it IT af AF ar AR hy HY zh-CN ZH-CN en EN tl TL fr FR de DE iw IW ja JA pl PL pt PT ro RO ru RU es ES sw SW
×

Warning

JUser: :_load: Unable to load user with ID: 62

Wednesday, 21 December 2011 10:48

Amare Dio è saper guardare negli occhi i fratelli Featured

Rate this item
(0 votes)

di Gianni Gennari

Proseguiamo il cammino orientato a conoscere la nostra fede, fondata sul Primo e sul Nuovo Testamento ed espressa nel Credo dai tempi della Chiesa apostolica. Nella Bibbia a poco a poco, adattandosi alla capacità degli uomini, da Abramo in poi, fino a Mosé, ai Profeti, e infine agli Apostoli è arrivato l’annuncio pieno della salvezza in Gesù Cristo. Siamo giunti, la volta scorsa, a scoprire che nella rivelazione biblica antica, da Abramo appunto ai profeti l’unico modo per conoscere Dio non è guardare in alto, ma riconoscerne con i fatti la vera immagine nell’uomo fratello ascoltando la Sua voce che nelle “Dieci Parole” ha chiesto proprio questo. Dio è “conosciuto” – ci dicono i profeti, anche se la nostra sensibilità non è ancora forse abituata a capire bene la novità della loro parola – solo se è “riconosciuto” nel fratello. I Comandamenti, dal terzo in poi – lo abbiamo visto fino qui – parlano solo del nostro rapporto con gli altri uomini…

Prima conseguenza: il vero culto gradito a Dio

 

Di qui – ma questo non dovrebbe sorprenderci – nella Scrittura, Primo e Nuovo Testamento, c’è un modo davvero nuovo, e unico in tutta la storia del fenomeno religioso, di vedere il rapporto tra la vera fede e il vero culto. La “rivelazione” dice che dove non c’è il riconoscimento di Dio nel fratello lo stesso Dio rifiuta ogni culto. Dove quindi non c’è giustizia e diritto, il vero culto rivolto al vero unico Dio, Dio di Abramo, Isacco e di Giacobbe, Dio dei Profeti che annunciano l’avvento del Messia non può avere spazio alcuno.
Culto? Nella visione tradizionale di tutte le religioni parlare di culto significa evocare una realtà che ha un nome preciso: sacrificio…
A questo proposito, quasi tra parentesi, vale la pena di ricordare che persiste forte, anche dove meno te lo aspetti, anche nella mente di tanti uomini che pure si dicono colti e informati, un grave malinteso sul cosiddetto “sacrificio di Isacco” da parte di Abramo (Gen. 22). Grandi scandali, di solito, quando si ricorda questa pagina biblica. Anche in un libro recente di grande diffusione capita di leggere che l’Autore, Vito Mancuso, ammonisce il figlio che quel passo della Bibbia è disumano e non va preso sul serio, è il segno della barbarie che si inserisce anche nella religione ebraico cristiana… A prima vista forse può apparire un pensiero giusto. Ma se si vuol parlare seriamente la verità del testo biblico letto con il rigore necessario è esattamente opposta. Quel passo della Genesi, in contraddizione con tutte le tradizioni religiose antiche, è l’annuncio che il Dio di Abramo non chiede più, come tutti gli altri fino allora, ed anche nella tribù originaria del patriarca, il sacrificio delle realtà più preziose per la vita di un uomo, il figlio primogenito. Era costume drammaticamente diffuso in tutta l’antichità: solo come esempio ricordiamo la storia di Agamennone ed Ifigenia nella grande poesia drammatica greca, e i sacrifici umani riscontrati in tutte le religioni primitive. Certo: il racconto biblico è drammatico. Abramo ordina al figlio di prendere la legna e si avvia.  Lui prende il coltello e porta il fuoco mentre Isacco, che gli cammina accanto, gli fa notare che c’è tutto – coltello, legna e fuoco – ma non c’è la vittima. Abramo ha la morte nel cuore, ma è consapevole che la sua antica religione implica anche questo genere di sacrificio, atto di culto che offriva al “dio” la realtà più preziosa e rispondendo “la vittima la provvederà il Signore, figlio mio!” prepara tutto per il sacrificio con un ultimo atto di quella sua fede primitiva. Ma “il Signore”, ‘questo’ Signore, ferma la mano già pronta. Dunque il racconto biblico segnala la fine dei sacrifici umani, propri di tutte le religioni contemporanee, e annuncia una novità fino allora inaudita. Invece di scandalizzarci, dobbiamo capire che qui avviene come un rovesciamento della religione inventata dai bisogni umani.
E l’annuncio primitivo di un Dio che non chiede sacrifici ma, come abbiamo cominciato a vedere nella scorsa puntata, chiede giustizia e diritto. Ed ecco allora che il profeta Isaia, dopo secoli di esperienza della nuova fede, ci presenta lo sdegno di Dio per un culto che non lo riconosce, perché non lo ascolta veramente, e calpesta le sue “parole” (Haddebarìm”, i comandi del Decalogo”: «Che mi importano tutti i vostri sacrifici?  Sono sazio dei vostri olocausti... Il sangue di tori e di agnelli e di capri io non lo gradisco. Quando venite davanti a me, chi mai vi ha chiesto di venire a calpestare i miei atri? Smettetela di portarmi doni inutili, il loro profumo mi disgusta; noviluni, sabati, assemblee, non sopporto più delitto e solennità.  Odio i vostri noviluni e i vostri pellegrinaggi, con tutto il cuore. Quando stendete la mano per pregare, io chiudo gli occhi. Non vi serve a niente moltiplicare le vostre preghiere, io non vi ascolto, perché le vostre mani sono piene di sangue. Lavatevi, purificatevi, smettete di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate il diritto, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova». (Isaia 1.11-17).
Forse ne siamo ancora sorpresi. Forse non siamo ancora abituati a sentirci ricordare parole simili, ma questa è da 3000 anni cosa scritta e firmata come parola di Dio. E’ ulteriore conferma e conseguenza di quanto visto in precedenza, e cioè la folgorante rivelazione – del tutto nuova – che l’unico modo di conoscere Dio è riconoscerlo nel prossimo, soprattutto nell’oppresso, nell’orfano, nella vedova. Del resto – facendo un passo avanti – sarà la stessa cosa che San Giacomo, nella sua Lettera, annuncerà con quella definizione a prima vista sovversiva della vera religione: “Religione pura e senza macchia davanti a Dio nostro Padre è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro tribolazioni e conservarsi puri da questo mondo” (Giac. 1, 27).

