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di Gianni Gennari

“Credo”, e poi “Credo in Dio”: così dall’inizio di questi dialoghi, poi fino qui “Padre Onnipo­tente”, con l’avverten­za forte che questo “Padre” è solo conseguenza della rivelazione del “Figlio” incarnato, non nome spontaneo dato all’ignoto dal nostro umano sentimento di inferiorità prodotto dall’esperienza del limite e che quell’“onnipotente” non è la smisurata dilatazione del rovescio dei nostri fallimenti e delle nostre impotenze di conoscenza e di  potere, che nelle religioni inventate dagli uomini producono “miti” e “riti”, ma percezione profondamente cambiata dall’ascolto e dalla memoria della realtà rivelata e donata nella nostra storia con il Figlio Gesù di Nazaret, crocifisso, morto e risorto.
Un Padre speciale, dunque, non certo ad immagine di ciò che la nostra esperienza spesso contraddittoria chiama “paternità”. Non per nulla a immaginare la paternità della divinità come gelosa della crescita dei figli, rivale ed ostile ad essi era giunta proprio e sempre ogni religione inventata dagli uomini, dalla Persia, all’Egitto, alla Grecia, a Roma. La divinità pensata così da noi esigeva il sacrificio di ciò che era più caro, i primogeniti, e l’offerta di tutte le primizie.
Opportuno ricordare, qui, che il capitolo 22 del Libro della Genesi non è “nuovo” perché Abramo pensa che sia volontà divina il sacrificio di Isacco, ma perché il suo “nuovo” Dio, che lo ha chiamato a partire da Ur e ad avviarsi verso il futuro rifiuta il sacrificio del figlio primogenito, e così si apre quella prospettiva che poi i Padri della Chiesa hanno definitivamente descritto così: quello che Dio non ha chiesto ad Abramo lo ha fatto Lui per noi, sacrificando il Figlio suo sul legno, la Croce, e sul monte, il Calvario… Nessuna rivalità, quindi, di questo “Padre” nei confronti dei “figli”. Nessun timore di un “padre castratore” che limita la fecondità dei figli. La lettura di Freud è del tutto fuori luogo nella rivelazione della paternità divina offertaci realmente nel Verbo incarnato, Figlio unigenito,  Gesù di Nazaret che ci chiama fratelli e rende anche noi veri “figli di Dio”. Nessun “oppio dei popoli”, se servisse ancora qualche precisazione: la grandezza di Dio non è costruita sulla nostra miseria, ma è donata ad essa e la trasforma in prospettiva e in speranza realissima in Sé.
Dio “Creatore”:
il racconto biblico del “principio”
Ed eccoci al tema successivo, con in mano “il Libro” (la Bibbia) proprio alla prima parola (Gen. 1, 1), “Bereshìt” (all’inizio). Rosh, in ebraico, è sempre principio, inizio, capo, cominciamento assoluto: “In principio Dio creò il cielo e la terra”.
Il primo capitolo, intero, racconta in un certo modo, studiatissimo come vediamo subito, l’azione di Dio creatore, e il secondo capitolo racconterà la stessa cosa in modo diverso, soffermandosi con particolare evidenza sul modo della creazione dell’uomo e della donna, mentre il primo capitolo ha descritto con sintetica immaginazione semplicemente il fatto, dopo l’iniziale affermazione sostanziale.
Pregherei il lettore di aver davanti il racconto biblico, dal versetto 1 al 26. Pare una “favola”, e per certi aspetti lo è, ma non nel senso che racconta cose false, mitiche, frutto della fantasia umana, bensì nel senso che si tratta di mettere insieme le affermazioni in un certo modo, con una certa sequenza, affinché chi ascolta il racconto possa farsi una idea fondamentale del tutto…
Un piccolo esempio, come tra parentesi, per capirci meglio. Tutti noi ricordiamo il ritornello della misura dei tempi dell’anno, i mesi: “30 giorni a novembre, con april, giugno e settembre, di 28 ce n’è uno, tutti gli altri ne han 31”. A che serve? A farci intendere tutto l’anno in una sequenza facile, e assimilabile a memoria. Ecco: immaginiamo che l’anziano patriarca, il padre di famiglia, il nonno ebreo di inizio del millennio prima di Cristo racconta ai nipotini l’epopea del loro popolo, e comincia ovviamente dall’inizio: “Bereshit!”
