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“La mistica dell’operosità secondo don Colmegna” è il titolo dell’intervista apparsa su “Avvenire” del 14 marzo scorso a firma di Paolo Lambruschi, per presentare il libro “Una vocazione controcorrente. Dialogo sulla spiritualità e sulla dignità degli ultimi”, (Il Saggiatore, pagine 172, euro 18,00).

Nel testo, scritto in occasione dei 50 anni di sacerdozio, don Virginio Colmegna presenta i tratti fondamentali del proprio ministero, da parroco a Sesto San Giovanni negli anni 80, direttore della Caritas Ambrosiana fino al 2004 e poi presidente della Casa della Carità, il lascito sociale e culturale di Carlo Maria Martini alla grande città. Dialoga con una monaca clarissa cappuccina - suor Chiara Francesca Lacchini -e un intellettuale ebreo non credente - il ricercatore sociale Enrico Finzi. La postfazione è stata scritta da don Damiano Modena, segretario e assistente negli ultimi tre anni di vita del cardinale Carlo Maria Martini.

“In mezzo secolo di sacerdozio don Virginio Colmegna, prete ambrosiano delle periferie urbane ed esistenziali, ha avuto una varietà di compagni di strada, molti ai margini, con i quali ha stretto forti legami - annota Lambruschi -. Dai detenuti agli ex terroristi, dai malati psichici ai tossicodipendenti in cerca di vie di uscita, dai bambini soli ai senza dimora, dai rom ai profughi.

Tra le altre domande, il giornalista chiede a don Colmegna cosa sia la “spiritualità della carità”. Ecco la sua risposta: “Una tensione fondamentale. Semplifico: i media sollecitano solo l’operosità del fare, ti chiedono che opinione hai su questa o quella scelta politica con una lettura vertenziale. Questa è l’immagine che rischia di passare, quella della Chiesa come Ong, come dice il Papa. Invece la scelta appassionata per gli ultimi, fatta anche da papa Francesco, nasce dal cuore del Vangelo e ha bisogno di essere custodita nella preghiera, nella riflessione, nella contemplazione e per me nella gioia di essere prete”.

Si chiede a don Colmegna anche chi sia il prossimo da aiutare. Lui risponde così: “Non è solo il vicino. Aiutare chi ti è vicino è il punto di partenza, ma dentro di te questo ti dona il segno che porta ad abbracciare l’universo. Ti spacca il cuore per farci entrare il mondo e superare le barriere. Ama il prossimo tuo come te stesso significa rimettersi in gioco ogni volta che incontri qualcuno che ha bisogno. La dinamica biblica è quelle del cammino, dell’esodo. Il tema dello straniero e della vedova è patrimonio culturale già nell’Antico Testamento. Selezionare il prossimo in base a nazionalità e colore della pelle spiritualmente e teologicamente non ha spazi nel Vangelo”.