Secondo Mistero della gioia: la Visitazione
di p. Ottavio De Bertolis sj
La scena che contempliamo non è solamente un esempio da imitare; prima di tutto, è un evento che accade e che segna la vita e in qualche modo la vocazione stessa di Maria. In fondo, la Visitazione è solo la prima di tante visite che Maria compie agli uomini: lei entra nelle nostre vite, ci porta il suo Figlio, si prende carico di noi, della nostra lontananza, e viene a visitarci. Ogni volta che la acclamiamo con le stesse parole di Elisabetta: «Benedetta sei tu tra le donne e benedetto il frutto del tuo seno», continua ad accadere, ma questa volta, proprio per noi, quella prima e originaria Visitazione che abbiamo contemplato nel mistero.
San Paolo ci insegna che «nessuno può dire che Gesù è il Signore se non nello Spirito Santo» (1 Cor 12, 3), e al centro della salutazione angelica c’è appunto il nome del Figlio, del Benedetto per eccellenza, la cui benedizione è il motivo della benedizione stessa della Madre sua e su di lei ricade. Maria è la «benedettissima»: l’ebraico non ha il superlativo assoluto come l’italiano e per renderlo bisogna ricorrere a un’espressione più ampia, appunto «benedetta tra tutte le donne». Ma Elisabetta deve essere anche piena di Spirito Santo per benedire Maria, osserva san Luca, proprio come dobbiamo essere pieni di Spirito Santo per dire che Gesù è il Signore. Quando noi recitiamo questa lode a Gesù e a Maria, siamo sicuri di essere nella grazia dello Spirito Santo; ecco perché è la preghiera più sicura e infallibile. Il Rosario ci dona la certezza di pregare nello Spirito Santo perché ci fa pregare con la preghiera del Signore e con questo saluto dell’angelo e di Elisabetta, cioè con le parole stesse della Scrittura. E quando diciamo a Maria: «Prega per noi peccatori», abbiamo detto tutto il necessario: sa lei quel che deve chiedere.
Possiamo, mentre con le labbra benediciamo Gesù e Maria, tenere presenti tante persone e situazioni, per le quali intendiamo pregare, e chiedere alla Madre di Dio che le visiti, che entri nella vita di quelle persone. Possiamo domandare la grazia di essere anche noi portatori di quella gioia che è Gesù e in questo senso possiamo chiedere di entrare nel mistero della carità di Maria che porta gioia, nel mistero della sua carità apostolica. Possiamo pregare per i sacerdoti, affinché portino la gioia, non la legge o la noia o le lezioncine imparate in seminario, perché siano portatori di qualcosa di più grande di loro e che la gente forse non si aspetta nemmeno più.
Vedete dunque che Maria non visita Elisabetta come faremmo noi, per prendere un caffè o per chiacchierare; sta lì tre mesi e compie un lungo viaggio «verso i monti», che erano zone pericolose per tutti e soprattutto per una donna sola. Maria non è sicura che sarà facile andare a servire Elisabetta, non è certa che il viaggio andrà bene. Ma chi ama è capace di osare. Spesso noi riduciamo la carità alla semplice buona educazione, ma è qualcosa di assai più grande. Inoltre, la carità non è verso coloro dai quali ci aspettiamo il ricambio; è verso chi non può, e forse nemmeno vuole, ricompensarci.
Infine, Maria ci insegna a esultare in Dio nostro salvatore. Il Magnificat, che la Chiesa recita ogni sera nell’ufficiatura dei Vespri, è il modello della lode. Possiamo domandarci se abbiamo mai fatto esperienza di che cosa è la lode. È ovvio che la preghiera è anche richiesta, è anche supplica, è anche meditazione o contemplazione delle cose di Dio. Meriterebbe però sottolineare che è necessario non solo pensare a Dio o chiedere a Dio, ma anche lodarlo di cuore, e non «per dovere», di quel che lui è e fa per noi. Un salmo ci dice di «gustare e vedere quanto è buono il Signore» (cfr. Sal 34, 9); allo stesso modo il Rosario dovrebbe poter essere un tempo nel quale gustiamo come e quanto «Dio ha guardato all’umiltà della sua serva», cioè alla nostra povertà. Con Maria, contempliamo come e quando e quante volte siamo stati oggetto della fedeltà e della compassione di Dio: dalla gratitudine infatti sgorga la lode e dalla lode nasce la carità, poiché «noi amiamo perché Dio ci ha amato per primo». Maria ci insegna proprio questo: «Mi ha amato e ha dato se stesso per me», e così possiamo anche noi magnificare il Signore, cioè dire le grandi cose che ha fatto per noi.