di mons. Gastone Simoni
Esperienza di un vescovo
Ripensando – passati ormai gli ottanta – alla mia piccola, personalissima “storia della pietà” vissuta fin dalla fanciullezza, confesso che san Giuseppe non è stato, per anni, fra i santi più sentiti da me come particolarmente “miei”.
Pur venerandolo e pregandolo anch’io senza problemi e riconoscendo senza dubbi di sorta la sua singolarissima e straordinaria missione accanto al Signore Gesù e a Maria, non nutrivo però una devozione, ripeto, “sentita” verso di lui. Penso che questo «vero riconoscimento senza vero sentimento» sia stato causato anche, e forse soprattutto, dall’antica maniera di rappresentare, in genere, lo sposo della giovanissima Vergine Madre di Gesù e il custode del suo Figlio, l’Eterno Verbo Incarnato concepito da lei per opera dello Spirito Santo. Quei capelli bianchi e il volto piuttosto anziano del santo falegname di Nazaret non mi hanno mai convinto e non favorivano un intimo trasporto neanche quando recitavo negli anni del seminario, insieme alla comunità, la tradizionale e bella preghiera «A te, o Beato Giuseppe…».
Crescendo, invece – e non solo di età – è avvenuto che gli studi, le letture e particolarmente l’approfondimento della conoscenza biblico-teologica e la maturazione della fede e dell’esperienza spirituale mi hanno fatto capire maggiormente la grandezza della sua figura teologale e hanno favorito così la nascita in me, per san Giuseppe, di un motivato sentimento devoto. Tanto che, anche da giovane prete, e più tardi ancora di più, ho parlato volentieri di lui e l’ho pregato e lo prego anch’io con intimo affetto, e volentieri.
Certo, soprattutto a partire dal periodo successivo al Concilio Vaticano II, anche l’iconografia del santo si è aggiornata diventando più rispettosa degli usi e costumi di Israele al tempo di Gesù. L’uomo maturo che Giuseppe fu non era della stessa età di Maria ma non può essere certamente identificato col “vecchio” di tanta iconografia tradizionale. E comunque la scoperta o riscoperta, negli ultimi tempi, della sua più autentica fisionomia largamente avvenuta – almeno tra noi – nella seconda parte del XX secolo è legata soprattutto, mi pare, all’immenso progresso conoscitivo biblico-teologico di cui abbiamo goduto, nonostante gli eccessi progressisti, nella stagione guidata dai papi san Giovanni XXIII e san Paolo VI. Il post-Concilio ci ha fatto soffrire per effettive convulsioni e deviazioni, ma quanta autentica luce ha acceso e diffuso nella Chiesa!
Così, anche una meditazione su san Giuseppe e la percezione della sua innegabile grandezza ha giovato e giova senza dubbio alla contemplazione dell’evento cristiano, del Mistero di Dio con noi e per noi per mezzo del Signore Gesù, e al conseguente amore tenero e immensamente fiducioso verso Maria, la Madre, inseparabile dalla sincera devozione al suo sposo pienamente giusto e mirabilmente santo.