Un viaggio nella tradizione di Mario Rabbollini
di Sergio Todeschini
Un’immagine edificante e preziosa di S. Giuseppe ci viene presentata da Mario Rabbolini nel suo libro «Giuseppe un padre per Dio». All’inizio del trattato, del quale si colgono in questo articolo alcuni aspetti, l’autore traccia il vissuto di Giuseppe e di Maria, come la storia di una coppia che, accogliendo come figlio il Dio fatto uomo, ha realizzato il suo compito in modo impeccabile, e Gesù è stato il senso della vita di Giuseppe. Gli evangelisti riconoscono il nostro santo come il padre di Gesù, e ci attestano che nella sinagoga di Nazareth, tutta la gente, stupita dalla saggezza del ragazzo, lo identifica come il figlio di Giuseppe.
Non fu facile per il santo accettare un figlio concepito da Dio e salvare il matrimonio con Maria; una unione che aveva unicamente il compito di realizzare il disegno di Dio. Giuseppe è un uomo che accetta questo progetto con gli occhi e con il cuore: è perciò depositario e cooperatore del mistero provvidenziale di Dio. Per papa Giovanni Paolo II la religiosità di san Giuseppe traccia la strada per l’uomo alla ricerca di Dio. Per fede egli ascolta l’angelo e con Maria e Gesù supera l’antico testamento e apre le porte del nuovo. Per fede Giuseppe e Maria sopportano tutte le difficoltà per accompagnare il piccolo Gesù sino a diventare un uomo. Giuseppe buono e giusto secondo la legge, diventa il giusto per eccellenza della nuova alleanza perché ascolta e fa propria la volontà di Dio. Rabbilini, trattando sulla paternità del santo, elenca alcuni tipi di paternità delineata da alcuni studiosi; da quella divina a quella naturale e incompleta, entrambi censurate dal Santo Ufficio; sino alla paternità che vede nell’assunzione dell’umanità di Cristo, appropriarsi di una famiglia e delegando a Giuseppe la propria paternità umana. L'autore, elencando i diversi titoli di paternità attribuita a Giuseppe: padre putativo, custode, adottivo, matrimoniale, di rappresentanza, ecc., termina con la citazione di Martelet che identifica Giuseppe come colui che Dio non solo ha posto a fianco del mistero, ma lo ha fatto penetrare dentro, e con Maria al centro della storia della salvezza. L’esitazione di Giuseppe (nell’accettare la sua sposa) non consiste nella supposta infedeltà dei Maria, ma dal mistero che egli intuisce e del quale si sente indegno. Rabbolini vede Giuseppe, non come un saggio vegliardo accanto ad una fanciulla, ma un giovane forte e vivace che ha conosciuto un amore assoluto e inesprimibile, “selvaggio come un torrente , calmo e tiepido come un lago, fresco come le sorgenti”, riconoscendo in Maria una immensa superiorità su di lui. Dunque, un Giuseppe cambiato e sublimato dal sorriso della sua sposa; come un Adamo accanto ad Eva prima del peccato originale. Rabbolini cita il romantico tedesco Novalis il quale ravvede nella unione di Giuseppe e Maria non una unione chiusa su se stessa, ma un legame avvolto di speranza. «L'avvenire era con loro ed essi lo respiravano in questa felicità sublime e grave». Maria trova in Giuseppe l'unica persona al mondo con il quale poter convivere. Il suo incontro con lo sposo era la prova che Dio interveniva nel modo più imprevedibile e straordinario. La paternità di Giuseppe, scrive l'autore, fu uno stato di vita donato da Dio ed esercitato con la massima efficacia. Egli fu erede di Abramo, ponte tra i patriarchi della antica e nuova alleanza. Come il primo Abramo, aperto al dialogo con Dio. Fu erede di Davide e come discendente davidico, prepara il terreno che accoglierà storicamente il figlio di Dio in terra. Dirà san Bernardo: «è un discendente di Davide più che per la carne, per la fede, la santità e la dedizione. Il Signore lo trovò secondo il suo cuore». Nel capitoletto riguardante «Giuseppe e i Padri della Chiesa», Rabbolini