di Gabriele Cantaluppi
Perché nel passato la Chiesa proibiva la cremazione e oggi la permette?
Il periodo pasquale, che come credenti stiamo vivendo in questo mese, è un richiamo al destino finale della Resurrezione del nostro corpo, quando Cristo «consegnerà tutto al Padre» (1 Cor 15).
Nel 1963 la Sacra Congregazione del Sant’Uffizio con il documento Pium et constantem e nel 2016 la Congregazione per la Dottrina della fede (nuovo nome della Congregazione) con l’Istruzione Ad resurgendum ci hanno offerto alcune norme per l’usanza, ormai largamente diffusa, della cremazione dei defunti, sottolineando però che questo non porta alcun cambiamento alla dottrina cattolica della resurrezione finale, così come la professiamo anche comunitariamente nel Credo della Messa.
Spiega il nuovo documento vaticano: «Seppellendo i corpi dei fedeli defunti, la Chiesa conferma la fede nella risurrezione della carne e intende mettere in rilievo l’alta dignità del corpo umano come parte integrante della persona della quale il corpo condivide la storia», e sottolinea che «non può permettere, quindi, atteggiamenti e riti che coinvolgono concezioni errate della morte, ritenuta sia come l’annullamento definitivo della persona, sia come il momento della sua fusione con la Madre Natura o con l’Universo, sia come una tappa nel processo della reincarnazione, sia come la liberazione definitiva della ‘prigione’ del corpo».
Fin dall’antichità cristiana, l’inumazione era preferita alla cremazione anche essa esprimeva meglio l’attesa della resurrezione finale. Lo attesta anche san Paolo nella prima lettera ai cristiani di Tessalonica (4,16), definendo i morti «coloro che dormono» in attesa di risorgere al momento della «venuta del Signore».
Attualmente «la Chiesa raccomanda vivamente che si conservi la pia consuetudine di seppellire i corpi dei defunti; tuttavia non proibisce la cremazione, a meno che questa non sia stata scelta per ragioni contrarie alla dottrina cristiana» e «continua a preferire la sepoltura dei corpi, poiché con essa si mostra una maggiore stima verso i defunti».
Questa nuova posizione della Chiesa, pur non cambiando la dottrina sulla resurrezione, è uno dei segnali di un nuovo modo con cui essa si pone di fronte al mondo, nel segno del dialogo, ponendosi in ascolto per comprendere le ragioni di chi agisce e opera in una giusta linea di condotta.
Però la recente Istruzione prescrive che «le ceneri del defunto siano conservate in un luogo sacro, cioè in un cimitero o in una chiesa o in un’area appositamente dedicata a tale scopo dalla competente autorità ecclesiastica». Resta per il divieto assoluto di «dispersione delle ceneri nell’aria, in terra o in acqua o in altro modo» oppure «la conversione delle ceneri cremate in ricordi commemorativi, in pezzi di gioielleria o in altri oggetti», oltre alla «divisione delle ceneri tra i vari nuclei familiari».
La sepoltura nei cimiteri o in altri luoghi sacri favorisce la pietà e il rispetto dovuti ai corpi dei fedeli defunti e il ricordo e la preghiera per loro da parte dei familiari e di tutta la comunità cristiana. Si custodisce così la comunione tra i vivi e i defunti opponendosi alla tendenza di occultare o privatizzare l’evento della morte e il significato che esso ha per il credente.
Con senso pratico si fa notare che si ovvia così alla «possibilità di dimenticanze e che possono avvenire soprattutto una volta passata la prima generazione»: il tempo porta con sé l’oblio anche delle persone più care.
Un ultimo vantaggio è quello di evitare «la possibilità di pratiche sconvenienti o superstiziose», frequenti nella collettività contemporanea.
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