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Invito a recuperare dignità al lavoratore

di Mario Sgarbossa

Altre erano le responsabilità che Giuseppe stava per assumersi accanto alla Vergine Madre e al Verbo incarnato, come è ben sintetizzato nelle parole di Paolo VI:

“San Giuseppe, patrono della Chiesa, tu che accanto al Verbo incarnato lavorasti ogni giorno per guadagnare il pane, traendo da lui la forza di vivere e di faticare, tu che hai provato l’ansia del domani, l’amarezza della povertà, la precarietà del lavoro: irradia ancor oggi l’esempio della tua figura, umile davanti agli uomini, ma grandissima davanti a Dio; guarda all’immensa famiglia che ti è affidata.

Benedici la Chiesa, sospingendola sempre più sulla via della fedeltà evangelica; proteggi i lavoratori nella loro dura esistenza quotidiana, difendendoli dallo scoraggiamento, dalla rivolta negatrice, come dalle tentazioni dell’edonismo.

Prega per i poveri, che continuano in terra la povertà di Cristo, suscitando per essi le continue provvidenze dei loro fratelli più dotati.

Custodisci la pace nel mondo, quella pace che sola può garantire lo sviluppo dei popoli, e il loro pieno compimento delle umane speranze: per il bene dell’umanità, per la missione della Chiesa, per la gloria della santissima Trinità. Amen”. 

Ite ad Joseph, rivolgetevi a Giuseppe, diceva il faraone a quanti si prostravano ai suoi piedi implorando un aiuto. La crisi alimentare nel regno faraonico durò sette anni consecutivi. Giuseppe, figlio prediletto del patriarca Giacobbe, venduto dai fratelli invidiosi come schiavo a dei mercanti diretti in Egitto, diventò poi governatore del potente regno faraonico per aver svelato un sogno al monarca d’Egitto, come narra la Bibbia.

Quello stesso invito, chiedetelo a Giuseppe, viene rivolto al nostro santo, anch’egli di nome Giuseppe, per avere aiuti spirituali e materiali come recita la preghiera composta dal Papa della Rerum novarum, Leone XIII: “O padre amatissimo, allontana da noi questa peste di errori e di vizi che ammorba il mondo e assistici dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre...”.

Giuseppe ha avuto alle sue dipendenze il “figlio” Gesù, cresciuto per tanti anni obbediente a lui e alla madre Maria. A Gesù ha potuto trasmettere anche il titolo regale di figlio di Davide, con il quale viene acclamato e invocato durante i tre anni di vita pubblica del Messia.

Gesù, per la gente di Nazareth è semplicemente il figlio del falegname Giuseppe, ma il Vangelo ci dice che sono entrambi germogliati dalla regale radice di Davide. “Germoglio di Davide” si legge nell’Apocalisse dell’apostolo Giovanni (5,5), titolo di eccellenza anche per Giuseppe che di tale titolo avrebbe potuto andare fiero ma per la gente di Nazareth egli era il bravo e onesto artigiano che al figlio avrebbe trasmesso il mestiere e la bottega da cui trarre di che vivere. Quale prestigio poteva aggiungere quel titolo a chi si guadagnava il pane quotidiano col sudore della fronte? E non si tratta di una metafora: Giuseppe disponeva di rudimentali attrezzi del mestiere. Pialla sega e martello imperlavano quotidianamente la sua fronte di sudore.

A proposito del nobile blasone, sarà lo stesso Gesù a sollevare il problema quando si troverà a ragionare con un gruppo di farisei. E’ probabile che la stessa domanda l’abbia fatta a dodici anni, discutendo con i maestri della legge nella sinagoga presso il tempio di Gerusalemme: “Che ne pensate del Messia? - domanda Gesù – di chi è figlio?” Gli risposero: “di Davide”. E Gesù a loro: “allora come mai Davide lo chiama Signore? E se lo chiama così, come può essere suo figlio” E nessuno seppe rispondere (Matteo 22, 41-46). 

Dunque il mistero dell’incarnazione va oltre le stesse profezie che parlano del Messia come figlio di Davide. Tuttavia Dio mantiene la promessa fatta al mitico re di Israele: il Messia germoglierà da un ramo della sua discendenza (2 Samuele 7,42). E gli evangelisti Matteo e Luca sottolineano che lo sposo di Maria, il falegname di Nazareth, è discendente della casa di Davide.

Benché il titolo regale goda oggi di scarsa considerazione, al tempo di Giuseppe dava lustro a un artigiano, e anche l’angelo Gabriele, rivolgendosi a lui, ripete la stessa cosa: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere...” Questo titolo viene trasmesso anche al figlio nato da Maria, tramite lo sposo Giuseppe che in tal modo legittima in Gesù la discendenza davidica. 

è un mistero anche questa paternità “putativa” (dal verbo latino putare che significa ritenere per vero, supporre). è  dunque una paternità che segue un preciso disegno divino, concepito fin dall’eternità, e attuato nel tempo secondo il piano di salvezza preannunziato dai profeti.