal capoluogo dove frequentavo la scuola media, mi accadde di vedere giovani cresciuti insieme nello stesso paese inseguirsi armati di fucile e spararsi come nemici, abbandonando gli uccisi sul ciglio della strada. Per questo tutte le stragi umane che ancora oggi avvengono in tanti Paesi del mondo provocano un’enorme risonanza di dolore dentro di me, come se rivedessi quei cadaveri.
Tutto quello che accadeva mi sembrava una catastrofe; eppure ero tanto affascinata dalla bellezza del creato e della vita e di quello che vivevo come cristiana: l’amore del Signore, la preghiera, le feste religiose…
Negli anni successivi, ormai adolescente, mentre mio padre ogni lunedì mi accompagnava di buon mattino all’autobus per andare alla scuola superiore in città, mi venivano fuori domande esistenziali… Egli – da semplice uomo esperto in filosofia della vita sottoposta alla dura fatica e al mite patire – rispondeva alzando le braccia verso il cielo: «Figlia mia, Lui lo sa!».
Non riuscivo a vivere spensieratamente la mia giovinezza, tuttavia non rimpiango nulla: la sofferenza è stata per me una vera scuola di maturità.
Oggi la guerra, sotto varie forme invade il mondo, e sembra che molta gente, ormai assuefatta, viva come se ciò non la riguardasse. I mass-media mettono sotto gli occhi di tutti immagini di violenza e di corruzione, e molti giovani ne subiscono conseguenze devastanti. Guai ad assuefarsi a vedere il male e a diventare insensibili! Ci si può trovare inconsapevolmente a diventarne complici.
La storia umana, tuttavia, non è mai una tragedia irreparabile, poiché il Signore è sempre all’opera nel far nuove tutte le cose e, con la sua grazia, anche in pieno inverno fa spuntare nei cuori aridi germogli di primavera.