5*/ Il perché della fede
di Madre Anna Maria Canopi osb
Proseguendo le meditazioni sulle «domande della fede» che costellano tutta la Bibbia – perché esprimono i dubbi, le paure, i desideri del cuore umano – ci soffermiamo sull’episodio evangelico del mare in burrasca. Al termine di un’intensa giornata di predicazione, Gesù e i dodici salgono in barca per «passare all’altra riva» e far rientro nelle loro case. Mentre i discepoli remano, Gesù sta a poppa e si addormenta su un cuscino, come annota l’evangelista Marco.
Quand’ecco all’improvviso si scatena una violenta tempesta e l’acqua riempie la barca che rischia di rovesciarsi. E Gesù continua tranquillamente a dormire.
Pieni di paura, i discepoli lo svegliano – forse anche un po’ bruscamente – e gli domandano quasi in tono di rimprovero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?». In mezzo alla tempesta, sulle loro labbra affiora subito il grido della paura.
Svegliatosi, Gesù si alza; con la sua autorevolezza intima al mare di calmarsi e subito torna la bonaccia. Poi, rivolgendosi ai suoi: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?» (v. 40). E i discepoli, invece di essere colmi di gioia per il miracolo avvenuto, si lasciano ancor più invadere dal timore: «E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: “Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?”» (v. 41).
Nella tempesta sono presi dalla paura perché temono non solo la morte, ma, ancora di più, che il loro maestro, per il quale hanno lasciato tutto, in realtà non abbia cura di salvarli. Nella bonaccia, poi, sono pieni di tremore, perché intuiscono che il loro maestro ha un mistero che li supera: «Chi è?». È questa la grande domanda della fede: Chi è colui al quale affidiamo tutta la nostra vita? Come conoscerlo veramente?
Mettiamoci in situazione. Quante volte anche noi nella grande traversata del mare della vita ci troviamo in mezzo a violente tempeste che ci fanno gridare di paura! Se, però, ci limitiamo a gridare, la paura prende il sopravvento su di noi e il naufragio è sicuro. Se, invece, gridiamo a colui che può vincere la paura – perché ha vinto la morte – allora tutto cambia e nel nostro cuore la tempesta lascia il posto ad una grande bonaccia.
Il naufragio non dipende dalla violenza della tempesta, ma dalla pochezza della nostra fede; il naufragio avviene, ad esempio, quando non sappiamo aderire con fede a un evento doloroso e subito ci sgomentiamo, come se Dio non si curasse di noi, come se ci avesse dimenticati, persino come se non ci fosse.
Quando ci accadono eventi che contrastano con la nostra volontà e i nostri desideri, opporre resistenza è come navigare contro corrente; abbracciare invece l’incomprensibile con umile fede è avere la fiaccola accesa per scorgere anche nelle situazioni più difficili e dolorose la presenza della grazia, del bene, anche di un maggior bene.
La fede è uno sguardo lungimirante, è un’attesa paziente che, nella speranza, si prepara ad accogliere un dono insperato. Ciò che non è ardentemente desiderato, pazientemente atteso e anche guadagnato con un po’ di sofferenza, ha poco valore. Noi istintivamente cerchiamo di allontanare tutto ciò che ci comporta fatica e sofferenza, considerandolo come un impedimento, ma in realtà la sofferenza è necessaria per raggiungere la vera gioia: come la Passione di Gesù è stata necessaria per la Risurrezione e la nostra salvezza eterna.
La difficoltà ad accettare che questa sia la via della salvezza, deriva proprio dalla nostra fragilità, dalle nostre paure. Dobbiamo combattere contro la paura, ma con le «armi» giuste. Commentando questo brano evangelico, Dietrich Bonhoeffer scriveva: «La Bibbia, Cristo, la Chiesa e la fede sono un grido di guerra contro la paura, nemico originario che si installa nel cuore dell’uomo».
Ma l’uomo non deve avere paura! Non perché si senta capace di affrontare da solo la tempeste della vita o le tentazioni che ostacolano il suo cammino, ma perché sa – per fede – che il Signore è sempre accanto a lui: è il Dio-con-noi. «Nella vostra paura – dice ancora Bonhoeffer – guardate a lui, invocatelo, pregatelo, credete che egli ora è presso di voi e vi aiuta. Allora la paura indietreggerà, e voi sarete liberi nella fede in Gesù Cristo, il Redentore forte e vivente».