“In principio Dio creò il cielo e la terra”. “Cielo e terra” per la cosmogonia ebraica erano – e sono – il tutto. Tutto viene da Dio, che “crea”. Il verbo ebraico usato è “baràh”, termine tecnico usato solo per la creazione…
Tutto viene da Dio, ma il testo continua che questo “tutto” era, sempre “al principio”, deserto e vuoto – “tòhu wabhòu” dice il testo ebraico – caos e confusione, abisso disordinato e oscuro, ma…Ma il testo continua: “e lo spirito di Dio aleggiava sulla faccia delle acque”.
L’inizio di tutto, dunque, dall’azione creatrice di Dio, che non trasforma come la nostra qualcosa che già esiste, ma la produce per la sua potenza.
E poi? Poi la descrizione di una sequenza ordinata e precisa, fatta in pratica di nove azioni divine, tutte fatte di una parola che ordina. Il verbo usato è “amàr”, cioè dire, parlare, pronunciare un ordine a parole. Il testo è identico: “E Dio disse”. E le nove azioni producono nove realtà, in perfetta corrispondenza di coppie, quattro di seguito, seguite da una ultima realtà, che a sua volta è già coppia, da sola…
Una costruzione avvedutamente precisa: al primo posto corrisponde come contenuto il quinto, al secondo il sesto, al terzo il settimo, al quarto l’ottavo, e tutto si conclude con il prodotto numero nove.
E “Dio disse”: numero uno, la luce e numero cinque il sole, la luna e le stelle. Numero due, le acque di sopra e numero sei gli uccelli, che riempiono lo spazio superiore. Numero tre, le acque di sotto e numero sette i pesci che riempiono i mari, i laghi e i fiumi, appunto acque di sotto. Numero quattro la terra asciutta divisa dalle acque già create e numero otto gli animali e le piante che la riempiono. Tutte le cose del cielo e della terra create dalla parola creatrice di Dio, che vede che tutte esse “sono buone” – “Wajar Elohìm ki tob (E Dio vide che era buono)”. All’ultimo posto, il nono che li corona tutti, la parola cambia: “naaseh et haadàm…
Facciamo l’uomo a nostra immagine somigliantissima, facciamolo maschio e femmina”. E qui, solo qui, “Dio vide che era molto buono”. I termini usati per quest’ultima formula çelém e demut, dicono proprio la rispondenza della creatura alla realtà del Creatore che allora può, al settimo giorno, riposare finalmente.
Tutto viene da Dio, Creatore e Signore: questo il senso del racconto del capitolo primo della Bibbia, tutto, davvero tutto, e il giudizio sul tutto è unilateralmente “buono”, anzi alla considerazione della creatura, la coppia uomo maschio uomo femmina “molto buono”. Il nonno (maestro, rabbì) ha terminato il racconto delle origini, fatto in modo che la memoria del nipote discepolo possa ricordare ogni singola creatura senza perdere di vista l’unità della rivelazione dell’origine e del valore del tutto. Questa è la spiegazione catechistica della sapienza antica del popolo eletto, che ha trovato in Abramo il capostipite proprio nella memoria dell’Adam iniziale, l’uomo maschio femmina prodotto dalla terra, “adamàh”…
La prima lezione del racconto biblico è terminata: a gloria di Dio, Padre nostro in Cristo e Creatore dell’universo mondo.
Di qui riprenderemo il nostro discorso. Buona Pasqua in ritardo, ma sempre necessaria: ogni giorno della “nuova creazione” è giorno pasquale, e se non lo è ogni giorno, invano arriva quello del calendario, nel quale scrivo queste semplici righe. Alla prossima.