Apostolo della devozione del santo Rosario, san Luigi Guanella la diffuse tra il popolo cristiano. Un suggerimento specialmente per il mese di ottobre
di Bruno Capparoni, Postulatore generale
Don Guanella è stato un esempio di intensa pietà nella pratica del Rosario mariano. Una prima scena ci rappresenta il fanciullo Luigi che alla sera, sotto la guida di pà Lorenzo, recita con devozione il Rosario con tutta la sua numerosa famiglia nella casa di Fraciscio. Egli ricordava spesso questo particolare quando raccontava la sua fanciullezza; il 7 giugno 1914 una sua conversazione con i Servi della Carità nella Casa di Como è così registrata da don Leonardo Mazzucchi: «Il padre di don Luigi recitava il Rosario tutte le sere e poi vi aggiungeva un Pater a tutti i santi della valle». Il Fondatore conservò dunque fino agli ultimi tempi della vita il ricordo vivo e grato di suo padre in preghiera!
In un veloce passaggio della sua autobiografia Le vie della Provvidenza, del 1913-14, abbiamo anche un'altra immagine, quasi un'instantanea, di don Guanella che recita il Rosario. Nel 1898 andò da Campodolcino a Splügen (oltre 25 km a piedi!) per accordi su una chiesa da costruire per gli emigranti stagionali cattolici che lavoravano nel Canton Grigioni. Ricorda allora che «giunto solo sul valico delle Alpi e viste giù le valli e i monti severi di val di Reno, recitò da solo qualche Rosario e preghiere per la conversione di quei fratelli». Mentre dal maestoso e impervio passo dello Spluga ammirava la bellezza delle montagne, gettando uno sguardo sulla valle sottostante, abitata da protestanti, faceva scorrere tra le sue mani la corona del Rosario.
Passiamo a cogliere ora qualche documento del suo apostolato per la diffusione della preghiera mariana per eccellenza. Nella sua epoca la pratica del Rosario era largamente presente nella pietà del buon popolo cristiano e si esprimeva nella consuetudine di recitarlo ogni sera in famiglia. Tra i contadini era poi diffuso il costume delle cosiddette “veglie”, cioè di riunioni di vicini che, specialmente nelle lunghe serate invernali, si trovavano in un luogo riscaldato (non raramente una stalla per l’allevamento dei bovini) per trascorrere un po’ di tempo insieme. Don Guanella chiedeva che in queste riunioni ci fosse anche la recita del Rosario. Nel 1887 in un opuscolo dal titolo Cinquanta ricordini delle sante missioni, scritto come aiuto per conservare i frutti spirituali delle missioni al popolo, tra le varie iniziative suggerite incoraggiava anche la pratica di queste “veglie”. Descriveva gli argomenti utili da trattare per non cadere nel “chiacchiericcio” (come direbbe papa Francesco...), poi suggeriva che il padrone di casa a un certo punto avviasse la recita del Rosario dicendo ai presenti: «Ci siamo intrattenuti in cose di questo mondo e abbiamo cicalato fra noi; orsù, intratteniamoci per breve momento anche delle cose di paradiso e parliamo con Gesù nostro e con la Vergine santa nel Rosario benedetto». Certo, questa delle “veglie” non è una invenzione di don Guanella, ma la sua raccomandazione era utile per mantenere vivo un costume dettato dalla fede. Aveva nella memoria la sua casa di Fraciscio e suo padre Lorenzo quando don Luigi parlava «della preghiera del cristiano, il Rosario, che è divozione vecchia eppur sempre nuova e cara ai cuori fedeli».
Uno straordinario incoraggiamento alla devozione al Rosario venne in quegli anni dal magistero di Leone XIII. Proprio con questo scopo il 15 agosto 1889 questo Papa promulgò l’enciclica Quamquam pluries (dove è proposta al termine del Rosario la preghiera A te, o beato Giuseppe). Don Guanella assecondò la volontà del Papa stampando in quello stesso anno un piccolo vademecum per aiutare nella recita del Rosario, Mezz’ora di buona preghiera. In ossequio alla veneratissima enciclica del santo padre Leone XIII. Era un semplice sussidio per la preghiera, ma anche una guida alla meditazione che alla recita del Rosario affiancava degli spunti “contemplativi” ispirati ai misteri della vita di Gesù. Questo libretto non ebbe grande successo poiché propone un modo un po’ troppo laborioso di recitare il Rosario: per ognuno dei quindici “misteri” offre sei “riflessi”, cioè brevi frasi che aiutano a meditare l’episodio evangelico; inoltre per ciascuna Ave Maria aggiunge un rapidissimo concetto, per un totale di centocinquanta sintetiche considerazioni.
In quello stesso 1889, anno dell’enciclica sul Rosario, don Guanella era impegnatissimo nell’avviare le sue opere: nel 1886 aveva aperto la Casa madre a Como e in breve sarebbero sorte le fondazioni a Milano. Non volle però perdere quell’occasione propizia per promuovere una devozione a lui tanto cara. Stese personalmente tutti i “riflessi” premessi ai quindici Misteri, mentre attinse «da fonte altrui» (così nella Premessa) i pensieri collegati con ciascuna delle Ave Maria.
L’opuscolo appena ricordato sarà l’ultimo delle cosiddette “operette”, cioè degli scritti popolari di don Guanella con finalità pastorali. Ma anche in seguito, rivolgendosi alle congregazioni religiose, mai tralascerà di proporre (anzi di prescrivere!) ai suoi discepoli e anche agli ospiti delle sue Case la recita quotidiana del Rosario.
Fino alla fine dei suoi giorni manterrà la convinzione che aveva già espresso nel 1887, nei già menzionati “ricordini” delle missioni popolari: «Il Rosario è per eccellenza la preghiera del cristiano, la divozione dei popoli, l’arma di salute della Chiesa. Evviva il Rosario santissimo della Vergine! Quanti misteri nel Rosario benedetto e quante promesse!». Colpisce soprattutto il riferimento alle “promesse”, che lascia intravvedere ciò che san Luigi Guanella attendeva ed evidentemente otteneva dalla preghiera del Rosario.