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di Ottavio De Bertolis

«Buono e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore […]. Non ci tratta secondo i nostri peccati, non ci ripaga secondo le nostre colpe. Come il cielo è alto sulla terra, così è grande la sua misericordia su quanti lo temono» (Sal 103, 8. 10-11). Gesù è l’immagine del Padre, l’impronta della sua sostanza: «Dio nessuno l’ha mai visto; proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, Lui lo ha rivelato» (Gv 1, 18). Il Figlio mostra in tutte le sue parole e in tutte le sue azioni quella bontà e quell’amore che sono proprie di Dio, quelle confessate dalla fede di Israele: in questo senso, rivela nella sua carne, cioè nel suo corpo, Colui che, invisibile agli occhi, Israele confessa unico Dio e unico Signore.

Possiamo dire che Gesù “riassume” Dio, nel senso che condensa in ogni momento della sua vita, narrata dai Vangeli, rendendola presente, la fedeltà e la potenza di Dio, il suo amore fedele. Per questo troviamo anche nell’Antico Testamento immagini stupende che possiamo certamente applicare a Gesù. Pensiamo al profeta Osea: «Ad Efraim io insegnavo a camminare, tenendolo per mano, ma essi non compresero che avevo cura di loro. Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore; ero per loro come chi solleva un bambino alla sua guancia; mi chinavo su di lui per dargli da mangiare» (Os 11, 3-4). Certo queste parola raccontano l’amore di Dio per Israele, e sono come una sintesi della sua storia, storia di amore inesauribile di Dio e di infedeltà del popolo: ma, se ci pensiamo bene, non sono anche la storia di Gesù con quelli che ha incontrato, ai quali ha manifestato, con parole e gesti, l’infinita bontà e amore di Dio, che operava in Lui? Così noi potremmo, alla luce di questa bellissima litania sulla quale riflettiamo, leggere tutte le pagine, vorrei dire le singole parole, di ogni Vangelo, e vedere in esse, come in controluce, questa pienezza di bontà e di amore.

Va osservato che la Scrittura non è stata scritta per curiosità intellettuale, o semplicemente per sapere quello che è accaduto, ma piuttosto perché facesse per noi come da specchio; cioè perché noi potessimo riconoscerci in tutta quell’umanità dolente che si rivolge a Gesù, per potere, a tanti secoli di distanza, rivivere la medesima esperienza, perché Gesù è perennemente vivo e vivificante nello Spirito Santo, e quello che ha fatto tanti anni fa continua a farlo a noi, e ci manifesta così ancora l’amore e la bontà di Dio, Padre, che in Lui si fanno presenti. Così siamo noi, ad esempio, la peccatrice perdonata, o i lebbrosi guariti, o l’indemoniato risanato, o il pubblicato chiamato a seguirlo. Infatti «tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione» (Rm 15, 4): ci istruisce infatti su quel che siamo chiamati a vivere, e possiamo sperimentare. Se non abbiamo vissuto sulla nostra pelle, cioè nella nostra vita, come riferiti a noi stessi, tutti e singoli gli episodi del Vangelo, avremmo una conoscenza di Gesù più per sentito dire che non una vera e reale conoscenza di Lui, che è conoscenza non solo di testa, ma soprattutto di vita.

Ho detto che Gesù manifesta l’amore di Dio con quello che fa e quello che dice: è vero, ma limitante. Infatti è soprattutto quando Gesù non dice e non fa più niente, cioè quando patisce, e soprattutto quando è crocifisso, che la sua bontà e amore si manifestano al sommo grado. In quelle pagine possiamo contemplare che cosa vuol dire quel «li amò fino alla fine» (Gv 13, 1), cioè quel “fino in fondo” del Suo amore. è quel “fino in fondo” di quel che noi possiamo arrivare ad essere, e quel “fino in fondo” di quella fedeltà che Lui ci rivela in se stesso. I racconti della passione ci mostrano una galleria di personaggi, che poi siamo noi, abitano in noi, e Lui, come si lascia abbandonare, tradire, vendere, umiliare, insultare. è nel suo silenzio e nella sua condiscendenza a quello che noi abbiamo voluto fare di Lui che si rivela quella inesauribile pienezza di bontà e di amore che sgorgano dal mistero stesso di Dio.

Va poi osservato che contempliamo questa bontà e amore precisamente nel Cuore di Cristo. L’evangelista ci racconta che quando «era già morto, […] uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia, e subito ne uscì sangue e acqua» (Gv 19, 33-34). Gesù donò vita quando era morto; fu come un sacco squarciato, che viene svuotato fino alla fine. Se la sua morte è stata per noi fonte di vita, che cosa non sarà per noi allora la sua stessa vita, Lui che ora è vivente e intercede per noi presso il Padre? Infatti tutti i gesti e le parole con le quali mostrava la sua bontà e il suo amore erano efficaci in virtù della Risurrezione, erano cioè come dei segni anticipati della sua signoria sul male e sulla morte, di quella vittoria che avrebbe ricevuto dal Padre. Ed è per quella vittoria che la stessa bontà e amore continuano per noi ad essere vittoriosi sul male e sulla morte che ci circondano, di modo che ogni giorno possiamo sperimentare in noi la straordinaria efficacia della sua potenza verso di noi credenti.