di Madre Anna Maria Cánopi
Il viaggio della vita è fatto in compagnia e le persone che, di tappa in tappa, provvidenzialmente ci stanno al fianco hanno una loro più o meno grande incidenza nella nostra storia.
Per questo dovrei fare memoria di una lunga schiera di persone, ma mi limito ad alcune più significative, a partire, ovviamente, da quelli che mi hanno introdotto nella vita.
I miei genitori: Mario e Maria Cleofe. Lui potrebbe essere definito un uomo di pensiero, lei una donna di intuizione; un connubio di razionalità e di poesia, di forza e di dolcezza. Sapientemente umili, con la sola istruzione elementare hanno saputo esprimere nella loro vita i valori più genuini del cristianesimo: la famiglia salda e numerosa, la responsabilità dell’educazione, il sacrificio del lavoro, l’altruismo. Non posso che pensarli in cielo nella schiera di quelli che hanno vissuto le beatitudini evangeliche.
Accanto a loro, i miei fratelli e le mie sorelle dai quali ho sempre largamente ricevuto – oltre il grandissimo affetto – l’esempio di una genuina semplicità e serietà di vita.
Dopo i familiari, ecco emergere il ricordo di una maestra di scuola elementare, quella che chiamavamo la “madrina”, perché – non sposata – faceva da angelo tutelare a tutti i bambini del paese e aveva per me una particolare attenzione. Era una donna profondamente religiosa, dolce e conciliante; tutta la gente del paese si riferiva a lei per consiglio e sostegno, in parallelo con il parroco, che non era un prete espansivo e popolare, ma sempre vigile sul suo gregge stando davanti al tabernacolo.
Nella giovinezza ebbe particolare incidenza sulla mia vita, nell’ambito della cultura, lo scrittore sacerdote Cesare Angelini, allora Rettore del Collegio universitario Borromeo di Pavia. Mi parlava dei suoi studi sul Manzoni, della sua amicizia con Giovanni Papini e con lo scrittore ebreo Paolo De Benedetti con il quale mi ha fatto incontrare. Mi diceva anche della sua traduzione degli Atti degli apostoli e del suo grande amore per la Terra Santa, dove avrebbe voluto morire ed essere sepolto! Mentre passeggiavamo nel giardino del palazzo Borromeo voleva che gli leggessi i miei versi e diceva: «Se io sono poeta, tu sei la poesia!». Quando venne a visitarmi in monastero, mi disse: «Sono venuto a rinnovare il mio battesimo nell’acqua pura delle anime vergini». Era un prete “originale” – si diceva. Ma in lui c’era una grande riverenza verso il sacro e il bello, un appassionato amore a Gesù. In quegli anni era ospite del Collegio Borromeo anche il giovane studente di medicina Giancarlo Bertolotti, più giovane di me, con il quale condividevo l’assistenza ad alcuni ragazzi bisognosi soprattutto di affetto. Nella sua timidezza, era di una bontà indicibile. Quando io entrai in monastero, salutandomi mi disse che avrebbe sempre lavorato in favore della vita. Consacrato nell’Istituto secolare di Cristo Re, lavorò come ginecologo nell’ospedale di Pavia e fu coraggioso obiettore di coscienza contro l’aborto. Salvò tanti bambini, specialmente di ragazze madri, talvolta facendosi carico del loro mantenimento. Morì in un incidente stradale mentre, a tarda sera, si recava ad assistere una madre che aveva avuto un difficile parto. Lo considero – non io sola! – un santo del nostro tempo da proporre come patrono del Movimento per la vita.
E ora devo ricordare il sacerdote che il Signore mi diede come guida spirituale: don Aldo Del Monte. Tornato ferito dalla tragica esperienza della seconda guerra mondiale – era stato mandato come cappellano militare in Russia – dopo aver visto in faccia la mostruosità dell’odio e della morte, si ricostruì interiormente sostando in abbazie benedettine e si votò con tutto se stesso ad annunziare la bellezza del mistero della vita in Cristo. Fu lui a mettermi a diretto contatto con il monachesimo. Era un uomo di Dio entusiasta della Chiesa, che egli serviva con tanto amore. I Ritiri spirituali che predicava ai giovani di Azione Cattolica, i convegni denominati “Campane azzurre”, i corsi formativi… tutto concorreva a farci acquisire una visione della vita umanamente positiva perché tutta orientata al soprannaturale.
