Dall'indagine storico-liturgica, riguardante “Il culto di S. Giuseppe in Sicilia dalle origini al secolo XV”, condotta da Paolo Collura e riportata nel volume: «San Giuseppe nei primi secoli della Chiesa», si ricavano interessanti informazioni. La prima ci informa che nei reperti archeologici siciliani legati alla cultura cristiana non appare la figura di S. Giuseppe. Anche la tradizione pittorica bizantina presente nei santuari rupestri non ci trasmette l’immagine del padre putativo di Gesù. In campo letterario si sa che una poesia dedicata a S. Giuseppe scritta da un siciliano illustre di nome Giuseppe Innografo, un poeta vissuto nell’800, produttore di molte composizioni, venne inserita nell’orazione bizantina. Ma non è certo che la devozione verso questo santo si sia praticata nei monasteri greci di Sicilia e di Calabria; e da questi luoghi la diffusione della sua venerazione. Perciò anche uno specifico cerimoniale religioso legato al culto di S. Giuseppe presente nel sud Italia nei primi secoli del cristianesimo non trova attendibilità. Certo è invece il periodo iniziale della devozione verso la figura di questo santo, che si colloca subito dopo la dominazione musulmana dell’isola.
Rileggendo la costituzione conciliare Gaudium et Spes, abbiamo finora incontrato i temi della dignità della persona, della libertà, della comunione, dell’attività umana. Come abbiamo potuto vedere, tutti evidenziano, sotto diversi aspetti, il dramma di un’umanità ferita dal peccato e interiormente divisa, che tanto nella povertà quanto nella ricchezza fa esperienza del proprio limite, ora rimanendone come schiacciata, ora ribellandosi, ora cercando di ignorarlo… La Chiesa, quale Corpo mistico di Cristo che rende attuale, oggi, il mistero della redenzione da Lui operata, non può non sentirsi fortemente interpellata dal grido di questa umanità che, consapevolmente o inconsapevolmente, invoca salvezza e cerca un senso alla sua esistenza. Per questo, prima di affrontare, nella seconda parte del documento, altri argomenti “urgenti” per la vita della società umana, i Padri conciliari hanno dedicato il IV capitolo ad una riflessione che può sintetizzarsi in queste domande: qual è la “missione” della Chiesa nel mondo contemporaneo? Vi è possibilità di dialogo tra Chiesa e mondo? E, se c’è, quale forma deve assumere per essere costruttivo?
Questo percorso di conoscenza di sé non è certo opzionale: senza una sufficiente chiarezza si corre il rischio di scegliere una cosa mentre in realtà si stava cercando altro: in questo modo il desiderio non è in grado di esprimere la sua verità. Malauguratamente alcune persone intraprendono decisioni importanti nella propria vita senza prepararvisi adeguatamente, seguendo l’impulso del momento. E può accadere che soltanto dopo diversi anni, quando le scelte fondamentali sono già state compiute, ci si renda conto con amarezza dell’equivoco. Non è infrequente il caso di chi confonde la bellezza di riscoprire la propria vita di fede o di vivere con più intensità il rapporto con il Signore con la chiamata alla vita consacrata, scegliendo sull’onda dell’entusiasmo del momento, senza punti di riferimento adeguati, senza riconoscere le modalità ed i tempi opportuni. La chiamata è del Signore, certamente, lo Spirito opera in noi, e anche questo è indubbio, ma tutto ciò non esime la persona dalla fatica di mettere ordine nella propria vita; come ricorda S. Tommaso, la grazia lavora sulla natura, e il Signore non fa le cose al posto nostro.
Contemplare la flagellazione del Salvatore significa entrare nel mistero per il quale Egli scelse di salvare il mondo precisamente umiliandosi, ossia rinunciando a quel che gli sarebbe spettato per diritto, a quel che era giusto, a quel che sarebbe stato dovuto. La flagellazione è dolorosa non solamente dal punto di vista fisico; ciò che la rende veramente insopportabile è la sua ingiustizia. Gesù è continuamente provocato durante il suo processo: ma Egli non aprì bocca, non fece valere le sue ragioni, non chiese nemmeno al Padre una legione di angeli che lo liberassero. Rinunciò a farsi giustizia, a fare valere i suoi diritti, affidando al Padre la sua causa, rimettendo la propria sofferenza nelle Sue mani.
Perché la responsabilità politica sia vissuta a tutti i livelli come forma alta di carità.
Perché i cristiani in America Latina, di fronte alle disuguaglianze sociali, possano dare testimonianza di amore per i poveri e contribuire ad una società più fraterna.
Perché adempiamo il dovere di annunciare il Vangelo a coloro che non conoscono Gesù Cristo e lo hanno sempre rifiutato.
