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di Giovanni Cucci

Lo scrittore inglese Clive Staples Lewis, noto per le Cronache di Narnia, nel libro Il diario di un dolore per la perdita della moglie, esprime i molteplici aspetti del lutto in forma esemplare, anche sotto il profilo letterario, non solo per la sua capacità di descrivere quanto si trova nell’intimo. L’insegnamento più prezioso che emerge da queste pagine è la modalità di svolgimento del libro, capace di rendere il limite il mezzo indispensabile per il compimento dell’impresa. Il limite della parola, ma soprattutto dello spazio riservato alla scrittura.

Vale la pena soffermarsi su questo aspetto. Spesso si è scoraggiati dall’intraprendere una scelta perché ritenuta troppo importante e difficile, al di sopra delle proprie possibilità. Lewis viene invece a dire che è proprio l’esiguità delle forze a disposizione il fattore decisivo per la sua buona riuscita. E lo dice in maniera velata, indiretta, attraverso la struttura narrativa del Diario: esso è composto di quattro capitoli, ma poi si scopre che i capitoli sono in realtà quattro piccoli quade­­rni che appartenevano alla moglie e che Lewis trova in casa, rovistando tra le carte di Adele dopo la sua morte. Quei quaderni divengono così materia per la scrittura e occasione di un ulteriore dialogo con la moglie; sono oggetti che parlano di lei, rimandano alla sua presenza e alla sua assenza. E quando inizia a scrivere l’ultimo quaderno, Lewis decide di non acquistarne altri: egli mette un limite a questo suo percorso, un limite quantitativo, legato al numero di fogli a disposizione, un numero esiguo, del tutto inadeguato a esprimere il suo enorme dolore, di fronte al quale non basterebbero mille volumi. Ciononostante non revoca la sua decisione: non comprerà un quinto quaderno, il suo lavoro dovrà terminare con quanto ha a disposizione.

L’accettazione del limite è un aspetto decisivo che lo aiuterà a uscire dal tunnel, sperimentando una condizione di sollievo impensabile. Da essa nasceranno nuove energie e possibilità, anche se dovrà rinunciare per sempre al passato, operando un taglio definitivo. Si tratta di un dettaglio fondamentale, che non vale solo per il lavoro del lutto, ma più in generale per le situazioni esistenziali difficili e dolorose, come per le scelte importanti da compiere. Mettere un limite, fissare un punto di non ritorno, paradossalmente, consente di esprimere il meglio di sé.

È quanto nota H. Keller, una scrittrice statunitense privata della vista e dell’udito a soli 19 mesi di età. Nel racconto Three Days to See (Tre giorni per vedere), ella immagina cosa avrebbe fatto se avesse potuto vedere per tre soli giorni. Il dono della vista sarebbe certamente stato da lei apprezzato in sommo grado, perché consapevole di averlo a disposizione per un tempo breve. Il limite riconosciuto è comunque un elemento che per la Keller accomuna le principali storie di eroi e grandi personaggi narrate dalla letteratura di ogni epoca: essi hanno sempre poco tempo per portare a termine una grande impresa, che può avere conseguenze decisive per sé e per molti altri. La consapevolezza di questo fatto, come una sorta di conto alla rovescia, consente loro di vivere con gusto e impegno, esprimendo il meglio di sé. Il fatto che tali storie abbiamo per lo più un lieto fine, precisa la Keller, non è l’insegnamento più rilevante; ciò che è degno di nota è che quella prova ha profondamente trasformato i loro protagonisti: «Nelle storie, l’eroe normalmente viene salvato in extremis da qualche colpo di fortuna, ma ciò che è più importante è che il suo senso dei valori viene cambiato. Egli diventa più capace di apprezzare il significato della vita e dei suoi valori spirituali permanenti. Si è spesso notato in coloro che vivono, o hanno vissuto, all’ombra della morte portare una dolcezza vellutata per tutto ciò che fanno».

Anche in sede terapeutica, comunicare un numero di sedute limitato è di stimolo alla persona, specialmente negli ultimi incontri: essa si trova capace di esprimere quanto non aveva mai avuto il coraggio o la capacità di dire. Il fondatore della Compagnia di Gesù, Ignazio di Loyola, assegna un tempo limitato, due anni, a coloro che entrano nell’ordine per verificare la propria scelta. Dopo di che invita a prendere una decisione definitiva e di guardare avanti, senza più rimetterla in discussione. Anche se non può certamente essere ridotto a una tecnica, si tratta di un avvertimento saggio. Chi invece cerca una verifica totale, infallibile, o ritiene che il tempo e le forze non siano sufficienti non concluderà mai, ma anche non vivrà mai veramente, perché il rischio è parte dell’esistenza. Uno dei drammi della nostra società tecnologica, che ha rimosso la morte e il morire dal proprio immaginario, è che cerca assicurazioni su tutto, vedendosi aumentare lo spazio dell’incertezza e dell’ansia.