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a cura di Graziella Fons

Da qualche tempo durante le celebrazioni liturgiche si consigliano dei momenti di silenzio. Qualche volta ho la sensazione di un disagio come se fosse un silenzio senz’anima. Allora perché quando più che un’elevazione dello spirito è un silenzio di piombo?

Siamo abituati a vivere nella «Geenna del rumore», come è stato chiamato il nostro tempo rumoroso che affligge e stordisce. Per il cammino spirituale il silenzio è un elemento essenziale per progredire in un rapporto profondo con Dio.  Se vogliamo arrivare a sentire in modo autentico la Parola di Dio che agisce nella nostra coscienza è necessario intraprendere un strada educativa, che non vale solo per  i monaci di clausura. Il silenzio passeggero  delle nostre celebrazioni è un silenzio sterile e  fastidioso.

Educare al silenzio  comporta raffinare lo spirito a gustare  la bellezza, l’armonia dell’amore, la visione meravigliata del cosmo, lo stupore davanti al miracolo perenne della vita. Lo spazio del silenzio è il profondo dell’essere. La sua azione agisce nell’interiorità con il compito di difendere, correggere, purificare, nutrire. «Il silenzio opera tutto questo creando spazi, sviluppando radici, procurando umori all’azione educativa e formativa che, nelle varie fasi della formazione permanente, raggiunge l’interiorità dell’uomo per farla esprimere, per farla crescere, per farla aprire al respiro dei valori grandi della vita».

Il silenzio abitando nel nucleo più intimo della persona, costituisce un filtro, una cortina di difesa per un’efficace difesa intorno alla vita spirituale, artistica e culturale. Contiene infatti gli anticorpi capaci di resistere agli attacchi virulenti che provengono dalle manifestazioni infette della vita dissipata, che ha la sua origine proprio nel far tacere la voce dell’Essere e si consegna alle voci stridule e violente dell’utilitarismo, dell’efficientismo e dell’effimero. Il silenzio è «il guardiano dell’anima», al quale si deve ubbidienza. 

 Qualche anno fa  “i figli dei fiori” tracciarono delle rotte verso l’Oriente alla ricerca dei santoni, dei “guru” che insegnassero ad  ascoltare il silenzio, «per liberarsi e liberare dalla persecuzione del rumore ambientale e interiore». Oggi la nostra “Babele rumorosa” più che emigrare in Oriente si dovrebbe impegnare a guarire l’Occidente coltivando la ”cultura del silenzio”.  Questa cultura del  silenzio non può nascere dall’attivismo nevrotico (in politica, in pedagogia, e tanto meno nella pastorale della  Chiesa), ma intraprendendo cammini di sapienza, che comportano la capacità di ascoltare il prossimo, di dare il passo agli altri, di porre l’altro prima di noi, di riconciliarsi con i valori della sobrietà, della leggerezza, della gioia dello spirito,  di sperimentare con costanza il senso di una formula di vita controcorrente, chiedendo la grazia da Gesù di fidarsi della sapienza che nasce dall’ascolto della sua parola e di corroborarsi con la medicina del silenzio per passare alla pedagogia dell’autentico ascolto. 

Come in ogni disciplina si può iniziare con una manciata di minuti al giorno, imparare a sentire il proprio respiro in attesa di sentire il respiro dell’anima abitato da Dio.

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