Troviamo un bel gruppo insieme a Pietro: «Costituì dunque i dodici: Simone, al quale impose il nome di Pietro; poi Giacomo di Zebedeo e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali impose il nome di Boanerghes, cioè figli del tuono; e Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananeo, e Giuda Iscariota, che poi lo tradì” (Mc 3, 16-19). Se prendessimo questi versetti come un elenco di nomi, sarebbe riduttivo: dobbiamo cercare di grattare sotto quei nomi, per capire qualcosa che può riguardare anche noi.
Con questa serie di riflessioni vogliamo aiutarci nella nostra sequela del Signore contemplando la storia di un discepolo eccezionale: san Pietro. Vogliamo nei prossimi incontri ripercorrere la sua storia per potere noi stessi ritrovarci in essa: del resto tutta la sacra Scrittura è stata scritta per questo, perché tutti quelli che dopo sarebbero venuti potessero ritrovare il senso di quanto a loro stessi è accaduto, il loro incontro con Gesù, le sue promesse, le loro fragilità, la sua fedeltà. In questo senso la Scrittura è per noi fonte continua di edificazione: nel senso letterale, in quanto ci costruisce come discepoli del Signore appunto contemplando la vita di quelli che ci hanno preceduto in questo incontro meraviglioso con Lui.
«Era una notte incantevole, una di quelle notti che ci sono solo se si è giovani, gentile lettore. Il cielo era stellato, sfavillante, tanto che, dopo averlo contemplato, ci si chiedeva involontariamente se sotto un cielo così potessero vivere uomini irascibili e capricciosi. Anche questa domanda è da giovani, caro lettore, proprio da giovani, ma che Dio la faccia sorgere più spesso nell’anima tua! [...] A proposito di persone irascibili e ostinate, non posso non ricordare come mi comportai bene durante tutta quella giornata. Una certa angoscia aveva iniziato a tormentarmi fin dal mattino. A un tratto mi era sembrato che tutti mi lasciassero solo, che tutti mi abbandonassero» (F. Dostoevskij, Le notti bianche, Einaudi, Torino 2014).
Dopo aver visto che cos’è la liturgia, ora proviamo a definire cos’è il celebrare e il proprio di ogni celebrazione. Il Concilio Vaticano II ribadisce che la celebrazione, appartenendo a tutto il corpo che è la Chiesa, ha come soggetto l’intera assemblea liturgica, ossia non solo i presbiteri e i ministri, ma tutti i fedeli.
Se dovessimo presentare un’istantanea della Chiesa dovremmo coglierla nel suo momento celebrativo, ossia quando essa è radunata là dove il vescovo presiede, attorniato dai presbiteri, dai diaconi, dai ministranti e con la partecipazione di tutto il popolo di Dio. Questa è l’immagine perfetta della Chiesa.
Gesù «conosceva quello che c’è nell’uomo» (Gv 2, 25). Con quest’affermazione si chiude il secondo capitolo del Vangelo secondo Giovanni. E, subito, il terzo capitolo si apre con l’incontro di Gesù con «un uomo di nome Nicodemo», un capo dei capi dei Giudei, un maestro d’Israele, ma soprattutto un personaggio che vive un po’ dentro ciascuno di noi: un uomo, appunto, con le sue domande sul senso della vita, un cercatore di Dio, un mendicante.
Proseguendo le meditazioni sulle «domande della fede» che costellano tutta la Bibbia – perché esprimono i dubbi, le paure, i desideri del cuore umano – ci soffermiamo sull’episodio evangelico del mare in burrasca. Al termine di un’intensa giornata di predicazione, Gesù e i dodici salgono in barca per «passare all’altra riva» e far rientro nelle loro case. Mentre i discepoli remano, Gesù sta a poppa e si addormenta su un cuscino, come annota l’evangelista Marco.
La IV parte del Catechismo della Chiesa Cattolica, dedicata alla preghiera cristiana, si apre con una domanda: «Che cos’è la preghiera?». E proseguendo afferma: «La preghiera non si riduce ad uno spontaneo manifestarsi di un impulso interiore […]. È necessario anche imparare a pregare» (n. 2650). È certamente mosso da questo desiderio che un discepolo – nel quale noi tutti ci riconosciamo – si è rivolto a Gesù domandandogli a nome di tutti: «Signore, insegnaci a pregare!» (Lc 11,1). E Gesù allora rispose consegnando loro la preghiera filiale, una preghiera che rispecchiava la sua stessa vita.
Lungo la storia più volte Israele, il popolo eletto, si è trovato in situazioni di durissima prova; ha conosciuto guerre, oppressione, schiavitù, deportazione, assedi e invasioni. All’origine di tanti mali c’era sempre un peccato di infedeltà a Dio: in tempo di prosperità si dava all’idolatria, ed ecco che veniva oppresso da popoli pagani potenti e oltraggiosi.
Perché? È una domanda che affiora sulle labbra dell’uomo dalla più tenera infanzia fino alla vecchiaia. È la domanda della ricerca stupita e appassionata davanti al mistero della vita ed è la domanda del cuore turbato di fronte ad eventi misteriosi e inspiegabili, spesso dolorosi e inattesi; è la domanda dell’intelligenza che si scopre piccola di fronte all’immensità dell’universo ed è la domanda della fede che si sente circondata dalle tenebre. È la domanda che dà dignità all’uomo, perché lo spinge oltre il visibile e il comprensibile, lo pungola ad andare oltre l’evidenza e la superficialità, gli fa sentire la propria inadeguatezza, ma non per mortificarlo, bensì per sollecitarlo ad un più ardente coraggio, ad una più totale consegna di sé al Mistero, a Dio.
Santa Maria, donna accogliente, aiutaci ad accogliere la Parola nell'intimo del cuore. A capire, cioè, come hai saputo fare tu, le irruzioni di Dio nella nostra vita. Egli non bussa alla porta per intimarci lo sfratto, ma per riempire di luce la nostra solitudine. Non entra in casa per metterci le manette, ma per restituirci il gusto della vera libertà.