Gesù, da duemila anni, tu sei nel cuore di tanti giovani che sentono il profondo desiderio di guardarti negli occhi e scrutare i panorami della storia fatta di persone vissute al calore della tua «bella notizia» che Dio ci ama. Gesù, molti sono i giovani che, alla luce della tua verità, manifestano l’aspirazione a costruire rapporti autentici, a conoscere il vero amore, a sognare di fondare una famiglia unita, che garantisca un futuro sereno e felice. Gesù, che hai lavorato accanto a San Giuseppe nel laboratorio di Nazareth, fa’ che i giovani possano trovare un’occupazione che dia loro dignità, gioia di vivere ed essere utili; fa’ che nessuno spenga l’entusiasmo alla ricerca di una vita più grande. Gesù, tu sei la risposta al nostro desiderio d’infinito. Mantieni in tutti noi la generosità di un cuore giovanile che sappia ripetere con convinzione: «Il nostro cuore è inquieto sino a quando non riposa in Te». Gesù, fa’ che nei sentieri della nostra avventura umana seguiamo «l’impronta del Dio della vita», convinti che eliminare Dio per far vivere l’uomo è cecità! Dio è la sorgente della vita ed eliminarlo equivale a che «la creatura svanisca».
La fede non solo ispira la fantasia dell’artista, ma lavora e plasma la sua stessa vita. Questa considerazione è evidente nelle opere artistiche di Michelangelo e, in particolare, nelle tre "Pietà" che egli ha scolpito. All’età di ventiquattro anni ha scolpito la “Pietà”, quella più nota, la “Pietà” per eccellenza che ammiriamo nella basilica di san Pietro a Roma. È un inno all’amore di una giovane madre che perde un figlio in modo drammatico. Un inno alla fede e alla rassegnazione. Con il passare degli anni il dramma del morire bussa alla vena artistica dell’artista fiorentino e la morte prende il volto nella “Pietà”. Le sculture delle tre “Pietà” nella vita dell’artista hanno un itinerario quasi privato. A ventiquattro anni scolpisce una bellezza sontuosa, pur nel dramma della morte del Figlio di Dio. Le ultime due “pietà”, quella del Museo del duomo di Firenze e quella del Castello Sforzesco di Milano, sono lo specchio del suo stato d’animo di fronte alla morte. “L’incompiuta”, a Firenze, nella fisionomia di Nicodemo che sorregge il Cristo ci dona il suo autoritratto, il suo volto. La “Pietà” di Milano, nominata abitualmente “Pietà Rondanini”, è l'ultima opera di Michelangelo. Ad essa il Maestro dedicò gli ultimi pensieri e anche le ultime ore di vita.
La Chiesa italiana sta vivendo una stagione di accorata riflessione in preparazione al 5° Convegno nazionale alla ricerca di un «Nuovo Umanesimo», un’immersione nel quotidiano per riscoprire nella carne viva della storia i semi di Cristo. L’umanesimo ebbe la sua culla nella città di Firenze, là dove il respiro divino ha ripreso a fiatare con il respiro umano e a scoprire la gioia della dignità come persona, «creata a immagine e somiglianza di Dio». Da qui scoprire che ogni desiderio di bene nasce da un’attrazione divina che desidera condividere la nostra esperienza umana.
Cari ascoltatori,
come sempre un saluto particolare alle persone ammalate, sofferenti nel corpo e nello spirito. Lo sappiamo da sempre che non tutte le malattie sono guaribili, ma tutte le malattie sono curabili e questo nostro incontro spirituale vuol essere un farmaco per curare la malattia della solitudine, dello sconforto e della sfiducia. Sono queste le malattie più pesanti che nessuna medicina se non la compagnia e l’amore tenero riescono a guarire.
{gspeech style=1 language=it autoplay=0 speechtimeout=0 registered=0 selector=anyselector event=anyevent hidespeaker=0} Mentre Maria e Giuseppe fuggivano cercando di raggiungere la terra d’Egitto, le guardie del Re Erode li inseguivano guadagnando sempre più terreno, finché non furono in un vallone di rocce e macigni dove nessuna pianta poteva offrire un nascondiglio o un rifugio. Maria, quando tutto pareva perduto e già si sentivano scalpitare vicini gli zoccoli dei cavalli, vide una piccola caverna che si apriva nel sasso. «Entriamo qua dentro, ritarderemo almeno la fine», disse. S’infilarono nella grotta, spingendo avanti il somaro, tenendo in braccio il Bambino e attesero.{/gspeech}
Un ragno che era nel buco d’un sasso, subito si mise a tessere una grande tela, con la quale in poco tempo chiuse l’ingresso della caverna. Giunsero le guardie d’Erode e imprecando si dettero a frugare tra i massi, infuriati per la sparizione dei fuggiaschi. «Dove sono?», dicevano. «Eppure erano qui proprio ora». «Non saranno mica entrati sotto terra?». «Per la strada non si vedono più». «Ecco, sono entrati in questa caverna...». «Qua no davvero: non vedi che ci sono le ragnatele?». «Non perdiamo tempo... Corriamo avanti». Così le guardie continuarono la loro corsa e la Sacra Famiglia fu salva. «Chi avrebbe detto che una tela di ragno sarebbe stata così forte da impedire ai soldati di entrare?», disse Giuseppe, riprendendo la strada, e prima di ripartire, benedisse il ragno, dicendo: «Per la tua pietà, sarai benvenuto nelle case dove porterai la fortuna e gli uomini ti risparmieranno». Infatti da allora il ragno in casa non si uccide, anche se si toglie la ragnatela.
