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«Poi mostrò ai discepoli le mani e il fianco, ed essi si rallegrarono di vedere il Signore» (Gv 20, 20)

Gesù incontrato e seguito, maestro e buon pastore

di Gianni Gennari

G esù non si accontenta di presentarsi ai suoi discepoli, di annunciare la pace, di dimostrare con la sua premura la sua presenza. Vuole che essi sperimentino tangibilmente questa sua presenza, fa’ loro vedere le mani, fa’ loro vedere il fianco trafitto…

Sì, c’è bisogno, ogni tanto, di un’esperienza reale e concreta della presenza salvifica del Signore. E lui non fa mai mancare, a chi la cerca, questa esperienza concretizzante, attraverso la parola di un fratello, attraverso lo sguardo di una sorella, attraverso la vita di una comunità, attraverso un incontro, attraverso perfino il pentimento di un peccato.

Ecco: sperimentare la presenza di Cristo al di là dei confini della solitudine, della desolazione, della paura, perfino della morte… Credo che sia una delle grazie più grandi che il Signore può fare ai suoi discepoli: vedere le mani bucate del Signore, vedere il costato trafitto del Signore, e trovarne argomento per essere pieni di gioia come i discepoli, e per continuare a camminare come loro.

Certo, non si possono vedere davvero le mani del Signore, se non nel momento nel quale noi siamo disposti ad accogliere che anche queste nostre mani siano trafitte, non possiamo toccare il fianco del Signore se non nel momento nel quale siamo disposti a lasciarci trafiggere anche noi, come lui!

Cristo non si vende a buon mercato, Cristo non è uno scampolo offerto sui mercati del mondo al miglior offerente, e tanto meno a passanti sfaccendati e solo curiosi… Il Signore esige da noi quello che il Padre ha richiesto a lui! Vuole da noi quello che lui ha donato al Padre, cioè tutto!

Lo sappiamo, anche quando non ci pensiamo, lo sappiamo e proprio per questo abbiamo paura, per questo tante volte chiudiamo le porte come hanno fatto i discepoli, per questo abbiamo trasformato i cenacoli in circoli chiusi in cui ci riconosciamo tra uguali, in cui ci congratuliamo a vicenda del fatto che conosciamo il Signore, ma non abbiamo il coraggio di mettere in gioco il rischio di questo essere conosciuti da lui a modo suo, che è più importante che questo nostro conoscere lui a modo nostro.

Allora lasciarci conoscere da lui come vuole lui è restituirci la gioia di riconoscere il Signore nelle mani bucate e nei fianchi trafitti dei fratelli, restituirci l’esperienza continua di Cristo morto e risorto in ogni uomo che muore e risorge, in ogni uomo che soffre e spera, in ogni fratello e in ogni sorella che ci tende la mano per chiederci qualcosa della nostra vita, qualcosa del nostro amore, qualcosa del nostro tempo, qualcosa del nostro essere.

Anche qui il Signore sta sempre davanti, i discepoli sono coloro che – come dice il vocabolo greco – si sforzano di seguirlo, mettono i loro passi dove li ha messi lui. Non conta tanto misurare il cammino che facciamo, quanto l’intenzione e la buona volontà che mettiamo. Sarà lui a un certo momento che, accontentandosi dei nostri sforzi, dei nostri desideri, anche delle nostre lacrime, e magari constatando il nostro insuccesso e la nostra incapacità di prenderlo sul serio e di farci trasformare in lui, prenderà in mano le redini della nostra vita, ci prenderà in braccio, come il buon Pastore con la pecora smarrita, e allora d’un tratto scopriremo che il deserto è fiorito, che dove sembrava non ci fosse neppure un segno d’acqua c’è un fiume in piena che trasporta tutto ciò che noi siamo, tutto ciò che noi abbiamo, tutto ciò che noi incontriamo insieme con lui, il Maestro, addirittura sulle sue spalle di buon Pastore.

E questo è l’augurio per me e per voi, oggi e sempre.