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di Ottavio De Bertolis

«Esultino nel loro re i figli di Sion» (Sal 149, 2): così la Chiesa, nuova Sion, esorta i suoi figli ad esultare in Gesù, vero re di gloria. Il re, infatti, secondo la concezione biblica, così diversa da quella occidentale, non è uno che sta “sopra” per dominare, ma uno che è posto “sotto” il popolo, per prendersene carico, sollevarlo e guidarlo: solo in questo senso Dio lo pone “sopra”, sulle sue spalle, come il pastore fa con la pecorella. È per questo che l’espressione “re” equivale al nome di “pastore”, e così i termini “buon pastore” e “buon re” sono equivalenti. è re perché regge, cioè sostiene, ed è pastore perché guida: potete pensare a quante volte troviamo nella Scrittura che Egli sostiene nella prova, guida il suo gregge e raduna i dispersi, risana le pecore ferite e ha cura di quelle forti, e non finirete mai. 

Un’immagine particolarmente bella è quella dell’Apocalisse, nella quale il Cristo risorto è presentato mentre tiene le sette stelle, simbolo delle Chiese, e quindi di ognuno di noi, nella mano destra, come una pietra preziosa, una perla che Lui ha trovato e custodisce presso di sé di fronte al Padre suo (cfr. Ap 1, 16). è Lui che tiene in mano le nostre esistenze, anche se può sembrare di no, specie nei monenti più bui della prova, fisica o spirituale, e per questo il Salmo dice: «Il Signore regna, esulti la terra, gioiscano le isole tutte. Nubi e tenebre lo avvolgono, giustizia e diritto sono la base del suo trono» (Sal 97, 1-2). Nubi e tenebre lo avvolgono: la signoria di Dio sulle nostre vite a volte sembra nascosta, offuscata da molte nubi, da una fitta nebbia che Lo avvolge, come possono essere le malattie, nostre o dei nostri cari, le prove spirituali o psicologiche alle quali siamo esposti, il peccato, nostro o degli altri su di noi, e infine la morte. Il Salmista ci vuole ricordare che Lui solo è il Re, il vero Signore, e gli altri sono tutti solamente sedicenti “signori”, dicono di esserlo, si presentano come onnipotenti, ma il vero potere è del Signore. Ed è del suo amore, forte come la morte e tenace come gli inferi (cfr. Sal 117, 2), più forte e più resistente di tutti i mali di questo mondo. Così il Signore Gesù ha ricevuto un Nome che è «al di sopra di ogni altro nome» (Fil 2, 9), ovvero «al di sopra di ogni principato e potestà» (Ef 1, 21), cioè di ogni potere umano e perfino diabolico. Per questo, come dicevamo prima, i figli della Chiesa possono esultare in Lui: e lo possono solo perché sono umili, cioè poveri di ogni altra cosa se non Lui. Noi quindi esultiamo in Lui perché, anche se è nascosto, «giustizia e diritto sono la base del suo trono»: il suo trono è la croce, ed Egli è «giustizia per tutti quelli che credono in Lui» (Rm 10, 4), o guardano a colui che è stato trafitto, e lì imparano a riconoscere l’amore di Dio, e a credere in Lui. 

Come sapete, il suo «regno non è di questo mondo» (Gv 18, 36), cioè non è fatto, istituito e mantenuto, con il materiale con il quale si costruiscono i regni di quaggiù. I poteri degli uomini in questo mondo sono basati sulla forza, e costruiscono equilibri di potere; sono mantenuti dalla paura e fatti valere con la violenza. Il regno di Gesù è stato costituito dalla sua umiltà, con la quale Egli «umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte in croce» (Fil 2, 8): Gesù ha rinunciato a quel che gli spettava, non ha considerato un tesoro da difendere gelosamente la propria dignità, e si è fatto più piccolo, e non più grande; dunque quanti lavorano per questo regno non possono scegliere strade diverse o mezzi che Lui non ha usato, facendosi servi come Lui ha fatto. Per questo, sant’Ignazio di Loyola, nei suoi Esercizi Spirituali, propone a noi di chiedere a Lui, nostro vero e sommo re, la grazia di scegliere e desiderare per noi quel che Lui per se stesso ha scelto e desiderato: umiltà, povertà, mansuetudine, mitezza, ossia tutto quello che il mondo disprezza e rifiuta. Tutto questo però non si ottiene se non nella preghiera: è solamente la contemplazione della croce e del mistero che vi è rinchiuso che ci rende capaci, quasi per osmosi, di rivestirci di Lui. Così Paolo afferma che «noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine» (2 Cor 3, 18): Lui diventa il centro del nostro cuore, cioè del nostro sentire più profondo, dei nostri desideri, delle nostre aspirazioni, non per una sorta di dovere, non per una legge morale o religiosa da osservare, ma per il soffio dello Spirito, l’amore che Lui ci dona e che riversa nei nostri cuori, rendendoli capaci di amare. Solo così saremo segni di Lui in questo nostro mondo.