Ecumenismo ed educazione. Crescere nell'unità dell'amore
di Madre Anna Maria Cánopi
La mia ormai lunga esperienza di formatrice e di guida spirituale nella vita monastica mi conferma sempre più che veramente soltanto l’Amore fa crescere la persona umana e fa fiorire le anime nella santità, anche quando esse sembrano fili d’erba avvizziti, senza potenzialità di riprendersi. L’educazione è un miracolo dell’amore, dello Spirito Santo che agisce con tutti i suoi doni di grazia.
E posso dire – con grato stupore – che di questi miracoli ne ho visti tanti e ne ho sempre sotto i miei occhi. Davvero, soltanto davanti all’Amore si spalanca la porta della speranza in un futuro di eterna e piena felicità. n È ovvio che l’amore vero non è condiscendenza indiscriminata a tutte le richieste e non può essere esente da austerità e da disciplina correttiva, indispensabile per una vera formazione della coscienza alla luce della verità e della legge divina per giungere alla responsabilità nell’uso della propria libertà. «Pertanto, i fanciulli ed i giovani – dice il Concilio – debbono essere aiutati a sviluppare armonicamente le loro capacità fisiche, morali e intellettuali, ad acquistare gradualmente un più maturo senso di responsabilità, nello sforzo sostenuto per ben condurre la loro vita personale e la conquista della vera libertà, superando con coraggio e perseveranza tutti gli ostacoli», così da crescere ben inseriti nella vita sociale, capaci di apportare il loro proprio e insostituibile contributo al bene comune.La verità e il bene sono valori perenni e fondamentali che non si trasmettono automaticamente; devono essere accolti e, per accoglierli, è necessaria una sempre nuova capacità di discernere e di decidersi, mettendo in atto la libertà della persona umana. La difficile impresa dell’educazione oggi consiste proprio nel liberare i ragazzi e i giovani dai molti condizionamenti dell’ambiente in cui vivono. Di qui anche la grande importanza delle scuole cattoliche su cui il Concilio si sofferma lungamente. Se, infatti, nei genitori e negli educatori manca il senso soprannaturale della vita e quella capacità di amare che, sola, può far sprigionare nei bambini e nei giovani le potenzialità di bene insito in loro, qualsiasi metodo educativo risulterà inefficace o, comunque, privo di quel respiro universale che corrisponde al desiderio del cuore umano. Pur vivendo in un monastero su un’isola quasi esclusivamente abitata dalla comunità monastica, percepisco con acutezza il fremito di tutto il disagio che esiste nella società del nostro tempo: un disagio che è causato dalla perdita di quei valori fondamentali che danno senso e orientamento sicuro all’umana esistenza e che deriva in gran parte dall’attuale gravissima crisi della famiglia. Sono infatti i genitori i primi educatori: là dove la loro figura è assente o dolorosamente conflittuale, i bambini e i ragazzi non possono che portarne profonde ferite. Personalmente posso testimoniare d’aver avuto la buona sorte di buoni educatori, a cominciare proprio dai miei genitori che, avendo otto figli, ci hanno insegnato – soprattutto con l’esempio del loro amore umile e tutto intessuto di sacrificio – a volerci bene e a vivere gli uni per gli altri. A scuola, poi, ho avuto pure insegnanti che hanno saputo appassionarmi al vero, al buono e al bello. Per quanto riguarda la scelta vocazionale, il sacerdote che mi guidava mi poneva semplicemente davanti il Vangelo e la parola di Gesù: Si vis…, se vuoi! Con piena e consapevole libertà ho detto al Signore un sì senza esitazione né pentimento, perché era lo stesso valore di una vita donata per amore, sull’esempio di Gesù, a esercitare il suo fascino sulla mia anima e a determinare la mia libera volontà.Ora nella nostra società a tutti questi livelli è davvero necessaria una ri-educazione: ne abbiamo bisogno tutti, a partire da chi ha più responsabilità nel compito educativo.La