Don Aldo Del Monte, anche quando dalla Diocesi passò a Roma e da Roma a una sede episcopale, rispecchiò sempre nel suo animo le verdi colline dell’Oltrepò e le bianche distese della nevosa Siberia macchiata di sangue. Il suo motto – Gloria Dei homo vivens, la gloria di Dio è l’uomo vivente – esprimeva bene il suo volto interiore, il suo amore a Dio e all’uomo, il suo sguardo attento alla storia e proteso verso l’eterno, perché – come dice proseguendo il testo di sant’Ireneo – vita autem vera visio Dei, vita vera è la visione di Dio. Quando entrai in monastero, mi disse: «Porta il peso del mondo con te… e vedrai cose più grandi di queste…». Il Signore mi fece vedere davvero cose sempre più grandi operate unicamente dalla sua grazia.
Dopo il vescovo Mons. Del Monte il Signore è stato ancora tanto benevolo con me e con la comunità donandoci, nel 1991, un successore – Mons. Renato Corti – che ha continuato a seguirci con affettuosa sollecitudine di pastore.
Durante i vent’anni del suo ministero episcopale in diocesi di Novara ha consacrato una cinquantina di monache della nostra comunità. Ogni volta era per lui una felice occasione per parlare non solo al nostro cuore – Cor ad cor loquitur è il suo motto! –, ma anche al cuore delle numerose assemblee di fedeli, mettendo in evidenza il valore e la bellezza del carisma monastico nella Chiesa.
Nell’ambito del monachesimo non posso inoltre tralasciare la memoria di due grandi figure di monaci con i quali ho avuto modo di entrare in profonda comunione: P. Mariano Magrassi – prima monaco a Genova, poi abate di «Madonna della Scala» a Noci e infine arcivescovo di Bari – e P. Pelagio Visentin dell’abbazia di Praglia. Entrambi maestri di vita monastica ed esperti in Sacra Liturgia alla quale – dopo il Concilio – hanno appassionatamente dedicato mente e cuore.
Un rapporto di intesa profonda sulla vita nello Spirito mi fu donato anche nelle persone di P. Divo Barsotti e di P. Giuseppe Dossetti, fondatori di nuove famiglie religiose di impronta monastica, che hanno immesso nella Chiesa e nel mondo un’abbondante linfa di vita spirituale. Non posso tralasciare il grato ricordo di Mons. Enzio D’Antonio – ora vescovo emerito di Lanciano – con il quale, per incarico della CEI, ho condiviso la passione e la fatica di curare la prima edizione della Bibbia e dei Libri liturgici dopo il Concilio Vaticano II. Dal comune amore per la Chiesa è nata una profonda amicizia spirituale che, pur senza più vederci, ci è ancora di grande consolazione.
E infine voglio ricordare i “miei” papi. Sono nata durante il pontificato di Pio XI, sono cresciuta sotto quello di Pio XII, sono entrata in monastero durante il pontificato di Giovanni XXIII e ho vissuto la mia vita consacrata sotto quelli di Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
Quando ero ancora adolescente avevo desiderato di fare mia l’affermazione di Caterina da Siena: «Mentre che sono peregrina e viandante in questa vita, si consuma e distilla la vita mia in questa dolce Sposa (la santa Chiesa); io per questa via e i gloriosi martiri col sangue» (Lettera 373).