Detto tra noi, senza approfondire subito e qui, la vera “Teologia della liberazione” non l’hanno inventata i  teologi del Sud America, ma l’ha inventata la Bibbia. Noi abbiamo dimenticato per secoli l’istanza liberatoria di tutto l’Antico Testamento confermata nel Nuovo con quella sola definizione della religione che abbiamo appena letto in San Giacomo.
Verso l’annuncio cristiano: conferma e infinito superamento
Questa è, sia pure con tutto un discorso da fare, da precisare, da costruire pensando alla storia di 2000 anni di fede cristiana, l’essenza valida sempre: il Dio da sempre nascosto si “rivela” ed è effettivamente conosciuto solo nel momento in cui regnano giustizia e diritto, compassione e sincerità, amore e misericordia. Ma questo è anche il primo dato della nuova rivelazione del Dio vero, che riassume tutto quello che noi chiamiamo Antico o Primo Testamento, che per noi è appunto la promessa e la premessa di quello “Nuovo”. Questo servirà in sostanza a dare la prova provata, direi materiale, concreta e viva in Gesù di Nazaret: Dio è per grazie identificato all’uomo, Dio lo si trova nell’orfano, Dio è nell’ultimo dei miei fratelli. Nessuna religione ha umanizzato Dio ed ha divinizzato l’uomo come la fede cristiana, nessun uomo ha mai osato dichiararsi Figlio di Dio, una sola cosa con Dio, Dio stesso: solo Gesù di Nazaret. (Giovanni 10, 30 e 38).
Chi ritiene Gesù un grande filosofo, un grande benefattore dell’umanità, ma non crede che lui è “la Via, la verità e la vita” (Giovanni 14,6) ha una visione incompleta della figura del Messia. Provare a delinearne una meno incompleta è il compito del nostro cammino che seguirà, ma mi pare opportuno qui, in conclusione di questo modesto passo, far notare che proprio nel primo scritto del Nuovo Testamento, la prima Lettera ai Tessalonicesi, e proprio nei primi versetti c’è già tutta la nostra fede, c’è tutta la verità di Dio e tutta la verità della nostra fede in Dio, rivelato e donato in Gesù Cristo. C’è la Trinità intera, infatti, e c’è la nostra vita fatta di fede, speranza e amore. Da far leggere a tanti che dicono che la fede cristiana è stata a poco a poco elaborata nei primi secoli dal pensiero filosofico e teologico successivo. Proviamo a leggere: I Tess. 1, 1-6. Non manca niente, ed è il primo testo di tutto il Nuovo Testamento…

Read 3537 times Last modified on Wednesday, 05 February 2014 15:20

Leave a comment

Make sure you enter all the required information, indicated by an asterisk (*). HTML code is not allowed.