Il nucleo familiare di Nazareth
di Carlo Lapucci
Non si mangia più insieme: i tempi accelerati, frenetici e sfalsati della famiglia non permettono più a un nucleo, a una comunità di ritrovarsi interrompendo il lavoro alla metà del giorno, né alla fine della giornata di riunirsi per la cena, per stare intorno alla tavola e condividere quanto sostiene la vita materiale. Insieme a questo alimento concreto tuttavia si condivide anche un altro alimento più importante, quello affettivo e spirituale, una comunione vitale d’affetti che ha la sua manifestazione suprema nell’ultima cena.
Un rito originario, mai cancellato, oggi scompare in sordina, nella totale indifferenza: nessuno se ne cura, nessuno se ne preoccupa. Eppure anche il lavoro più duro e disperso, quello dei contadini e degli operai, dei boscaioli e dei pescatori, si fermava col sole in cima al cielo per mettere tutti insieme riuniti in un gruppo, che davanti alle gavette, agli scodellini ritrovava la dimensione della comunità, della solidarietà, del dialogo. Paradossalmente, anche le fiere che abbattono una preda se la dividono bene o male insieme: vecchi e giovani, piccoli e grandi, forti e deboli.
L’idolo moderno del profitto, inquinando il lavoro, coinvolge la vita, la natura, la famiglia: non c’è più tempo per stare insieme, perché bisogna produrre sempre di più, mirando a deliranti prospettive, gettando via tonnellate di cibo alla fine del giorno nei ristoranti, nei supermercati, distruggendo i raccolti eccedenti, impoverendo sempre di più il pianeta e appestandolo di diserbanti, pesticidi, acidi, fertilizzanti che inquinano l’aria e le acque.
Questa corsa dietro il vento spinta da in cieco egoismo, già rivela quale sarà il suo esito, anche rimanendo nella sua logica perversa: spenta la famiglia, disperso l’amore che l’alimenta e la sostiene, da dove usciranno mai le mani, le braccia, l’ingegno, la fiducia per costruire questa delirante muraglia cinese che è la produttività in eterno aumento.
La crisi della famiglia, privata del tempo che richiede la comunione e lo scambio vitale degli affetti, ridotta, nel migliore dei casi, a un’associazione di mutua assistenza, mostra la sua immensa sofferenza e precarietà: le coppie non tengono, i nuclei si sfasciano in questo affanno di faccende, impegni, lavori, consumo, futilità che si susseguono lesinando a tutti i minuti: il tempo si dà a chi si ama e si promette a chi ci fa comodo. Oggi quello che veramente si ama è il benessere.
La denatalità già avverte quale sarà l’esito: oggi ormai l’industria dissennata si alimenta di braccia fornite da società che per ora non hanno assorbito gli schemi e i moduli della civiltà estrema che proclama certi princípi e li applica.
Queste immagini che si riferiscono alla Sacra famiglia richiamano purtroppo le considerazioni fatte e non può essere diversamente, tenendo conto di quello è stato il modello del nostro nucleo familiare. Da prima meraviglia che la pittura abbia trovato queste notazioni che fanno vedere san Giuseppe in un gesto che nella tradizione appartiene più alla donna che all’uomo. Alma (nutrice, alimentatrice) è detta comunemente la mater, anche fuori del momento fondamentale che è l’allattamento.
Tuttavia, nello schema passato della vita familiare, l’alimento, che era procurato dal lavoro del padre, passava nelle mani della madre che lo elaborava, lo metteva in tavola e lo spartiva tra i commensali. In realtà si tratta di una funzione unica e la pittura rilevando questi gesti di Giuseppe ha trovato la strada per far comprendere che la linfa della vita familiare proviene dalla coppia fondante che l’alimenta nel corpo e nello spirito. Così viene rappresentato il padre che offre al figlio con le proprie mani il cibo che è il segno dell’amore che lo ha procurato e preparato, condiviso.
Chi sono coloro ai quali si dirige la mano che offre l’alimento materiale e spirituale? Nella parola e nella figura di Gesù tutti coloro che ne hanno bisogno, a cominciare da quelli che ci sono vicini, i familiari, ai quali, se oggi si offre anche molto di più di quanto serve per togliere la fame, si lesina sempre più quello di cui il cibo è simbolo: l’affetto, tradotto nel tempo che sempre meno dedichiamo a vivere con loro, nella disponibilità a capirli, conoscerli, assisterli, aiutarli. Altrimenti come e quando si manifesta l’amore?
Questi gesti spesso toccanti rappresentati in queste immagini fanno pensare quanto l’arte sia sensibile e rivelatrice di quei messaggi, di quegli impulsi, di quei pensieri che stanno nel più profondo dell’animo e si manifestano talvolta anche all’insaputa di chi li esprime.
Si tratti di frutta, di pane, d’un cucchiaio di pappa, due olive, un bicchier d’acqua, un grappolo d’uva, un dolcetto, Giuseppe viene raffigurato nella dolcezza e nella profondità del suo gesto rivelatore dell’essenza: l’amore.
Con grande intuizione Mario Luzi, dopo la morte della madre, nella raccolta Dal fondo delle campagne, descrisse il profondo senso dell’agape familiare, della famiglia riunita intorno alla tavola.
Non lasciare il governo della casa,
apri le sue finestre dall’interno,
fa’ che esali
ed inali in questo vento
l’eternità che tu respiri.
Dove non è molto
eravamo ancora tutti,
poni ciascuno al proprio posto, spezza il pane,
dividi il cibo eterno.