2*/ La pedagogia vocazionale di Gesù
di Rosanna Virgili
La pedagogia vocazionale è un tutt'uno con l'annuncio stesso del Vangelo. I poli sono due: il primo è che non c'è Vangelo senza apostoli; il secondo che non c'è Vangelo senza le folle che "sono senza pastore". Sul primo punto dobbiamo dire che Gesù non fa nulla senza gli apostoli. Come se fosse Vangelo stesso il modo di annunciarlo, la forma: a due a due. In più coppie. Dodici, un numero pari.
Tra l'altro un numero equivalente a quello delle tribù di Israele, che erano dodici più la tredicesima, quella dei Leviti - Gesù, infatti, che è anch'egli un tredicesimo, è la parte di Dio, come Levi in mezzo ad Israele. Questo gruppo è già Vangelo, è già Regno di Dio vicino, tempo compiuto, perché è una realtà evangelica, che sta cioè fuori dalla realtà umana (= quella di sangue). In questo modo Gesù giudica la religione giudaica come un fenomeno ancora "umano".
Il Vangelo annunciato dagli apostoli con la loro stessa identità di comunione, viene intimamente coinvolto con le folle: «malati e indemoniati» (1, 32); «tutta la città» (1, 32); «tante persone» (2,2); «tutta la folla» (2, 13); «molta folla» (polu plethos, 3, 7) che veniva da ogni parte, dalla Giudea, da Gerusalemme, dall'Idumea e dalla Transgiordania e Sidone... (cf 3, 8). «Si radunò di nuovo tanta folla che non potevano neppure prendere cibo» (3, 20). La folla è la vera "famiglia" di Gesù, quella che Gesù sceglie:
«Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono a chiamare. Tutto attorno era seduta la folle e gli dissero: Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano. Ma egli rispose loro: Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? Girando lo sguardo su quelli che gli erano seduti attorno disse: ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre» (Mc 3, 31-35).
La vocazione degli apostoli è nella folla, per la folla, non per se stessi. L'alveo non è più quello della famiglia, ma quello di una realtà universale, complessa e contaminata. L'ambiente in cui cresce l'apostolo è globale, universale, non protetto da muri, esposto al mondo. Anche gli apostoli imparano dalla loro nuova famiglia, radicati, ormai, in quella di Gesù, che egli si è scelta e, in quanto nuova famiglia, a sua volta "soggetto educativo". In questa nuova realtà di legami, tutti imparano come per osmosi.
Dobbiamo dunque concludere che la cura pedagogica di Gesù verso le folle si interseca inscindibilmente con la pedagogia e la missione degli apostoli. Resta, tuttavia, una differenza di livelli, di linguaggio, di gradi, tra queste due realtà.
Gesù pedagogo delle folle
L'attenzione di Gesù verso la gente si manifesta immediatamente attraverso le opere prodigiose che egli opera. Gesù scaccia i demoni, guarisce il lebbroso, fa alzare il paralitico dal suo lettuccio. Gesù inizia ad educare le folle, venendo incontro ai loro bisogni, alle loro debolezze. Liberando dal male. La sua pedagogia è basata sull'evidenza delle cose, tanto che la reazione della gente è questa: «Non abbiamo mai veduto nulla di simile» (2,12).
Anche per gli apostoli Gesù pone i miracoli, ma il testo appena citato di Mc 3,31-35 fa da spartiacque tra un prima e un dopo nella pedagogia vocazionale di Gesù. Da questo momento egli sarà un pedagogo dichiarato, visto che "sua madre e i suoi fratelli" sono coloro che "fanno la volontà di Dio". Ora Gesù è dichiaratamente un pedagogo alternativo alla Legge. Vediamo di individuare gli aspetti speciali della pedagogia che Gesù usa verso gli apostoli.
L'insegnamento particolare per gli apostoli
a. La spiegazione delle parabole: «(...) quelli che erano intorno a lui insieme ai Dodici lo interrogavano sulle parabole. Ed egli disse loro: A voi è stato confidato il mistero del regno di Dio, a quelli di fuori, invece, tutto viene esposto in parabole» (Mc 4,10-11 ). Gesù insegna ai Dodici e a quelli loro vicini una speciale conoscenza delle cose, il "mistero" che c'è dentro la parabola. «In privato ai suoi discepoli spiegava ogni cosa» (Mc 4,34).
b. L'impegno e la fatica della missione: Gesù dà una grande missione ai Dodici (cf Mc 6,7-13). Li invia due a due a scacciare demoni, operare guarigioni, ad insegnare a tutti quanto riguardava Gesù stesso. L'opera missionaria dei Dodici consta delle stesse cose che operava Gesù, il quale, a sua volta, insegnava e compiva miracoli. Alla fine della loro missione: «Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato» (Mc 6,30).
c. La cura delle debolezze e dei sentimenti più umani: rientra nella pedagogia di Gesù il suo stile gentile ed affettuoso, comprensivo e vicino all'intima umanità dei suoi apostoli. Non si scandalizza dei loro sentimenti di paura, anzi, va loro incontro per poterli rassicurare: «Perché siete così paurosi? Non avete fede?» (Mc 4,40); «Coraggio, sono io non temete» (Mc 6,50); con estrema dolcezza Gesù si avvede e si preoccupa per la stanchezza che essi possono avere, dopo la missione e, come una madre, li invita dicendo: «Venite in disparte e riposatevi un po'» (6,31). Gesù si preoccupa della stanchezza dei suoi, della loro fragilità e si riposa con loro in un luogo solitario. Gesù mostra, infine, mitezza e pazienza nell'aspettare che i Dodici comprendano ciò che lui sta compiendo nella sua vita pubblica. Con umiltà e trepidazione li interroga: «Non capite ancora?» (Mc 8,21). (continua)
* Relazione al Convegno dei Giuseppini a San Giuseppe Vesuviano