di Gianni Gennari
Credo… Siamo giunti a quello che può dirsi ed è il centro del nostro cammino nella scansione del Credo «cristiano», e cioè Gesù Cristo. Abbiamo pensato al «Dio prima di noi», Creatore del cielo e della terra, creatore dell’uomo a sua immagine somigliantissima come «maschio e femmina» (Gen. 1, 26), che ha aperto la via all’umanità in cammino.
è seguito il primo inciampo, segno della limitatezza della creatura che non vuole riconoscersi tale e pretende di «essere come Dio», rappresentato nel racconto misterioso del «peccato originale», rottura dell’uomo creatura con il disegno del Creatore. Ma questa rottura, seguita da una serie di conseguenze negative – la tentazione del dominio dell’uomo sulla donna, l’insicurezza di sé nella nudità, la morte, i dolori del parto, la fatica del lavoro, la rivalità tra fratelli, la ribellione della natura che cerca di sommergere l’umanità nel «diluvio» e altro ancora – è accompagnata fino dal primo momento dalla promessa di salvezza e di redenzione. Tutta la storia di Israele, popolo della promessa e dell’alleanza, è orientata a questa promessa: la venuta del Messia, l’Unto del Signore, il Salvatore di Israele…
Da Adamo ed Eva, figura simbolica dell’inizio dell’umanità intera, alla storia reale di Noé, e via via di Abramo, di Isacco e Giacobbe, fino a Mosè, a David, ai re ed ai profeti si giunge all’annuncio fatto a Maria di Nazareth, sposa di Giuseppe, che diventa madre di Dio nell’umanità divina di Gesù, il quale è alla lettera, come lo chiama un polemico scritto ebraico primitivo, «Auenghìlion», Evangelium: Vangelo vivo, annuncio di salvezza universale e definitiva.
Gesù Dio e Uomo: su questo doppio nodo della nuova fede, «scandalo per i Giudei» – vista la sorte apparente dell’uomo di Nazareth, e «follia per i gentili», vista l’essenza dell’annuncio di morte e di resurrezione che accompagna la predicazione dei suoi primi discepoli, si snoderà per un millennio la vicenda ecclesiale cristiana. I primi Concili, a parte il primo incontro a Gerusalemme che dà il via alla diffusione senza condizionamenti della storia ebraica precedente, seguito poi dallo «scontro» liberatore di Antiochia in cui Paolo «resiste in faccia» a Pietro indotto all’incertezza da cattivi consiglieri, saranno tutti nell’affermazione via via più esplicita, ma chiara fin dall’inizio – basta consultare i quattro Vangeli, gli Atti e le Lettere degli Apostoli – dell’intreccio della divinità e dell’umanità nell’unica Persona del Figlio di Dio: due nature, una persona. Quasi un millennio di predicazione e di annuncio salvifico, dall’Oriente fino ai «confini della terra», «finisterrae» come allora era chiamata dalla fantasia delle genti la terra che oggi ha il nome di Gibilterra…Nicea due volte, Efeso, Calcedonia, Costantinopoli quattro volte, passando anche per la tempesta dell’iconoclastìa. Tutto in Oriente, in Turchia, la culla della fede oggi resa quasi deserto di fede dal passaggio tumultuoso dell’Islam nella seconda metà del primo Millennio…
Gesù Uomo e Dio, vero uomo e vero Dio, in Lui l’umanità intera è chiamata alla definitiva espansione della propria realtà, la salvezza, che è anche assimilazione per grazia, e non «per rapina» superba, alla realtà di Dio. In Lui si realizza in modo unico e definitivo, dopo la molteplice realtà e i molti modi della parola e della presenza divina (Eb. 1, 1), la discesa di Dio stesso che si dona: «presenza», l’«Io ci sono» a Mosè nel cap. 3 dell’Esodo, «guida» verso la Terra Promessa, «difesa» nei pericoli e «salvezza» nelle avventure di coloro che «ascoltano» davvero le sue «Parole» – haddebarìm – che noi chiamiamo i comandi, e solo per questo loro autentico «ascolto» le mettono in pratica…
La risposta di Dio alla ricerca dell’uomo. Ha cercato e cerca il volto di Dio l’uomo di tutti i tempi e di tutti i popoli – “Signore, io cerco il tuo volto” (Sal. 28,7). Ed ecco la risposta di Dio in Gesù: “Chi vede me vede anche il Padre” (Gv. 14, 9). E da quel momento l’invocazione dell’uomo, che si interroga da sempre sul senso del vivere, del morire, dell’amare, e del suo dovere di scegliere il bene di fronte al male, di vivere nella gioia e in una speranza che “non delude” (Rom. 5, 5), può generare l’invocazione profonda e pienamente appagante: “Vieni, Signore Gesù!” (Ap. 22, 20).