buona educazione verso il prossimo è doverosa come quella verso Dio e verso noi stessi, poiché nel fratello è presente il Cristo, come egli stesso ha affermato.La buona educazione verso se stessi trae la sua motivazione da quella verso Dio, in quanto noi gli apparteniamo, ci ha creato a sua immagine, come suo capolavoro: non dobbiamo deturpare in noi la bellezza del suo volto.La buona educazione verso Dio richiede ovviamente il senso religioso della vita, il riconoscimento della sua Presenza invisibile, ma reale, cui è dovuta somma riverenza. Egli è il Santo e ha occhi così puri da non poter sopportare la visione del male. Escludere il peccato dalla propria vita è quindi il punto capitale, poiché il peccato reca offesa a Dio misconoscendo la sua autorità su tutto quanto è opera sua.Anzitutto è necessario ricuperare l’educazione verso Dio, così da avere una giusta consapevolezza dei propri doveri verso se stessi, verso il prossimo, verso l’intero creato. Colpisce nella dichiarazione conciliare Gravissimum educationis il triplice ricorrere dell’aggettivo superlativo gravissimum a sottolineare quanto il compito educativo sia di così estrema importanza – gravissimum momentum – da essere un dovere inderogabile – gravissimum officium –, addirittura un obbligo – gravissima obligatione – innanzitutto per i genitori, ma poi anche per l’intera società nel suo insieme e, a maggior ragione, per la Chiesa che, quale «Madre e Maestra», «ha il dovere di occuparsi dell’intera vita dell’uomo, anche di quella terrena, in quanto connessa con la vocazione soprannaturale». Mentre riascoltiamo queste parole del Concilio Vaticano II, non possiamo dimenticare che l’Episcopato italiano, con il documento Educare alla vita buona del Vangelo, ha centrato gli orientamenti pastorali di questo decennio sull’educazione nell’intento di gettare semi di nuova umanità nella nostra società che, allontanandosi sempre più dal Vangelo, si va degradando fino ad autodistruggersi. È perciò Egli stesso il “luogo santo” in cui tutti “i suoi” si possono incontrare per formare un cuor solo e un’anima sola. «Nulla anteporre all’amore del Cristo» dice san Benedetto ai suoi monaci. In Lui, persone provenienti dalle più diverse classi sociali e persino dai popoli barbari, ancora pagani, poterono dar vita a quel miracolo che è la vita cenobitica. Analogamente, l’unità tra tutti i cristiani richiede anzitutto la conversione di tutti i battezzati a Cristo, riconosciuto, accolto e amato nei fratelli, di cui si riconoscono e valorizzano gli specifici doni; richiede l’uscita da sé per essere aperti agli altri. Ed è questo il compito specifico dell’educazione, parola che, derivando dal latino e-ducere, ossia condurre fuori, racchiude già nel suo stesso significato l’esigenza di un esodo da sé, dalla schiavitù del proprio io alla terra di libertà che è l’amore oblativo.Cristo è venuto a compiere la sua missione di radunare tutti i figli di Dio dispersi (cf Gv 11,52) accettando, in filiale obbedienza al Padre, di stendere le braccia sulla croce. E in tale atteggiamento di Orante e insieme di Offerente rimane anche dopo la risurrezione e l’ascensione al cielo, al cospetto del Padre per intercedere a nostro favore (cf Eb 7,25).Occorre, dunque, guardare con fede all’azione di Dio nella storia, per considerare come il soffio dello Spirito abbia già suscitato una nuova primavera ecclesiale spezzando le barriere dietro le quali ogni confessione cristiana – quella cattolica compresa – si teneva barricata, allo scopo di tutelare il patrimonio della propria dottrina e spiritualità. È avvenuto, infatti, l’evento fondamentale, il vero riconoscimento della centralità di Cristo e il radunarsi delle varie espressioni di Chiesa attorno a Lui, come strumenti di un’unica orchestra che devono suonare l’unica sinfonia dell’amore, nell’intreccio armonioso delle note.Il documento Unitatis redintegratio si apre proprio