Dopo le parole sull'Ucraina di Papa Francesco alla Radio Televisione Svizzera, interviene sulla questione il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin in un’intervista al Corriere della Sera: "Il mondo rischia un'escalation nucleare".
Pubblichiamo alcune risposte dell'intervista rilasciata a Gian Guido Vecchi dal cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, pubblicata oggi sul Corriere della Sera.
Eminenza, pare evidente che il Papa chieda un negoziato e non una resa. Ma perché rivolgersi solo a una delle due parti, l’Ucraina e non la Russia? Ed evocare la «sconfitta» dell’aggredito, come motivazione per il negoziato, non rischia di essere controproducente?
«Come ricordato dal direttore della sala stampa vaticana, citando le parole del Santo Padre del 25 febbraio scorso, l’appello del Pontefice è che “si creino le condizioni per una soluzione diplomatica alla ricerca di una pace giusta e duratura”. In tal senso è ovvio che la creazione di tali condizioni non spetta solo ad una delle parti, bensì ad entrambe, e la prima condizione mi pare sia proprio quella di mettere fine all’aggressione. Non bisogna mai dimenticare il contesto e, in questo caso, la domanda che è stata rivolta al Papa, il quale, in risposta, ha parlato del negoziato e, in particolare, del coraggio del negoziato, che non è mai una resa. La Santa Sede persegue questa linea e continua a chiedere il “cessate il fuoco” — e a cessare il fuoco dovrebbero essere innanzitutto gli aggressori — e quindi l’apertura di trattative. Il Santo Padre spiega che negoziare non è debolezza, ma è forza. Non è resa, ma è coraggio. E ci dice che dobbiamo avere una maggiore considerazione per la vita umana, per le centinaia di migliaia di vite umane che sono state sacrificate in questa guerra nel cuore dell’Europa. Sono parole che valgono per l’Ucraina come per la Terra Santa e per gli altri conflitti che insanguinano il mondo».
La preoccupazione della Santa Sede è una escalation? Lei stesso ne parlava dicendo che «fa paura» l’ipotesi di un coinvolgimento dei Paesi occidentali.
«La Santa Sede è preoccupata per il rischio di un allargamento della guerra. L’innalzamento del livello del conflitto, l’esplodere di nuovi scontri armati, la corsa al riarmo sono segnali drammatici e inquietanti in questo senso. L’allargamento della guerra significa nuove sofferenze, nuovi lutti, nuove vittime, nuove distruzioni, che si aggiungono a quelli che il popolo ucraino, soprattutto bambini, donne, anziani e civili, vive nella propria carne, pagando il prezzo troppo caro di questa guerra ingiusta».
Sempre in tema di escalation: il Papa ha parlato più volte del pericolo di un conflitto nucleare, «basta un incidente», è questa la paura di fondo della Santa Sede? Un «incidente» come a Sarajevo nel ’14?
«Il rischio di una fatale “deriva” nucleare non è assente. Basta vedere la regolarità con la quale certi rappresentanti governativi ricorrono a tale minaccia. Non posso che sperare che si tratti di una propaganda strategica e non di un “avvertimento” di un fatto realmente possibile. Quanto alla “paura di fondo” della Santa Sede, credo che essa sia piuttosto quella che i vari attori di questa tragica situazione arrivino a chiudersi ancora di più nei propri interessi, non facendo ciò che possono per arrivare a una pace giusta e stabile».