è qui, in Gesù di Nazareth Dio e Uomo, donato e offerto, crocifisso e risorto, asceso al Cielo e donatore dello Spirito ai suoi discepoli chiamati ad essere “ecclesìa”, chiesa, convocazione dei “Santi” per vocazione universale e misteriosamente realizzata nel corso dei secoli, per mezzo della Chiesa, che ha una parte visibile e storicamente individuabile nel corso dei secoli attraverso la fedeltà dei “chiamati” e anche attraverso i loro limiti, ma ha anche una parte invisibile nota solo al giudizio di Dio, di cui fanno parte tanti che – come ha detto Benedetto XVI nel suo “Luce del mondo” (p. 20) – paiono essere “fuori”, e invece sono “dentro”, al contrario di tanti che paiono essere “dentro” e in realtà si collocano da sé stessi “fuori”. La Chiesa “istituzione e mistero”, corpo visibile e corpo mistico di Cristo Salvatore e Redentore universale, cattolica in senso stretto anche se visibilmente contenuta in confini umani – virtù e peccati – percepibili da chiunque osservi la sua storia reale.
L’essenza del Cristianesimo. è «qui il punto essenziale – scriveva Giovanni Paolo II nella “Novo Millennio Ineunte” – per cui il Cristianesimo si differenzia da tutte le altre religioni» che nel corso dei secoli hanno cercato di esprimere «la ricerca di Dio» nelle tantissime forme via via come generate all’interno delle più diverse realtà vissute nella storia umana. Per questo e solo per questo è «Cristianesimo». Ancora Giovanni Paolo II: «L’avvio è dato dall’Incarnazione del Verbo. Qui non è solo l’uomo a cercare Dio, ma è Dio che viene in persona a parlare di sé all’uomo e a mostrargli la via sulla quale è possibile raggiungerlo».
Chi è veramente Gesù Cristo? Eccoci al centro: facile una risposta teorica, formulata con parole antiche, verissime e fissate definitivamente nella fede di 20 secoli: formule antiche e venerabili, da cui occorre muovere senza tornare indietro. Questo è – nella realtà troppo spesso ignorata dalla polemica quotidiana pro e contro – il dogma cristiano: una affermazione dalla quale non si torna indietro, ma mai un muro oltre il quale la ricerca umana sincera e appassionata non può andare. Il dogma? Una freccia che indica all’interno del Popolo di Dio che è la Chiesa la direzione di un cammino già percorso nei secoli e sulla quale occorre continuare a riflettere, a pregare, a vivere nella storia fatta di ricerca e insieme di fede. “Credo per capire, capisco per credere”: è la formula antica e sempre nuova della teologia cristiana, e cattolica in primo luogo.
Ma non si tratta di parole, di concetti, di idee. C’è altro alla fonte della fede in Cristo Gesù che realizza la stessa Chiesa, sia nel singolo credente che nella comunità della fede: «All’inizio dell’essere cristiani non c’è una decisione morale o una grande idea, ma l’incontro con un avvenimento, con una Persona che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Benedetto XVI, Deus Caritas est, 1).
Ecco dunque la presenza di Gesù: nella Parola di Dio, la Scrittura, e nella realtà del suo Popolo, la Chiesa. La Parola senza la Chiesa, o la Chiesa senza la Parola sarebbero mutilate…
La vicenda storica del Signore Gesù nella vivacità e molteplicità dei racconti evangelici, per rispondere alla domanda che vale tutto: “Chi è davvero quest’uomo?” (Mc. 4, 41). E sarà lo stesso Marco che concluderà con la risposta alla domanda con le parole del Centurione romano sotto la Croce: “Veramente quest’uomo è il Figlio di Dio” (Mc, 15, 39). E’ la sostanza di tutti gli scritti del Nuovo Testamento, i Sinottici (Marco, Matteo e Luca), Giovanni, gli Atti e le Lettere degli Apostoli, fino all’Apocalisse. Lui è Figlio dell’Uomo, Figlio di Dio, Messia, Verbo Eterno, Signore, Agnello di Dio, Buon Pastore ecc…
Ma è realtà concreta, di vita quotidiana, di uomini normali, con le loro paure, le loro speranze, le loro esitazioni, i loro peccati, che diventano “discepoli” – in greco il termine è “akolouthès”, colui che mette i suoi piedi nelle orme del maestro, e nel caso le orme saranno non soltanto sicure e splendidamente sorrette dalla grazia, ma anche insanguinate del Sangue dell’Agnello di Dio… Una realtà viva e concreta, con momenti di vita e concretezza disegnati con cura straordinaria: una chiamata personale per ciascuno, nelle condizioni della vita quotidiana, davanti alle reti, o al banchetto delle tasse, o sull’albero di sicomoro, o nella notte impaurita dell’uomo eccellente che faceva parte del Sinedrio; un pasto comune sulla spiaggia con pesce arrostito da Lui per loro che avevano quasi deciso di lasciar perdere; una grande quantità d’acqua trasformata in vino per non mortificare due giovani sposi e le loro famiglie; un cieco cui Lui ha aperto insieme gli occhi e tanti problemi con la famiglia e con i conoscenti, e così via per tante pagine. Si potrebbe andare avanti per ore… Ecco la parola semplificante, in senso buono e felice, di Pietro: “Non per essere andati dietro a favole artificialmente inventate vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, ma perché siamo stati testimoni con i nostri occhi della sua grandezza” (2Pt. 1, 16).
Ecco, stavolta ancora come da sempre: “Marana thà!” (Vieni Signore!). Certamente, ma ora e finalmente anche “Maran athà!” (Il Signore è venuto!). Alla prossima riflessione…