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di Gianni Gennari

Concludevo l’ultimo nostro dialogo ricordando il primo brano del primo scritto di tutto il Nuovo Testamento, la Prima Lettera di San Paolo ai Tessalonicesi, che risale certamente alla fine degli anni 40, rilevando che lì c’è già, esplicita, tuttala realtà della nostra fede: Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, la Chiesa, l’Apostolo come “episcopos”, sorvegliante della comunione e anche la vita umana nostra vivificata dalle tre virtù teologali.
Questa è la conseguenza della rivelazione e dono di Dio che si perfeziona in Gesù di Nazaret, Dio e Uomo, nel quale tutto è stato creato e tutto è salvato dal dominio del peccato e con la sua vicenda storica conclusa con la rivelazione-dono del mistero Pasquale: Passione, morte, resurrezione, Ascensione, Pentecoste, creazione nello Spirito Santo della nuova Comunità di salvezza che è la Chiesa-Mistero, Corpo Mistico di Cristo che vive attraverso la vicenda storica della istituzione Popolo di Dio tutto sacerdotale del “sacerdozio regale” di tutti i battezzati, come insegna San Pietro dall’inizio, e nel quale ci sono ministeri e carismi diversi che nel corso dei secoli hanno manifestato la grazia e la bontà di Dio unite nella sua misericordia anche ai limiti e alle miserie che vengono da noi, uomini di Battesimo e tutti i Sacramenti, quando vogliamo sostituire le nostre “vie” alle sue. Mi sono accorto che il periodo è lungo, ma si abbia la pazienza di leggerlo a poco a poco, senza precipitarsi sulla parola seguente…

Quindi, quando diciamo “Credo in Dio” noi diciamo implicitamente tutto questo. E’ arrivato Gesù di Nazaret, e la sua vicenda storica ha cambiato tutto. Dio si è fatto conoscere in Lui, Dio è creduto e credibile, ed è presente in Lui. Ecco la sua risposta a Filippo, vero rappresentante di tutti i desideri dell’umanità nel corso dei secoli, fino a noi oggi. Filippo gli aveva chiesto: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”. E Gesù si meraviglia: “Filippo, è tanto tempo che sono con voi e tu ancora non mi hai conosciuto? Se conoscete me conoscete anche il Padre… Chi vede me, vede anche il Padre mio”. (Gv. 14, 7-9)
Una curiosità per i lettori di queste righe. Rileggo la domanda di Filippo nel latino di San Girolamo: “Ostende nobis Patrem”. “Ostende”: vuol dire “mostraci”. Gesù è l’“Ostensorio” del Padre, è la “mostra” in cui si vede e si raggiunge Dio. L’ostensorio delle nostre adorazioni è Gesù nelle specie eucaristiche. Ripensiamo, con il senso della perpetua necessità della pienezza della nostra fede, al Pange Lingua, al T’adoriam Ostia divina, all’Ave Verum… E andiamo avanti.
Gesù rende presente, “mostra” il Padre, e non solo agli Apostoli. Lo stesso discorso lo aveva fatto anche davanti al Tempio (Gv. 8,19), quando aveva detto a tutti: “Voi non mi conoscete e non conoscete neppure il Padre mio. Se conosceste me conoscereste anche il Padre mio”. Era stato – dice il seguito di Giovanni – il motivo per cui avevano deciso di eliminarlo…   
Per questo è stato crocifisso. Uno che si fa Dio, in una concezione in cui Dio era l’innominabile, l’intoccabile, quale altra sorte poteva attendersi?
Dunque un primo approdo in questa ricerca sul nostro credere: la fede è fede in Dio, e Dio è questo Dio assolutamente nuovo della rivelazione cristiana in cui culmina tutta la Scrittura. La rivelazione avvenuta con fatti e parole a poco a poco nella storia e da ultimo realizzatasi pienamente nel Verbo incarnato, Gesù di Nazaret, porta una fede che implica la conoscenza del vero Dio, il compimento della legge e dei profeti e in essa – mi ricollego ai precedenti pensieri sulle Dieci Parole e sulla conoscenza di Dio nei Profeti e infine nel Nuovo Testamento conoscere e amare Dio significa riconoscerlo e amarlo nell’uomo sua vera immagine, come è scritto nella prima lettera di Giovanni (4,20): “Se uno dicesse: io amo Dio e odiasse il suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede”.  Riempirsi la bocca di Dio per dimenticare l’uomo, per calpestarlo è la massima bestemmia. Se questo è stato fatto, nella storia, è autentico tradimento, e massima infedeltà.
L’Eucarestia e gli altri Sacramenti, se non sono animati, se non sono messi in questo quadro, diventano riti inutili e Dio continua a ripetere il suo sdegno e la sua contrarietà per gli inutili sacrifici, come abbiamo visto nel libro di Isaia. Non si è cristiani da soli, Dio non ha voluto rimanere solo, ma comunicare la salvezza all’uomo entrando nella storia in persona, nella persona divina e umana del Verbo incarnato. Miste­riosamente, Dio chiama tutti alla salvezza attraverso la rivelazione e il dono di Gesù di Nazaret. Tutti! Noi abbiamo avuto una speciale grazia per aver conosciuto questo nome nascosto che Gesù ha rivelato all’umanità che per secoli l’aveva atteso. I discepoli di Lui si riconoscono nella vita perché amano i fratelli. E amare i fratelli è anche mostrare loro Dio in Gesù Cristo, salvezza di tutti gli uomini creati “a somigliantissima immagine” sua. E così il tema dell’immagine, e con pienezza dell’uomo “immagine di Dio”, che ci ha accompagnato fino dall’inizio in queste nostre riflessioni, torna ancora. è un tema specifico della rivelazione ebraico-cristiana. Tutte le altre religioni sono basate sulla competizione, per cui l’uomo cerca di impadronirsi di Dio, e Dio chiede all’uomo di annullare se stesso, in nome della sua trascendenza. Il nucleo della rivelazione ebraico-cristiana, e in particolare nella pienezza del Nuovo Testamento, è questo. Siamo ancora alle prime parole del nostro Credo: “Credo in Dio”. Ma il cammino fatto finora servirà subito, appena diciamo Padre, e appena diciamo Onnipotente. Questa “paternità” non è a immagine delle nostre “paternità” umane, ma il contrario, nel senso che queste dovrebbero essere modellate su quella.
Non sempre è andata in questo modo. A meta del secolo scorso Alexander Mitscherlich, sociologo, scrisse un libro il cui titolo diceva che eravamo, alla lettera “Sulla via di una società senza padri”. Terribilmente profetico. Il fallimento delle tante paternità, in questi ultimi decenni – paternità ideologiche, politiche, economiche, industriali, spettacolari, tecnologiche – tanto spesso illusorie e tragiche, e tanto spesso purtroppo anche nell’ambito famigliare, e persino in quello ecclesiale, ci dice il dovere di recuperare i tratti della vera Paternità di Dio. Dire “Credo in Dio Padre”, e dirlo alla luce della rivelazione e della vicenda umano-divina, meravigliosamente “fraterna” e liberatrice, di Gesù… Lo faremo nel prossimo dialogo…