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La Quaresima

Il traguardo è poter indossare nella notte di Pasqua la capacità di guardarsi negli occhi con la luce di Gesù risorto, nostra speranza. La saggezza della Madre Chiesa, sempre maestra di vita, immerge il periodo dei quaranta giorni quaresimali nel fiume del nostro battesimo, nuotando con l’energia acquisita nell’esercizio della preghiera, preservata nell’uso del puro necessario, per sfociare nel ruscello benefico della carità: è il desiderio di non riuscire ad essere contenti da soli.  Per aiutarci a ritrovare l’anima della preghiera, per gentile concessione del quotidiano Avvenire pubblichiamo questo scritto di Ermes Ronchi.

«Signore insegnaci a pregare». Tutto prega nel mondo: gli alberi della foresta e i gigli del campo, le spighe dorate del grano, monti e colline, fiumi e sorgenti, i cipressi sul colle e l’infinita pazienza della luce. Pregano senza parole: «ogni creatura prega cantando l’inno della sua esistenza, cantando il salmo della sua vita» (Conferenza episcopale giapponese). I discepoli non domandarono al Maestro una preghiera o alcune formule da ripetere; ne conoscevano già molte, avevano un salterio intero a fare da stella polare. Ma chiedono: «Insegnaci a stare davanti a Dio come stai tu, nelle tue notti di veglia, nelle tue cascate di gioia, con cuore adulto e fanciullo insieme». 

«Pregare è riattaccare la terra al cielo» (M. Zundel): insegnaci a riattaccarci a Dio, come si attacca la bocca alla sorgente.
«Ed egli disse loro: quando pregate dite “Padre”». 

Tutte le preghiere di Gesù che i Vangeli ci hanno tramandato iniziano con questo nome. È il nome della sorgente, parola degli inizi e dell’infanzia, il nome della vita. Pregare è dare del tu a Dio chiamandolo “padre”, dicendogli “papà”, nella lingua dei bambini e non in quella dei rabbini, nel dialetto del cuore e non in quello degli scribi. È un Dio che sa di abbracci e di casa; un Dio affettuoso, vicino, caldo, da cui ricevere le poche cose indispensabili per vivere bene.
«Santificato sia il tuo nome». 

Il tuo nome è “amore”. Che l’amore sia santificato sulla terra, da tutti, in tutto il mondo. Che l’amore santifichi la terra, trasformi e trasfiguri questa storia di idoli feroci o indifferenti.
«Il tuo regno venga». Il tuo, quello dove i poveri sono principi e i bambini entrano per primi. E sia più bello di tutti i sogni, più intenso di tutte le lacrime di chi visse e morì nella notte per raggiungerlo.
«Continua ogni giorno a donarci il pane nostro quotidiano». 

Siamo qui, insieme, tutti quotidianamente dipendenti dal cielo. Donaci un pane che sia “nostro” e non solo “mio”, pane condiviso, perché se uno è sazio e uno muore di fame, quello non è il tuo pane. E se il pane fragrante, che ci attende al centro della tavola, è troppo per noi, donaci buon seme per la nostra terra; e se un pane già pronto non è cosa da figli adulti, fornisci lievito buono per la dura pasta dei giorni.
«E togli da noi i nostri peccati». 

Gettali via, lontano dal cuore. Abbraccia la nostra fragilità e noi, come te, abbracceremo l’imperfezione e la fragilità di tutti.
«Non abbandonarci alla tentazione». 

Non lasciarci soli a salmodiare le nostre paure. Ma prendici per mano e tiraci fuori da tutto ciò che fa male, da tutto ciò che pesa sul cuore e lo invecchia e lo stordisce.
Padre che ami, mostraci che amare è difendere ogni vita dalla morte, da ogni tipo di morte.