percorre i primi riferimenti dei teologi sulla figura del santo, partendo da Efrem, vissuto nei primi anni del 300, il quale scrisse «Nessuno può lodare degnamente Giuseppe». Nello stesso periodo san Gregorio di Nazianzo, afferma che in Giuseppe, Dio il Padre, ha collocato i doni di tutti i santi, e non sfigura accanto a Gesù e Maria. San Giovanni Crisostomo scrisse che Dio cercò tra gli uomini e trovò in Giuseppe l'uomo che cercava per fare da padre a suo figlio. San Gerolamo difese la verginità di Maria e di Giuseppe, contro le tesi apocrife che negavano la loro verginità. E ancora, passando da sant’Agostino, sino ad arrivare a san Bernardino da Siena, il quale definiva Giuseppe: «fedele custode della verginità di Maria e partecipe con lei nell'amore della carità...». L'autore elenca i decreti dei Papi succeduti nel tempo, riguardanti la figura di san Giuseppe, partendo da Pio IX che, interrompendo il Concilio Vaticano I, lo definiva «patrono della Chiesa cattolica» e stabiliva il suo culto, nella devozione dei santi, secondo solo a quello della Madonna. Dettato, ribadito ancora nel 1871, nella lettera apostolica Inclytum Patriarcham. Nella enciclica Quamquam pluries emanata da Leone XIII, dove si invitano i fedeli a pregare non solamente la Vergine Maria, ma anche il suo sposo Giuseppe, custode e capo e difensore della divina famiglia. Leone XIII con la lettera apostolica Neminem fugit, emanata nel 1892, indicava Giuseppe, Maria e Gesù come un modello per le famiglie. Papa Benedetto XV con il Motu proprio Bonum sane, emanato all'indomani della prima guerra mondiale, riprendeva la necessità della guida del nostro santo dopo le devastazioni del conflitto, contro il naturalismo e il socialismo. Pio XI nell'enciclica Divini Redemptoris, del 1937, propone san Giuseppe come modello e patrono degli operai. Pio XII nel 1942, durante una udienza riguardante «la donna e la famiglia», non mancherà di fare riferimento alla famiglia di Nazareth e della figura di Gesù «il figlio del legnaiolo». Giovanni XXIII non mancherà di affidare il Concilio Vaticano II a san Giuseppe, e volle inserire il suo nome nel canone della Messa, dopo quello di Maria. Paolo VI affermò che Giuseppe fece della sua vita un servizio, un dono totale a Dio. Si arriva così alla esortazione apostolica Redemptoris custos di Giovanni Paolo II, siamo nel 1989. Giuseppe, depositario dello stesso amore che ci fa figli del Padre; assumendo il ruolo di padre di Gesù, coopera, nella pienezza dei tempi, al grande mistero della redenzione e alla sua premurosa custodia Dio ha voluto affidare agli inizi. Al silenzio di Giuseppe, Rabbolini dedica un capitolo. Il suo silenzio è un ascolto alla volontà di Dio. Un silenzio che ha salvato la vita di Maria e Gesù. La sua vita è stata un capire. La fede di Giuseppe è legata alla certezza che Dio sta operando facendo di lui uno strumento. Ha lavorato come un padre dovrebbe verso i suoi figli. Al silenzio di Giuseppe, Gesù rispose collo stesso silenzio su di lui. Ma la gratitudine di Gesù verso i suoi genitori fu certamente enorme. Giuseppe lavoratore. Sotto il titolo di “Custode” il capitoletto ricorda Giuseppe: custode della casa di Nazareth e della chiesa nascente, e, come disse Giovanni Paolo II, custode del Redentore, che curando amorevolmente la sua famiglia, «custodisce e protegge in suo mistico corpo, la Chiesa, di cui la vergine santa è figura e modello». Nel capitolo conclusivo, «Breve viaggio tra testimonianze e devoti», l'autore elenca alcuni testi su san Giuseppe e la devozione verso il santo che si è tramandata nei secoli, ricordando ai lettori l'apparizione del santo accanto alla Madonna avvenuta a Fatima il 13 ottobre 1917. Nell'apparizione, Giuseppe tiene in braccio il piccolo Gesù, «l'indivisibile unione della santa e santificante famiglia».