Tutti siamo deboli e non ci si libera mai una volta per sempre dalla paura. Ogni giorno occorre rinnovare la fede in Cristo. Gli stessi apostoli, pur avendo vissuto in prima persona l’episodio della tempesta sedata, al momento della Passione dimostrarono ampiamente di essere ancora dominati a tal punto dalla paura da fuggire lontano da Gesù, fino rinnegarlo – come fece Pietro – per non subire la sua stessa sorte.
La tentazione della paura è una realtà umana, perché siamo fragili. Non dobbiamo mai dire: «Io non ho paura!», ma sempre chiedere al Signore la forza di vincere la paura, momento per momento. Nella tempesta, non dobbiamo gridare contro di lui: «Non ti importa che siamo perduti?», ma umilmente chiedergli: «Signore, salvaci!», dimostrandogli la nostra fiducia.
Fin dall’inizio della fondazione del nostro monastero ci ha conosciuto e frequentato un sacerdote molto bravo; nel pieno del suo ministero è stato colpito da una malattia molto grave e molto dolorosa. Sopravvissuto quasi per miracolo, la prima volta che tornò da noi non riusciva quasi a parlare – lui che era stato un affermato predicatore. Con grande fatica ci rivolse alcune parole, che resteranno per sempre come il suo testamento spirituale: «Ringrazio con tutto il cuore, ringrazio per le preghiere... Se sono qui è perché qualcuno mi ha tenuto in vita. Io lodo il Signore, e non so come lodarlo. Come Giacobbe porto i segni del combattimento. E sono contento. Non è una battuta: sono davvero felice. È una grande grazia che Dio mi ha fatto; io credo che per un prete è una grazia ineffabile. Perché è facile predicare sulla croce, sulla mortificazione, sul mistero pasquale, ma quando il Signore ti chiama ad avvicinarti di più al Calvario, è un privilegio. Io vi ringrazio delle preghiere: ho sperimentato veramente la grazia, la grazia attuale. Perché io sono un “fifone”. Ho paura di tutto, ma al momento buono, ecco che mi arriva la grazia! Ringraziate dunque con me il Signore che è sempre magnanimo nel suo soccorso. Magnificate Dominum mecum. Grazie!».
Nella Chiesa c’è un deposito di preghiera per tutti. Dovremmo, dunque, sempre ringraziare il Signore perché nelle esperienze dolorose della vita non siamo abbandonati, non siamo mai soli, basta che abbiamo un po’ di fede per gridare a lui. Gesù diceva agli apostoli con doloroso stupore: «Dov’è la vostra fede?», come a dire: nelle circostanze in cui dovrebbe essere veramente messa in atto, non la si vede, ma vi impaurite e vi sentite abbandonati...
Sì, nell’ora della prova abbiamo veramente bisogno che qualcuno abbia fede anche per noi; a nostra volta, non dobbiamo mai dimenticare che se resistiamo nella fede diamo sostegno anche ad altri, se cediamo causiamo la caduta anche di altri, perché siamo come in cordata.
Non si crede mai soltanto per se stessi, ma per tutti e non si crede mai da se stessi, ma dal cuore della Chiesa. Ogni giorno è buona consuetudine iniziare la giornata facendo subito la nostra bella professione di fede: «Credo in Dio Padre... Credo in Gesù Cristo... Credo nello Spirito Santo». Di lì attingiamo la forza di vivere le nostre giornate con la forza del Signore, sapendo che egli è con noi, nella nostra barca.
Signore Gesù,
la nostra vita è spesso in balia
del mare in tempesta
e la paura del naufragio
ci fa gridare aiuto.
Abbiamo paura di non essere ascoltati,
perché tu sei con noi,
ma dormi dentro la nostra barca,
dormi nel nostro cuore...
Sveglia, Signore, la nostra fede,
donaci una fede forte,
una fede salda e un amore ardente
per poterti vedere e ascoltare
e così affrontare vittoriosamente
gli assalti ricorrenti del maligno
che vuole distoglierci dalla retta via.
Sia nel nostro cuore la tua Parola,
la Parola della Croce, sapienza vera,
nostra àncora di salvezza,
e sorgente di vera gioia. Amen.