di Rosanna Virgili
«Venne a Nazareth, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore”. Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”» (Lc 4, 16-21).
Con queste parole e questo gesto Gesù annuncia, nel Vangelo di Luca, il suo “giubileo”. Nel Nuovo Testamento, infatti, il giubileo appare come la missione, anzi la persona stessa del Nazareno. Ed è proprio nella Sinagoga del piccolo villaggio della Galilea, dove il figlio di Giuseppe era cresciuto, che egli annuncia lo scopo della sua venuta sulla terra: portare, anzi, addirittura essere un «anno di grazia del Signore» e proclamare a tutti che «oggi» le parole di Isaia si sono compiute, la luce ha fugato le ombre dagli occhi dei ciechi, la libertà ha dilatato il cuore degli oppressi, la liberazione ha fatto esultare tutti coloro che sono stretti in catene materiali e morali.
È la “realtà” di cui è fatto il “lieto annuncio”, il Vangelo per tutti i poveri, cioè per tutti coloro che sono i non-garantiti della terra, gli esclusi, sospesi tra il sopravvivere e il morire. Gesù è, per tutti loro – come per tutti noi – un anno di grazia! È lui il dono della vita liberata da ogni patimento, da ogni legaccio di dolore, dagli orrori della guerra e dell’inimicizia, da privazioni, da oscurità esistenziali e affettive, da ogni vergogna. Un sogno che egli renderà concreto nel corso della sua missione terrena per le strade della Galilea, nella Giudea e nella Samaria, nella Decapoli e nella Fenicia, dove passerà ridando la vista la ciechi e liberando dagli spiriti impuri tutti coloro che ne erano afflitti, guarendo dalle infermità che tenevano schiave povere creature dentro un corpo storpio o curvo, e il loro intimo oppresso da affanni ed angosce di ogni colore.
Questo “anno di grazia” continuerà ad essere un “oggi”, a farsi attuale nell’opera dei suoi discepoli dopo che il Risorto sarà asceso al cielo, in una contemporaneità che deve ancora attualizzarsi nell’opera dei cristiani, nel giubileo della Chiesa, chiamata a farsi messaggio di gioia, di giustizia, di pace, di riscatto per tutti. Prima di essere un anno di perdono, il giubileo è un anno di annuncio e testimonianza dell’amore gratuito di Dio verso l’umanità, a cominciare da quella più dimenticata, è una voce controcorrente che ispira e diffonde la speranza in un mondo avvolto nella violenza. Apre un varco di fiducia con lo Spirito di bontà e d’amore, tra le acque minacciose della storia che invece ai più incutono paura.
Come è noto, papa Francesco ha annunciato il Giubileo del 2025 con una bolla di indizione intitolata alla speranza: Spes non confundit (La speranza non delude). Così egli introduce questa virtù
(nn. 1-2): «Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio. Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità. Possa il giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza. La Parola di Dio ci aiuta a trovarne le ragioni. Lasciamoci condurre da quanto l’apostolo Paolo scrive proprio ai cristiani di Roma: “Giustificati dunque per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l’accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio. [...] La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato (Rm 5, 1-2.5)».
Con le parole dell’apostolo Paolo che scrive alla comunità di Roma, papa Francesco collega la realtà antica con quella attuale: già allora, all’inizio della storia della Chiesa, occorreva “rianimare la speranza” nel cuore delle persone. Anche allora, infatti, si cedeva alla rassegnazione dinanzi a tante realtà ed esperienze di sopraffazione e di dolore, si crollava nell’incredulità di poter sollevare gli occhi oltre i limiti della miseria umana. Non era facile nemmeno a quel tempo – al contrario, era forse molto più difficile – pensare e optare per la libertà, intraprendere con coraggio e fede un percorso di liberazione. Ma il Signore Risorto ha offerto a tutti lo Spirito che dona la fede e rende saldi nella speranza. La nostra forza è l’amore di Dio che lo Spirito Santo ha riversato nei nostri cuori; la nostra pace è in colui che «di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne» (Ef 2, 14).
Il giubileo è la porta della speranza per chi è desolato, deluso e confuso, ed anche per chi è oppresso dagli effetti dannosi del suo stesso peccato. L’anno che è iniziato, pertanto, chiama tutti i cristiani a un doppio incarico: il primo è quello di giubilare, vale a dire, fare di ciò che speriamo una parola e una profezia sul presente, un giubilo di gioia e di gratitudine che proietta verso il futuro; il secondo è quello di prestare oggi tutti noi stessi per completare l’opera del Signore. Per saldare il debito di un anno di grazia atteso in ogni angolo del mondo.