L’archeologia e le scienze ad essa connesse hanno contribuito alla ricostruzione grafica del grandioso tempio di Gerusalemme, iniziato nel quarto anno del suo regno da Salomone, la cui costruzione si protrasse per sette anni e al termine dei quali si svolsero con grande solennità i riti di consacrazione al culto.
Come bene esprimeva la preghiera di dedicazione, il tempio richiamava l’alleanza che Dio aveva concluso con il suo popolo, che in tal modo era diventato eredità sacra a Lui: “Tu, Signore, mantieni l’alleanza e la fedeltà verso i tuoi servi che camminano davanti a te con tutto il loro cuore”. A quest’epoca risale anche il rito della presentazione al tempio, col conseguente obbligo per ogni ebreo di andare ad offrire al Signore il proprio primogenito maschio: era un modo per dire “Questo bambino non mi appartiene. E’ tuo, Signore”. E per riaverlo, con un gesto simbolico, come per riscattarlo, si offriva in sacrificio una coppia di giovani tortore o di colombi. Forse uno strascico di tale usanza era rimasto nella devozione popolare in uso fino a qualche decennio fa, quando la donna che aveva partorito un maschio o una femmina, si recava alla chiesa e, accompagnata dal sacerdote, rendeva grazie a Dio per il dono della nuova creatura.
La piccola e angusta porta che dalla piazza inondata di sole conduce alla basilica della Natività è un richiamo costante all’atteggiamento spirituale che si deve avere per contemplare il Mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio; è un’apertura piccola e molto bassa tanto da essere chiamata la Porta dell’Umiltà, perché per entrarvi è necessario inchinarsi.C’è chi dice che venne fatta così al tempo degli Ottomani. Bisogna chinare il capo per oltrepassare la soglia e solo allora l’interno della basilica appare con tutto il suo splendore, ricca anche delle preziose suppellettili liturgiche tanto in uso presso i fedeli Ortodossi, a cui appartiene.
Solo se ne conosci qualcuno, puoi credere che esistano e che siano possibili. Giovani normali, ma credenti, testimoni gioiosi della loro fede, coerenti e impegnati a crescere nella via della santità. Gente comune, di famiglie normali, con gusti uguali a quelli dei coetanei, ma capaci di slanci, progetti, visioni. Anche di progettare la propria vita a partire dalla chiamata del Signore. Diversissimi fra loro, ma ognuno meraviglioso di suo. Qualche flash di loro storie.
Oggi i giovani, normalmente, accordano fiducia alla Chiesa. Il che non vuol dire disponibilità alla Chiesa “ufficiale”. La Chiesa, come agenzia di servizi, ha un certo credito che le viene dato perché ritenuta una istituzione che può svolgere una attività promozionale nella difesa dei diritti civili, nella salvaguardia della pace, nell’eliminazione di ingiustizie e disuguaglianze. è anche in aumento l’importanza data alla religione nella vita dei giovani. Una recente inchiesta dice che si dichiarano “credenti in Dio” il 77% della popolazione giovanile e che la somma di quelli che orientano decisamente alla fede la propria vita e di quelli che vanno in chiesa in certe occasioni, raggiunge l’86%.
L’adolescenza è l’età della contraddizione. Se si vuol capire l’adolescente, bisogna tenere presente che se chiede “A”, dentro, implicita, c’è anche la richiesta “B”. Per educare un adolescente bisogna rispondere ad entrambe le richieste, soprattutto alla seconda, quella non espressa. Un esempio. L’adolescente si pone in un atteggiamento di autonomia. Ma nell’adolescente è forte anche il bisogno di dipendenza. L’adolescente va accompagnato, quindi, non solo nella sua richiesta di autonomia, ma anche con un accompagnamento autorevole.
«Si può pensare legittimamente che il futuro dell’umanità
sia riposto nelle mani di coloro che sono capaci di trasmettere alle generazioni di domani ragioni di vita e di speranza» (Gaudium et spes, n. 31).
Fa parte essenziale della fede avvertire la responsabilità nei confronti della città dell’uomo, dalla sua edificazione al suo futuro. Per questo i giovani che fanno un’esperienza di fede avvertono un’apertura a tutto campo nei confronti degli altri, del mondo, di Dio. Il nuovo mondo si costruisce così, a partire dalla propria persona; nessun rinnovamento è possibile sul piano storico e sociale se non è preceduto, sostenuto e motivato dalla conversione del cuore.
La scoperta della corporeità e l’educazione alla vita sessuale ed affettiva è un cantiere, un’impresa. è anche un’arte, con la speranza di arrivare al cuore della bellezza. E il cuore è nel mistero della creazione di Dio che ci ha fatti a sua immagine. A questo vanno condotti i giovani, pian piano, ma con decisione. Essendo noi stessi, per primi, a farne esperienza, sia nella famiglia che nella vita consacrata.
L’educazione dei giovani all’amore comprende la trasmissione della dottrina e delle idee, il racconto delle storie esemplari, l’incontro con i modelli e le esperienze significative, l’esercizio pratico nella vita quotidiana, l’amicizia con Gesù, sorgente dell’autentico amore.
In Europa solo il 51% di giovani (tra i 16 e i 24 anni) sono economicamente dipendenti dalle famiglie d’origine, mentre in Italia raggiungiamo quota 74%.
Da un’indagine risulta che il 55% dei giovani italiani non parla di denaro in famiglia. è il dato emerso appena qualche anno fa da una ricerca su “I giovani e il denaro” realizzata al termine di un programma didattico che ha coinvolto 800 scuole e 96.000 studenti in 12 città italiane, ideato per trasmettere ai ragazzi le nozioni basilari delle regole economiche. Su un campione di 2.537 persone, di età compresa tra 11 e 25 anni, sono emersi alcuni atteggiamenti piuttosto diffusi tra i ragazzi nei confronti del denaro: più della metà degli intervistati non viene coinvolto nelle decisioni economiche che riguardano la propria famiglia e il 46% non parla con i genitori né di denaro né di economia. Questa mancanza di dialogo e di educazione finanziaria determina nei giovani, rispetto ai genitori, un atteggiamento molto più disinvolto verso l’utilizzo del denaro: il 19% non pensa a risparmiare e spende il denaro di cui dispone in modo impulsivo, senza pensarci troppo. Eppure per più di 8 ragazzi su 10 è importante imparare ad usare e gestire bene il proprio denaro.
Si comincia dal … principio, precisamente dal “principio d’identità”, dal riconoscimento che il giovane è… giovane! Il giovane, cioè, va riconosciuto come un soggetto non ancora approdato ad una condizione adulta, quindi uno che ha bisogno – anche se non l’ammette – di essere accompagnato, affiancato. Questo, dall’altro versante, vuol dire che l’educatore è… l’educatore!
Non bisogna temere nel mantenere questa distanza pedagogica giacché non si aiuta il giovane assumendo lo stesso livello, lo stesso linguaggio, lo stesso stile. Si è, invece, educatori dei giovani se si è adulti-vicini-ai-giovani, capaci di intercettare i giovani, ma anche capaci di porre una alterità. Il rapporto con i loro “pari” i giovani già ce l’hanno, mancano del rapporto con i “dispari”. E gli adulti devono offrire proprio questa “disparità”, custodendola in loro stessi. Applicato ai sacerdoti, il principio di identità suona: “tu prete, sii prete”. Il dono più grande che i genitori possono fare ai figli è mostrare loro che si amano veramente. L’amore reciproco tra i genitori è più importante anche dell’amore di ognuno di essi per i figli. E’ soprattutto da quell’amore reciproco che i figli imparano ad amare.