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Nella famiglia allargata, di cui tratta la Scrittura, hanno un ruolo importante i suoceri. Ietro accoglie Mosè fuggiasco e gli dà in moglie la propria figlia.  Lo sostiene nella missione affidatagli da Dio.

di Rosanna Virgili

Chissà perché tanti sono i discorsi, i luoghi comuni, i riferimenti, persino le barzellette che hanno come tema le suocere e quasi mai si parla, invece, dei suoceri, dei “padri” acquisiti col matrimonio. È innegabile che, tradizionalmente, le suocere mostrino una maggiore attitudine a dare consigli, a proporsi spontaneamente per occuparsi dei nipotini, ad avere, insomma, una certa naturalezza nel far parte della famiglia dei figli, ma è anche evidente che, seppure con meno risonanza, anche i suoceri risultano essenziali per la cura di generi, nuore e nipoti. Non è giusto, pertanto, trascurare di parlare di loro, del loro quotidiano, generoso e, spesso, silenzioso impegno. Cosa che non omette di fare, infatti, la Parola di Dio, la Scrittura. 

Diversi sono i suoceri di cui in essa si racconta, ma uno, il suocero di Mosè, trova uno spazio molto importante nel libro dell’Esodo. Il primo quadro lo ritrae quando ancora era solo il padre di Sipporà, prima che essa diventasse la moglie di Mosè. 

Questi gli antecedenti: vediamo sua figlia insieme alle sue sei sorelle far la fila alla fonte di un pozzo: «ad attingere acqua […] per far bere il gregge del padre. Ma arrivarono alcuni pastori e le scacciarono. Allora Mosè si levò a difendere le ragazze e fece bere il loro bestiame» (Es 2, 16-17). Così Mosè – che era fuggito dall’Egitto dopo aver commesso un omicidio – incontrò Sipporà, la donna che poi diventerà la madre dei suoi figli. Ma provvidenziale fu il ruolo del padre; infatti quando le figlie «tornarono dal loro padre Reuèl, questi disse loro: Come mai oggi avete fatto ritorno così in fretta? Risposero: Un uomo, un egiziano, ci ha liberato dalle mani dei pastori; lui stesso ha attinto per noi e ha fatto bere il gregge. Quegli disse alle figlie: Dov’è? Perché avete lasciato là quell’uomo? Chiamatelo a mangiare il nostro cibo! Così Mosè accettò di abitare con quell’uomo, che gli diede in moglie la propria figlia Sipporà. Ella gli partorì un figlio ed egli lo chiamò Ghersom, perché diceva: Vivo come forestiero in terra straniera!» (Es 2, 18-22). Se è vero, dunque, che Mosè fu generoso con le figlie del pastore Ietro, sacerdote di Madian, che per lui non erano altro che delle sconosciute, è altrettanto vero che Ietro gliene fu molto riconoscente e la ricompensa di Mosè per il suo nobile gesto fu davvero il centuplo! Non solo il Mosè fuggiasco, inseguito dalle guardie di Faraone che lo cercavano per farlo morire, trovò nella bontà del suocero un alloggio, un riparo, un rifugio gratuito, ma ebbe in dono una figlia, la quale diede a lui la discendenza che – nella cultura del tempo – era quanto di più prezioso potesse avere un uomo. 

Il suocero fu per Mosè anche motivo di sicurezza economica. Nelle sue tende Mosè trovò un buon lavoro, con cui lui e la sua famiglia vissero serenamente e a lungo; e fu proprio mentre ancora «pascolava il gregge di suo suocero Ietro» che «l’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava» (Es 3, 1-2). Da quel roveto Dio parlò a Mosè e lo chiamò perché andasse in Egitto a liberare il suo popolo dalla schiavitù. Ed ecco ancora l’intervento determinante del suocero: «Mosè partì, tornò da Ietro suo suocero e gli disse: Lasciami andare, ti prego; voglio tornare dai miei fratelli che sono in Egitto, per vedere se sono ancora vivi! Ietro rispose a Mosè: Va’ in pace!» (Es 4, 18). Avrebbe avuto l’autorità per trattenerlo con sé ed egoisticamente per tenerlo vicino nel tempo della sua vecchiaia; invece il suocero si mostrò totalmente aperto alla richiesta del genero e consapevole della grandezza della vocazione che Dio gli consegnava. Al punto che dobbiamo pensare che Ietro abbia dato un provvidenziale contributo nel ruolo di liberatore che fu di Mosè per riscattare gli ebrei dall’oppressione; il più grande profeta d’Israele non avrebbe potuto far nulla senza che il suocero facesse propria la sua causa. 

Ma l’opera del suocero Ietro non si concluse il giorno in cui lasciò partire suo genero per fare quello che Dio gli aveva chiesto. Egli non smise di stare accanto a Mosè neppure dopo che quegli aveva rimandato la moglie Sipporà: «Ietro, sacerdote di Madian, suocero di Mosè, venne a sapere quanto Dio aveva operato per Mosè e per Israele, suo popolo, cioè come il Signore aveva fatto uscire Israele dall’Egitto. Allora Ietro prese con sé Sipporà, moglie di Mosè, che prima egli aveva rimandata, con i due figli di lei […] e venne da Mosè nel deserto, dove era accampato, presso la montagna di Dio. Egli fece dire a Mosè: Sono io, Ietro, tuo suocero, che vengo da te con tua moglie e i suoi due figli! Mosè andò incontro al suocero, si prostrò davanti a lui e lo baciò» (Es 18, 1-7). Mentre Mosè svolgeva il compito arduo ed alto dell’esodo, il suocero manteneva la famiglia di lui e si prendeva cura dei suoi figli! Senza rancore, un giorno, accompagnò da Mosè tutti loro non per rimproverarlo, ma per condividere con lui la gioia del primo successo della sua missione e dare per essa lode a Dio: «Disse Ietro: Benedetto il Signore, che vi ha liberato dalla mano degli egiziani e dalla mano del Faraone; egli ha liberato questo popolo dalla mano dell’Egitto! Ora io so che il Signore è più grande di tutti gli dèi» (Es 18, 10-11).