Per un disegno provvidenziale di Dio, l’amore per la Chiesa si è concretizzato anche nella mia vita anzitutto nella preghiera e poi in scritti a servizio della Parola. Ma per timidezza e perché consapevole di essere davvero piccola e povera, non avrei mai osato pensare di potermi avvicinare personalmente a un papa. Infatti Pio XII era per me il “Bianco Padre” che da Roma abbracciava il mondo; Giovanni XXIII il Papa buono che guardavo da lontano con venerazione. Con Paolo VI avvenne invece l’impensabile. Già lo conoscevo come arcivescovo di Milano, perché veniva a visitare la comunità monastica di Viboldone che gli era molto cara. Ricordo ancora con commozione l’ultimo saluto che ci diede prima di partire per il Conclave, da cui non fece ritorno. Dopo qualche anno, in una udienza privata – avendo collaborato per la nuova traduzione della Bibbia e per la nuova edizione dei libri liturgici secondo le norme del Concilio Vaticano II – mi fu dato di sentire su di me l’intensità del suo sguardo e la stretta forte e affettuosa delle sue sante mani. Il suo pontificato fu contrassegnato dal martirio della coscienza e del cuore: un martirio d’amore, che Dio solo conosce, per la Santa Chiesa. Fu, come Gesù, talvolta incompreso e anche vilipeso, ma ora lo vediamo splendere nella schiera dei gloriosi testimoni della fede. Di Giovanni Paolo I ho solo il ricordo di un volto di “fanciullo innocente” caricato di un peso troppo grave. Il Signore lo rapì nel sonno e lo risvegliò in Cielo!
Ed ecco la gigantesca figura del beato Giovanni Paolo II. Per lui scrissi il testo della Via Crucis al Colosseo nel Venerdì Santo 1993. In quell’anno, infatti, il S. Padre volle che fosse una donna ad esprimere, accanto alla Vergine Madre, il dolore del Figlio crocifisso per la salvezza dell’umanità. Quando mi vide, pochi mesi dopo durante un’udienza alle abbadesse riunite a Roma, mi guardò intensamente e mi disse: «Grazie! Grazie per la Via Crucis!». E sembrava commosso. Lo rividi ancora proprio da vicino nel nostro monastero «Regina Pacis» in Valle d’Aosta nell’estate 2004. Mentre cantavamo un canto mariano in lingua francese mi si fece vicino per leggere sul mio foglio e cantare con noi: «Je vous salue, Marie…». Di quella visita mi è rimasto in dono il suo cappello di paglia bianca che metteva durante le passeggiate in montagna per ripararsi dal sole! Ho patito e offerto con lui la kenosi della sua malattia che lo rese icona del servo sofferente e, nella sua impotenza, ancor più canale di grazia per il mondo. La tenerissima devozione alla Madre del Signore, espressa anche nel definirsi come “tutto suo” – Totus tuus – lo ha reso particolarmente attento alla presenza nella Chiesa del genio femminile, cui riconosceva il primato dell’amore oblativo.
Di grazia in grazia arriviamo a papa Benedetto XVI, sotto le cui direttive, mentre era ancora Cardinale e Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, lavoravo per la preparazione del Catechismo della Chiesa Cattolica. Già ammiravo la sua mente luminosa e la sua personalità lineare, ma quando, nella visita che anch’egli fece alla comunità «Regina Pacis», mi trovai a conversare accanto a lui, Pontefice, con spontanea confidenza, come ispirava la sua amabile semplicità, ho conosciuto più profondamente il suo cuore di Padre e di Maestro. Per salutarlo intonammo l’inno «Grosser Gott, wir loben dich, Dio grande, noi ti lodiamo…», ed egli (che ben lo conosceva!) si unì con entusiasmo al nostro coro.
È il papa anziano della mia età senile… Tutte le fatiche e le sofferenze del suo servizio alla Chiesa mi sono ogni giorno di stimolo a un sempre più generoso “consumare e distillare” anch’io la mia vita in comunione con il Cristo e con chi lo rappresenta, per la santità della Chiesa e la salvezza di tutti gli uomini.
Termino così il viaggio nella mia memoria. Consegnandolo umilmente ai lettori, chiedo loro di accompagnarmi con la preghiera per il tratto di strada che ancora mi rimane davanti.