Nessuna creatura può essere considerata “scarto” o “peso insopportabile
di Madre Anna Maria Cánopi
Andare incontro all’ignoto, senza sapere come affrontarlo, carico di aspettative, carico di domande.
Entrando nel vivo della Costituzione Gaudium et Spes, ci si trova subito davanti ad una tematica che interpella tutti molto direttamente. Il primo capitolo è, infatti, dedicato alla dignità della persona umana creata a immagine e somiglianza di Dio, dotata di intelligenza, volontà e libertà, assetata di verità e di amore, ma anche ferita dal peccato e soggetta alla morte. Essa è portatrice di un mistero, è fatta per l’infinito, eppure si trova dolorosamente segnata dalla propria finitezza e perciò sempre alla ricerca di altro. In realtà è, più o meno consapevolmente, alla ricerca di Dio, ma anche sempre tentata di rivendicare la propria autonomia, quindi di usurpare il posto di Dio.
Con il testo conciliare ci poniamo innanzitutto la classica domanda che risuona già sulle labbra del Salmista: «Che cos’è l’uomo?» (cf. Sal 8). Volgendo lo sguardo attorno a sé, l’orante, pieno di meraviglia per la bellezza e la grandezza del cosmo, si immerge nella contemplazione del firmamento trapuntato di stelle e di tutte le opere di Dio; più contempla, più il suo stupore cresce, uno stupore che diventa sacro timore e sguardo umile su di sé. Di fronte all’immensità del cosmo, che cos’è l’uomo? Un granello di polvere che scompare… Eppure: «Davvero l’hai fatto poco meno di un dio, di gloria e di onore lo hai coronato» (v. 6). Di lui il Signore si ricorda, di lui ha cura. Creatura piccola e fragile, l’uomo nell’universo potrebbe scomparire, ma su di lui il Signore ha posato e sempre posa il suo sguardo di predilezione: per lui, così piccolo, egli ha fatto e sempre farà grandi cose, come canta anche la Vergine Maria nel suo Magnificat. Ecco, dunque, che cos’è l’uomo nella sua bellezza originaria: una creatura amata da Dio e da Lui gratuitamente voluta.
Il grandioso racconto della creazione, con cui si apre la Bibbia, ci comunica proprio questa verità fondamentale: la vita è dono. Tutta scandita dal ritornello che ne evidenzia la bellezza e bontà – «E Dio vide che era cosa buona» – l’opera creatrice di Dio giunge al suo culmine con la creazione dell’uomo a sua immagine e somiglianza (cf. Gen 1,26). Davanti a questa creatura il Creatore esclama: «Ed ecco, era cosa molto buona» (v. 31). Sta qui la fonte della nostra immensa gioia e del nostro crescente stupore: la persona umana è il capolavoro di Dio; essa è sacra e inviolabile. Nessuno, perciò, può essere considerato “scarto”, né essere ritenuto un “peso insopportabile”. Anche il semplice soffio vitale ha un valore immenso agli occhi di Dio, perché è soffio che procede da Lui. Ho conosciuto una mamma che stava giorno e notte a vegliare su un suo figlio ventenne in stato comatoso. Ad una amica compassionevole che auspicava la morte di quella creatura inerte, ella reagì vivamente dicendo: «Che dici mai? Mi mancherebbe il suo respiro!». Rivestito di tale altissima dignità, l’uomo ha, di conseguenza, un’altissima missione: quella di manifestare in se stesso la santità di Dio, la sua radiosa bellezza che è amore, bontà infinita, comunione.
Come sottolinea il documento conciliare, Dio «non creò l’uomo lasciandolo solo: fin da principio “uomo e donna li creò”… L’uomo, infatti, per sua intima natura è un essere sociale, e senza i rapporti con gli altri non può vivere né esplicare le sue doti» (n. 12).
Quasi dipingendo un idillico quadretto, l’Autore sacro lascia intravedere la vita felice che conducevano Adamo ed Eva nell’Eden, lavorando come custodi del giardino e dialogando familiarmente con Dio nella brezza della sera. Dolce e serena comunione di vita.
Ma ecco introdursi una voce estranea che insinua il dubbio: «È vero che…?». Eva entra in dialogo con il tentatore e il sospetto si impadronisce del suo cuore, fino ad indurla al peccato di disobbedienza. Ingannata, trascina nella caduta anche Adamo, il quale, da lei invitato, acconsente a mangiare il frutto proibito.
A causa del peccato, Adamo ed Eva perdono lo splendore della loro bellezza; il senso della colpa morde la loro coscienza, si vergognano vedendosi denudati della loro dignità e istintivamente cercano di nascondersi allo sguardo di Dio che, invece, li interpella: «Adamo, dove sei?». Inizia così un nuovo, tormentato dialogo. Adamo getta la responsabilità della colpa su Eva, Eva sul serpente… Con il peccato della disobbedienza comincia, infatti, anche quell’istinto di autodifesa che scarica sugli altri la propria colpa, invece di assumerla in prima persona. Il peccato priva l’uomo dell’umile coraggio della verità e infrange la gioia della comunione. Esso innesca un susseguirsi inarrestabile di passi che portano sempre più lontano dalla fonte del bene. «Per questo – precisa la Gaudium et Spes – tutta la vita umana, sia individuale che collettiva, presenta i caratteri di una lotta drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre. Anzi l’uomo si trova incapace di superare efficacemente da sé medesimo gli assalti del male, così che ognuno si sente come incatenato» (n. 13).
Ma Dio, nel suo immenso amore, subito apre una via di salvezza, mandando sulla terra, nel tempo da lui stabilito, il suo unico Figlio a cercare ciò che era perduto. Obbediente fino al sacrificio estremo sulla croce, Gesù, Figlio di Dio e Figlio di Maria, è il nuovo Adamo, venuto a liberare il vecchio Adamo – l’uomo – dalla schiavitù del peccato e della morte. Così si compie la redenzione, offerta a tutti. Sta a noi accoglierla dicendo, giorno per giorno, il nostro sì alla volontà di Dio.
E come conoscerla senza ricadere nell’inganno? Stando umilmente in ascolto, «nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell’intimità del cuore» (GS 16). Purché, naturalmente, l’ascolto sia sincero e la coscienza ben custodita, non deformata. Su questo aspetto è intervenuto più volte papa Benedetto XVI, mettendo in guardia dal rischio di una coscienza resa «quasi cieca dall’abitudine al male»; e a sua volta papa Francesco nella sua Evangelii gaudium parla del pericolo incombente di una coscienza “isolata”, a causa del «grande rischio del mondo attuale», ossia di «una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri».
Allora, possiamo dire che la dignità di ogni essere umano, la piena realizzazione della sua vita coincide con la piena maturità dell’amore. E l’amore vero non è mai una passione per il soddisfacimento egoistico, ma spinta all’oblatività, al dono di sé. Fatta ad immagine di Dio, che è Amore effusivo, la creatura umana gioisce nel fiorire e fruttificare, nel vivere per gli altri.