L’agonia del Signore nell’orto degli Ulivi: primo mistero doloroso
di Ottavio De Bertolis
Possiamo contemplare la scena, mentre recitiamo le “Ave Maria”: qui è vedere come il Signore è prostrato a terra, e supplica il Padre di avere misericordia dei suoi discepoli, che stanno per abbandonarlo, e di tutto il mondo, che non lo ha accolto. Si adempiono qui le parole del Salmo: “Mi angustiavo come per l’amico, per il fratello; come in lutto per la madre mi prostravo nel dolore”; e noi sappiamo che Gesù ha chiamato fratello, sorella e madre coloro che fanno la volontà del Padre suo: e compiere la volontà del Padre è credere a Colui che Egli ha mandato.
Vediamo in questo mistero come Gesù pregò per Pietro, quando gli disse che, se Satana li aveva cercati per vagliarli come il grano, tuttavia Lui aveva già pregato perché non venisse meno la loro fede. Gesù pare avere quasi assolto in anticipo Pietro, quando gli raccomandò: “Tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli”. Gesù perdona anche il futuro, non solo il passato. Possiamo sentire tutti noi compresi e quasi avvolti in questa grande preghiera di intercessione, che non riguardò solo Pietro e gli altri discepoli, ma riguarda tutti coloro che per la loro fede avrebbero creduto.
Del resto, quella preghiera non si è fermata in Getsemani; essa continua, e continuerà fino alla fine dei secoli, poiché Gesù Cristo continua a pregare per noi, come vero ed eterno sacerdote, alla destra del Padre. “Non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità”, afferma l’autore della Lettera agli Ebrei. Ed è la stessa immagine: Colui che si prostrò per noi nel buio dell’Orto degli Ulivi, è anche lo stesso che, innalzato e risorto alla destra del Padre, nella luce della sua gloria, intercede continuamente in nostro favore. “Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia, e trovare grazia, ed essere aiutati al momento opportuno”. Di Gesù il salmista dice inoltre: “Ho atteso compassione, ma invano; consolatori, ma non ne ho trovati”.
E il Signore infatti chiese ai discepoli: “L’anima mia è triste fino alla morte. Restate qui e pregate con me”. Ma essi si addormentarono. Contempliamo come noi dormiamo – in senso figurato, cioè non siamo presenti – quando Lui ci chiama a essere vigilanti, nella preghiera, nella carità e nelle opere buone, e il buio o la nebbia della quotidianità ci stringe da tutte le parti. Eppure san Paolo ci ricorda che “sia che vegliamo, sia che dormiamo, siamo dunque del Signore”, cioè siamo sempre nelle Sue mani fedeli e misericordiose, anche quando non lo vediamo, non lo crediamo, non lo pensiamo: infatti siamo stati comprati a caro prezzo, a prezzo appunto di quel sangue che contempliamo sgorgare come sudore sul corpo di Gesù. Sappiamo che questo è vero, è possibile, e i medici ci dicono infatti che una profonda angoscia, segnata da un dolore mortale, provoca una dilatazione dei capillari, sì che il corpo si cosparge come di macchioline di sangue, come capocchie di spillo: io stesso ho conosciuto una persona che morì in questa condizione.
Contempliamo allora di qui un mistero di obbedienza quale mai accadde: il Figlio si è fatto obbediente fino alla morte, entrando come in un tunnel di cui non si vede la fine; entrando nell’angoscia come si affonda in una gelida palude, venne inghiottito dai lacci degli inferi, e non ebbe alcuna consolazione. Bevve questo calice fino alla feccia, fino in fondo; obbedire è bello quando il vino è ancora buono, il calice trabocca di gioia, ma quando giunge alla feccia, a quella polvere sporca e amara che rimane in fondo alla bottiglia, allora sì bisogna farsi forza per non sputarla. Gesù si affidò al Padre, senza alcuna luce.
Entrò nella disperazione più profonda dell’uomo, perché nessuno potesse dire di essere stato privato della sua compassione. Doveva soffrire più di tutti, se voleva salvare tutti. Vengono in mente le parole che Lui disse a santa Margherita Maria Alacoque, la grande apostola del Sacro Cuore: Qui ho sofferto più di tutto il resto della mia passione, vedendomi abbandonato dal cielo e dalla terra. Nessuno può comprendere l’intensità di quei dolori. È lo stesso dolore che prova l’anima in peccato, quando si presenta di fronte alla santità di Dio, e la divina maestà la schiaccia e la sprofonda nell’abisso della sua giustizia. Niente di diverso da quello che dice Paolo: “Egli, che non aveva conosciuto peccato, fu trattato da peccato in nostro favore”. E Isaia: “Egli si è addossato le nostre iniquità, ha portato i nostri dolori”.
Niente è così santificante quanto meditare questo mistero: lì troverai la misericordia e la giustizia, la fedeltà e l’obbedienza, la legge e i profeti insieme. Veglia e prega anche tu, perché l’agonia di Gesù durerà fino alla fine del mondo.