Il sambuco, o anche Sambucus Nigra nella sua denominazione scientifica, è una pianta molto comune, solitamente ascritta alla famiglia delle siepi. Oltre alla sua funzione prettamente ornamentale – il sambuco presenta piccoli fiori bianchi e bacche violacee – da sempre è sfruttato nella medicina popolare. Del sambuco si utilizzano sia la pianta che le bacche, per scopi diversi per l’organismo. Dai fiori si ricava solitamente un infuso, noto per la sua capacità di aumentare la sudorazione corporea, così da favorire l’eliminazione delle tossine e la contenzione della temperatura durante gli stati febbrili. Uniti alle foglie, i petali in infusione vengono impiegati per la creazione di tisane contro i problemi delle vie respiratorie. Per questo, fiori e foglie possono essere adoperati anche per migliorare la circolazione sanguigna, soprattutto quella periferica, sia con l’assunzione orale che con impacchi localizzati per limitare la rottura dei capillari o per un rapido sollievo alle scottature. Sempre in impacco e sempre per le sue proprietà sulla circolazione, il sambuco è utile anche per lenire il dolore a gambe e articolazioni nelle donne, così come il gonfiore dovuto ad attività fisiche intense o a una giornata sui tacchi. Negli uomini, invece, la tisana è largamente utilizzata per il mal di schiena. Le bacche di sambuco sono principalmente composte da acqua, ma al loro interno non mancano carboidrati, fibre e sali minerali come il potassio, il magnesio, lo zinco, il sodio e il calcio. Il loro impiego è quasi strettamente legato al benessere dell’apparato digerente.
Ingredienti per 4 persone:
* 4 filetti di pesce * 50 g di burro * 2 cucchiai di vino bianco * 1 limone * 2 uova * farina bianca ‘’00’’ * olio di semi per friggere
Per la salsa alle erbe pestate in un mortaio 1 cucchiaino di dragoncello e 1 di timo, 1 rametto di rosmarino, 1 ciuffo di prezzemolo, 1 cucchiaio di foglie di basilico, 1 spicchio d’aglio, 1 pizzico di zenzero, 4 bacche di ginepro pestate, 2 cucchiai di pangrattato, sale e pepe, fino a ottenere un composto omogeneo.
Sbattete le uova e intingetevi i filetti di pesce, poi passateli nel trito d’erbe e nella farina; friggeteli in una padella capiente con olio caldo. Appena sono cotti e ben dorati trasferiteli su carta da cucina per farli asciugare. In un tegame a parte fate fondere il burro e, prima che sfrigoli, versatevi il trito di erbe rimasto, il succo del limone, il vino bianco e mescolate. Servite i filetti di pesce caldi con la salsina versata sopra. Preparazione 30 minuti, cottura 40 minuti.
Naturalmente l’aceto solo soletto non potrà proteggere gli ambienti dai germi: ma una pulizia quotidiana con detersivi a base di questo liquido costituisce un buon metodo di prevenzione. Non resta che procurarsi dell’aceto da tavola bianco (da prediliggere nella pulizia rispetto al rosso).
Detergente: nella pulizia quotidiana di piastrelle, pavimenti generici e superfici smaltate.
Sgrassatore: ideale per eliminare l’untuosità da piatti e stoviglie molto sporche, per pretrattare e rimuovere lo sporco difficile dalle pentole, per far brillare l’acciaio, il rame e l’ottone (ma anche vetri e cristalli).
Anticalcare: ideale per rimuovere i depositi di calcare da posate, utensili e tegami in acciaio, da bicchieri di vetro e rubinetteria, rendendo tutto lucido e senza aloni. Anche in lavastoviglie, aggiunto al risciacquo finale, l’aceto ridona risultati sorprendenti. Inoltre, è ottimo per la manutenzione ordinaria di lavastoviglie, lavatrice e ferro da stiro.
Ammorbidente: previene l’infeltrimento dei capi in lana ed è efficace nel trattamento dei capi bianchi e colorati, perché disperde i sali di calcio catturati dalle fibre dei tessuti e favorisce, inserito nell’ultimo risciacquo, l’eliminazione dal bucato dei residui di detersivo.
Smacchiatore: ottimo in caso di macchie ostinate, se aggiunto all’acqua dell’utimo risciaquo (a mano o in lavatrice), ravviva le tinte dei tessuti conservandone il colore.