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di Gabriele Cantaluppi

II volto dei nostri defunti è sempre presente nelle nostre case; le loro fotografie ci ricordano che, se ci hanno lasciati da questo mondo visibile, non sono però lontani da noi e ci seguono. A loro continuiamo a rivolgerci come a fratelli che possono ottenerci da Dio aiuto e protezione.

Il desiderio di mantenere una qualche relazione con i defunti che erano cari al nostro cuore diventa acuta quanto più forte era il legame che ci univa. 

Già il popolo d'Israele, anche se l’Antico Testamento è molto reticente su ciò che attende l’uomo dopo la morte, intravvede progressivamente l’idea di una vita rinnovata oltre questa nel tempo presente. E ciò matura avvicinandosi all’era cristiana, soprattutto in alcune correnti di pensiero, come i Farisei, che propendono per una «risurrezione dai morti», come testimoniano alcuni passi dei Vangeli.

In epoca cristiana è decisiva l'esperienza dei discepoli di Gesù, che lo hanno  visto e incontrato vivo dopo averlo riconosciuto come maestro e hanno assistito alla sua morte in croce. Dopo la sua Ascensione, Gesù li invia ad essere testimoni della Risurrezione nel mondo intero, promettendo però la sua presenza: “ Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).

Limpida è la testimonianza dei due discepoli di Emmaus: sul loro cammino, che è prototipo di quello della nostra vita, la presenza e l’assenza del Risorto sono unite, sfociando in quella esistenza definitiva  che riceve il nome di «vita eterna», dono assoluto di Dio. 

La parola entrata nel linguaggio comune è «paradiso», che ha sapore evangelico, perché la troviamo nella promessa fatta da Gesù al buon ladrone: «oggi sarai con me nel paradiso» (Lc 23,43). Ma non  in un luogo, bensì in una relazione assicurata: Gesù assicura il ladrone che sarà con lui, in comunione con la sua stessa vita. Questa promessa è per ognuno di noi, se ci lasciamo coinvolgere dal Vangelo di Gesù: la comunione di vita definitiva e fondamentale è con lui, il Risorto dai morti. San Paolo parla di risorgere in un «corpo spirituale», intendendo un corpo pervaso e animato dallo Spirito di Dio (1Cor 15,35-50), in comunione con il corpo glorioso del Signore risorto. 

La comunione perfetta con i nostri cari è in Cristo e si realizzerà nella compiutezza del Regno, quando Dio sarà tutto in tutti (1Cor 15,22-28). 

Il Catechismo della Chiesa Cattolica ricorda: “La Chiesa di quelli che sono in cammino, riconoscendo benissimo questa comunione di tutto il corpo mistico di Gesù Cristo, fin dai primi tempi della religione cristiana ha coltivato con una grande pietà la memoria dei defunti e, poiché "santo e salutare è il pensiero di pregare per i defunti perché siano assolti dai peccati" (2 Mac 12,45), ha offerto per loro anche i suoi suffragi. La nostra preghiera per loro può non solo aiutarli, ma anche rendere efficace la loro intercessione in nostro favore” (n.958).

Forse dobbiamo superare l’idea che essi ci guardino dall’alto come da un balcone: invece la nostra vita si intreccia con la loro, come le mani di due amici si congiungono ad un sostegno vicendevole, vivendo accanto a noi.

Questa è la nostra fede, oltre la quale non possiamo dire di più, se non usando un linguaggio metaforico e per immagini. Abbiamo bisogno di parole che siano espressive della nostra esperienza. Al tempo stesso dobbiamo riconoscere come oltre la morte si apra una realtà misteriosa che è oggetto di fede e speranza, esprimibile solo in un modo parziale e metaforico. La comunione con Cristo è il vero paradiso, nel quale ritroveremo tutti i nostri cari in quella vita abbondante e definitiva, dove ogni lacrima sarà asciugata e ritroveremo, purificati da ogni macchia, ogni bene vissuto sulla terra (Gaudium et spes, 39).