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Occorre prestare attenzione speciale ai primi mille giorni di vita del bambino. È pure necessario conoscere le fatiche naturali della sua crescita cognitiva

di Ezio Aceti

Premessa

I primi mille giorni sono basilari per ogni crescita e vanno seguiti con molta cura. Un agricoltore si accinge a curare una pianta particolarmente quando è piccola, perché più vulnerabile alle varie intemperie e a maggior rischio di morire. Così è pure dello sviluppo del bambino che, sin dai primi giorni di vita, necessita di cure speciali e attente in modo che, una volta divenuto grande e autonomo, possa cavarsela da solo e a sua volta occuparsi degli altri. La famosa psicoterapeuta infantile Françoise Dolto (1908-1988) ha speso tutta la vita a curare i bambini e spesso nei suoi libri insisteva nel ritenere i primi mille giorni di vita come i più importanti per l’intera esistenza. Infatti ora, grazie agli studi della neonatologia, della puericultura e delle scienze infantili, siamo in grado di garantire una base sicura di cura e attenzione a ciascun bambino.

Ci occuperemo adesso dello sviluppo del bambino nei primi tre anni di vita, evidenziando in modo sintetico i passi più importanti nelle varie sfere della personalità. Scopriremo sicuramente l’evolversi di un progetto che con straordinaria velocità si sviluppa e si realizza. Questo viaggio ci porterà lentamente nel mistero del bambino e ci sorprenderà, grazie alla genialità delle leggi di sviluppo che testimoniano l’amore e la grandezza di Dio creatore.

Lo sviluppo cognitivo

Gli studiosi cognitivi hanno iniziato le loro ricerche occupandosi di valutare l’intelligenza delle persone adulte e, a partire dai pionieri ricercatori come Alfred Binet (1857-1911), Frederich Skinner (1904-1990), Raymond Cattell (1905-1998) e David Wechsler (1896-1981), hanno ideato strumenti e scale di valutazione sempre più sofisticate. Tuttavia, per quanto riguarda i bambini, sono emerse alcune evidenti difficoltà.

Anche il concetto di intelligenza è andato modificandosi con il tempo, tanto che ormai oggi si considera l’intelligenza come una capacità multifattoriale e comprensiva di molte “intelligenze”. Recentemente poi gli studi di Thomas Gordon (1918-2002) e di Daniel Goleman (1946) hanno dimostrato come l’intelligenza relazionale e quella emotiva rappresentino un aspetto importante della capacità di comprensione e conoscenza della persona. Insomma, da tutto questo di evince che l’intelligenza comprende molti fattori interdipendenti.

L’intelligenza dei bambini

È stato lo psicologo svizzero Jean Piaget (1896-1980) che ha cercato di tenere insieme varie dimensioni del bambino. Questo cresce mediante un adattamento e una tensione continua alla scoperta di nuove esperienze del reale. Piaget sostiene che siano due i processi caratterizzanti l’adattamento, cioè l’assimilazione e l’accomodamento. Entrambi accompagnano tutto il percorso cognitivo della persona, flessibile e plastico in gioventù, più rigido con l’avanzare dell’età.

L’assimilazione consiste nell’incorporazione di un evento o di un oggetto in uno schema comportamentale o cognitivo già acquisito. In pratica, il bambino utilizza un oggetto per effettuare un’attività che fa già parte del suo repertorio motorio o decodifica un evento in base a elementi che gli sono già noti.

L’accomodamento consiste nella modifica della struttura cognitiva o dello schema comportamentale per accogliere nuovi oggetti o eventi che fino a quel momento erano ignoti. Mediante questa continua esplorazione il bambino, soprattutto con il corpo, inizia a fare esperienze che si specializzano sempre più.

Gli studi di Piaget sull’infanzia identificano vari stadi o fasi evolutive. L’intelligenza segue di pari passo tutta l’esperienza del bambino che, sostanzialmente fino ai sei anni, è ancora egocentrica, in quanto il bambino trova molta difficoltà a “mettersi nei panni dell’altro” e soprattutto non è in grado di percepire la realtà così com’è.

La realtà oggettiva infatti per essere compresa necessita di una separazione da sé che permetta di cogliere le cosiddette relazioni topologiche (altezza, bassezza, profondità, lontananza, vicinanza) e le regole di fondo. Questa incapacità di distogliersi dal proprio punto di vista fa sì che il modo di pensare e di ragionare del bambino sia caratterizzato da pensieri che agli occhi degli adulti sembrano strani e banali.

Il pensiero “magico” del bambino

Nei primi anni di vita il bambino diventa consapevole degli oggetti e delle persone che lo circondano; verso i due anni il bambino inizia a costruire delle teorie sul mondo che lo circonda mediante il finalismo, l’animismo e l’artificialismo. Queste strategie di pensiero sono, in effetti, delle operazioni mentali specifiche che si trovano alla base del pensiero preoperatorio.

Vediamole con qualche esempio.

  • Il finalismo fa sì che il bambino ritenga che la gallina deponga l’uovo allo scopo che lui possa mangiarlo.
  • L’animismo consiste nella convinzione che tutti gli oggetti siano viventi e dunque, ad esempio, il sole è cosciente di muoversi e lo fa per dare luce alle nostre attività.
  • L’artificialismo si manifesta sotto la forma della convinzione che tutto sia stato costruito dall’uomo, comprese le montagne, i laghi e i fiumi...

Per i bambini risulta difficile staccarsi dal proprio punto di vista; nella loro visione del mondo e delle cose essi sono spesso convinti che gli altri possano percepire i loro pensieri e desideri, anche se non li esprimono verbalmente. Questo modo di ragionare del bambino determina una serie di fatiche e di difficoltà relazionali, a causa dell’egocentrismo cognitivo. Ma l’amore dei genitori e la cura educativa aiuteranno il piccolo a diventare grande, sempre più simile al modo di pensare degli adulti.