ponendo sotto il nostro sguardo il disegno divino: « In questo si è mostrato l’amore di Dio per noi, che l’unigenito Figlio di Dio è stato mandato dal Padre nel mondo affinché, fatto uomo, con la redenzione rigenerasse il genere umano e lo radunasse in unità». Per questa unità Gesù ha dato la vita e per essa ha intensamente pregato il Padre prima della sua Passione: «Che tutti siano una sola cosa, come tu, o Padre, sei in me ed io in te; anch’essi siano uno in noi, affinché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,21). L’unità ottenuta dal sacrificio di Cristo va infatti da noi accolta e custodita. La divisione tra cristiani – dice ancora il documento – «contraddice apertamente alla volontà di Cristo, ed è di scandalo al mondo e danneggia la santissima causa della predicazione del Vangelo a ogni creatura» (n. 1). Bastano anche solo queste parole per rendersi conto di quanto l’impegno ecumenico non sia da considerare solo una “questione” da teologi, ma chiami in causa e coinvolga tutti i credenti in Cristo. D’altronde gli ultimi pontefici hanno instancabilmente operato in senso ecumenico, risvegliando nei cuori dei fedeli l’ansia dell’unità e il desiderio della riconciliazione. In questi ultimi cinquant’anni molti passi sono stati compiuti in questo senso, ma, come diceva Paolo VI con velata mestizia, «per ora nessun passo è giunto alla mèta! Il cuore, che ama, è sempre frettoloso; se la nostra fretta non è esaudita, l’amore stesso ci fa soffrire». A queste sofferte parole fanno eco tante altre espressioni di Giovanni Paolo II che, parlando di una pagina storica vissuta in prima persona, ha additato l’“ecumenismo dei martiri e dei testimoni della fede” come la più convincente via per l’unità dei cristiani, perché è la via della Croce. Pur consapevole che ognuno di questi documenti meriterebbe un’ampia considerazione, nel rapido viaggio della mia memoria mi soffermo ora su due di essi che hanno una grande eco nell’attuale momento storico e che sono anche, per diversi motivi, profondamente legati alla vocazione monastica; intendo riferirmi al decreto sull’ecumenismo, Unitatis redintegratio, e alla dichiarazione sull’educazione cristiana, Gravissimum educationis. Nella diversità dell’argomento, questi due documenti sono complementari a motivo della centralità che ha in essi il tema della conversione, e della mèta da perseguire: l’unità, quella del cuore e quella tra fratelli, quella interiore e quella esteriore e visibile. Si tratta, dunque, in entrambi i casi di compiere un cammino che conduce dalla divisione e dalla frammentarietà, proprie dell’uomo vecchio, all’unificazione e alla luce, proprie dell’uomo nuovo rivestito di Cristo. Tale cammino, in entrambi i casi, è “impossibile” alle sole forze umane, ma diventa possibile per dono di grazia. Siamo dunque davanti a due documenti che, forse più di altri, ci rendono consapevoli della fragilità dell’uomo, delle sue ferite e delle sue resistenze, ed insieme della sua grandezza, quando si apre all’azione dello Spirito e si rende docile ai suoi suggerimenti. In essi si evidenzia quanto il dono di Dio e l’impegno umano debbano essere in profonda sinergia per il pieno realizzarsi del disegno di salvezza. La storia – quella delle singole persone, dei popoli e della Chiesa – è chiamata a diventare luogo dove la volontà salvifica di Dio si manifesta e si incarna, secondo tempi e modi che per noi restano misteriosi, ma che, proprio per questo, ci sollecitano a una più visibile attenzione ai “segni dei tempi” e alla preghiera fiduciosa e incessante.Come grappoli maturi sui tralci della vigna, così, dopo la Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen gentium, gli altri documenti del Concilio si susseguono approfondendo i vari aspetti della vita della Chiesa, quale corpo mistico di Cristo che unisce in sé e abbraccia la moltitudine delle genti, popoli di ogni etnia, lingua e cultura.