Chiamato ad essere il Custode del Redentore, « Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa » (Mt 1,24). Abbiamo in queste parole il compendio di quello che san Giuseppe è e di quanto san Giuseppe ha fatto, ossia la descrizione della figura e della missione del Custode di Gesù. La definizione gravita sul termine Redentore, ossia su Gesù il Redentore dell’uomo, tema centrale del cristianesimo e motivo dominante dell’annuncio di papa Giovanni Paolo II.
Ogni quattro anni si svolge un Simposio internazionale su San Giuseppe. A metà dei quattro anni si è introdotta la scelta di fare un simposio nazionale, organizzato dalla congregazione dei Giuseppini del Murialdo. Nella partecipazione all’ultimo simposio internazionale, celebrato in Messico, don Tullio Locatelli si è incontrato con il superiore generale degli Oblati di San Giuseppe (Giuseppini di Asti). In questa circostanza si è convenuto di tenere insieme il simposio nazionale che si è organizzato per il 1° e il 2 maggio scorsi.
Tra le composizioni poetiche riguardanti San Giuseppe merita di essere presentato un inno del Rito Ambrosiano, assegnato al diciannove marzo. L'autore è incerto. Ogni informazione in proposito ci sarà gradita, come pure su altri lesti ambrosiani riguardanti San Giuseppe. Cogliamo qui l'occasione per ricordare come sant'Ambrogio si sia distinto nel difendere la «verità» del matrimonio di Maria con Giuseppe in base al diritto romano, per il quale «non la perdita della verginità costituisce il matrimonio, ma il patto coniugale».
Il Papa Francesco ha una grande devozione per San Giuseppe. Fuori la sua stanza nella Casa Santa Marta, si trova una statua del santo ai cui piedi il Papa lascia carte con richieste di grazie scritti da lui stesso. Quando i messaggi diventano troppi, la statua si alza un po’. La devozione a San Giuseppe accompagna il Papa da quando era giovane. La parrocchia di Flores a Buenos Aires, il quartiere dove è nato e cresciuto Jorge Mario Bergoglio, è dedicata a San Giuseppe.
Lo scandalo della povertà, provocato da Francesco d’Assisi, ha avuto una vasta eco nella Chiesa dal tredicesimo secolo e ha trascinato schiere di giovani al seguito del Poverello al cui fascino non è stato indifferente Dante Alighieri che dedica un canto a Madonna Povertà: Oh ignota ricchezza, oh ben ferace! Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro dietro a lo sposo, sì la sposa piace (Paradiso XI, 82).
Ma non a tutti piacque... e Dante ha parole dure per chi di nova vivanda è fatto ghiotto. Il voto di povertà come lo intendevano Francesco e Chiara d’Assisi non era bene accetto ai giovani frati che manifestavano apertamente il loro dissenso: “Sappiamo che frate Francesco fa una nuova Regola e temiamo che la faccia così dura che non possiamo osservarla. La faccia per sé e non la faccia per noi”.
Lungo i secoli di storia ebraica il Signore poté contare sulla fedeltà, non sempre perseverante, del suo piccolo gregge, per preparare la venuta del Messia.
E quando questo gregge irrequieto si smarriva a contatto con l’idolatria seguendo i pagani che negavano il soprannaturale, Dio inviava i suoi profeti affinché, con le buone o con le cattive, lo riconducessero all’ovile, come recita il salmo 80: “Ascolta, popolo mio, ti voglio ammonire. Israele, se tu mi ascoltassi! Ma il mio popolo non ha ascoltato la mia voce. Israele non mi ha obbedito”. Dio però è fedele alla parola data. Gli ebrei attendevano il Messia potente in grado di liberarli da ogni schiavitù, non solo da quella del peccato...
Con l’annunzio notturno fatto dall’Angelo inizia (nel segreto di quattro mura) l’incomparabile storia di Giuseppe, sposo di Maria e “padre” di Gesù. Perché virgolettare la parola “padre” quando anche i due evangelisti parlando di Giuseppe dicono esplicitamente padre di Gesù? E così lo chiama anche Maria davanti ai maestri nel Tempio: “Tuo padre ed io angosciati ti cercavamo...”.
Lasciamo la risposta ai Padri della Chiesa che, spiegando questo difficile momento nella vita di Giuseppe, hanno ripetuto le parole dell’angelo: “A Dio niente è impossibile”. Lo sappiamo da sempre.
Ambrogio, il santo vescovo di Milano, parlando di Maria sposa e vergine madre, si domanda: “Perché non ha concepito per opera dello Spirito Santo prima del fidanzamento?”. E risponde: “Probabilmente perché non si dicesse in giro che aveva concepito dalla colpa”.
Dalle due genealogie elencate da Matteo e Luca sulla discendenza dal re Davide è escluso il nome di Gioacchino padre di Maria. Non si dava la genealogia del ramo femminile. Ciò non significa che non si debba tener conto della tradizione che considera anche Maria tra i discendenti di re Davide, anche se Luca e Matteo non lo dicono esplicitamente.
è forse questo particolare che ha avvicinato Giuseppe alla fanciulla di nome Maria. Per questa lontana parentela Giuseppe, all’uscita dalla sinagoga, si fermava a salutare Maria e i genitori di lei, Gioacchino e Anna, che ogni sabato accompagnavano la figlia alla Casa della preghiera. Qui Maria e la madre prendevano posto nella tribuna riservata alle donne, mentre il padre sedeva quasi sempre in prima fila nella grande sala, per ascoltare la lettura della Torah, preceduta dalla professione di fede all’unico Dio: Shemà, Israel, ascolta, Israele.