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Friday, 27 May 2011 15:14

Il grano dei campi si fa cibo di immortalità Featured

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di Carlo Lapucci

Nel ciclo dell’anno liturgico il Corpus Domini si trova a coronamento della vicenda umana del Redentore: dopo la nascita, la passione e la morte, la resurrezione, l’ascensione al cielo, la Chiesa contempla la sua presenza reale nel mondo riscattato dal peccato e dalla morte, il trionfo del mistero della salvezza e la misteriosa presenza divina nel sacramento dell’Eucaristia.
La festa si celebra 61 giorni dopo la Pasqua, il giovedì dopo la festa della Santissima Trinità (ora spostato alla domenica): seguendo la data mobile del ciclo pasquale può cadere tra il 21 maggio e il 24 giugno, periodo nel quale la natura si trova nel pieno della sua attività ed esprime il massimo di forza, di rigoglio e di bellezza. I fiori e le foglie che hanno riempito le terre stanno lasciando apparire i primi frutti e in particolare il grano, legato simbolicamente e materialmente al mistero dell’Eucaristia, alza le sue spighe e si avvia a imbiondire e ad essere raccolto.

 

I due momenti: il trionfo di Cristo e la grande esplosione vitale della natura s’incontrano in questa festa  che si segnala come la più ricca, sfarzosa, addirittura pomposa tra le celebrazioni liturgiche: si tratta di rendere omaggio e celebrare il Re del mondo nella sua gloria e tutto quanto l’uomo trova a sua disposizione lo pone e lo offre al fine di onorarlo e ringraziarlo. Così tutti, insieme alla natura, alla vegetazione, agli animali sono chiamati all’impegno di celebrare questa festa che ha il suo nucleo nella grande processione eucaristica che attraversa città, terre, paesi tra canti e apparati, archi trionfali, tappeti e piogge di fiori, esposizione di drappi alle finestre e sontuosi paramenti. Nulla è visto di troppo per rendere onore al Salvatore che sotto la specie eucaristica percorre le vie degli uomini.
La celebrazione è la più recente tra le grandi feste religiose: fu istituita nel 1247 per ispirazione della Beata Giuliana di Rétine, veggente e priora del Monastero di Monte Cornelio, presso Liegi (1193-1258). Nel 1208 la Beata ebbe una visione: un disco lunare splendente di luce era segnato in un lato da una zona oscura che indicava come nella liturgia mancava una solennità in onore del SS. Sacramento e a questo doveva essere posto rimedio. Questo trovò ascolto tra i teologi e i religiosi della diocesi, tra cui il Provinciale dei Domenicani Ugo di San Caro, che chiesero al Vescovo Roberto di Thorote di celebrare la festa nella diocesi, cosa che fu accordata e avvenne nel 1246. Fu Ugo di San Caro, divenuto cardinale e legato pontificio nelle Fiandre, a prescrivere nella sua circoscrizione la festa che intanto per sua forza naturale si diffondeva in Europa.
Quando poi Ugo di San Caro divenne papa col nome di Urbano IV nel 1262, provvide a che il Corpus Domini (chiamato inizialmente Festum Eucharistiae) fosse istituito come festa per tutta la Chiesa con la bolla Transiturus de hoc mundo, l’11 agosto 1264.
Tuttavia forse ciò non sarebbe avvenuto tanto presto se l’anno prima non fosse avvenuto il celebre miracolo di Bolsena. È questo il paese di Santa Cristina, martire forse sotto Diocleziano, alla quale è dedicata la Collegiata sotto il cui altar maggiore riposano le sue ossa. Nella Cappella del Miracolo si trova l’Altare di Santa Cristina o delle Quattro Colonne, il cui paliotto si dice sia la pietra sulla quale navigò Santa Cristina nel lago e conserva le impronte dei suoi piedi. Là disse la messa nel 1263 un prete boemo, Pietro da Praga, che si recava a Roma per chiedere perdono delle sue gravi colpe e cercare conforto per la sua incredulità nella transustanziazione del corpo di Cristo nell’ostia. Durante la consacrazione vide proprio l’ostia consacrata sanguinare nelle sue mani. La notizia del fatto ebbe grande risonanza e il papa Urbano IV, che si trovava a Orvieto, volle esaminare personalmente il corporale insanguinato che fece deporre con grande onore in Orvieto dove poi, per custodirlo, venne costruita la grande cattedrale.
Pare che sia stato questo miracolo a eliminare le esitazioni del pontefice e a deciderlo a istituire la festa. Comunque anche se né la bolla di istituzione né altri documenti ufficiali fanno un collegamento tra i due fatti, non si nega da nessuno che l’evento fu molto considerato dal papa e certamente ebbe importanza nella sua decisione.
La stessa incertezza documentale, ma con una forte propensione per la conclusione affermativa, si ha per l’attribuzione a S. Tommaso d’Aquino dell’ufficiatura della festa, che è una delle più belle e più profonde che si abbiano. Il Santo si trovava a Viterbo quando fu dichiarata la festa come ufficiale e faceva parte degli studiosi che stavano intorno a Urbano IV.
Anche qui i documenti degli anni vicini tacciono, ma è quasi unanime l’affermazione di quelli degli anni immediatamente successivi, tra l’altro la testimonianza di Fra Tolomeo da Lucca che fu suo confessore. Probabilmente ci saranno stati canti e composizioni precedenti ripresi o rimaneggiati, ma il fatto è che i testi mostrano una splendida forma letteraria, una dottrina non comune, una profondità di conoscenze sul mistero eucaristico che si possono attribuire a San Tommaso, come i tre inni Pange lingua gloriosi, Sacris solemnis juncta sint gaudia e Verbum supernum prodiens, senza dimenticare la sequenza Lauda, Sion, Salvatorem, forse di altra mano.
A questo splendore si unisce quello delle tradizioni che riguardano soprattutto la grande processione che nacque spontaneamente dal popolo, senza che vi siano stati stimoli o documenti delle gerarchie, anche se dopo è stata regolata. Diffusa in tutta Europa la processione era un tempo, e si è mantenuta tale tuttora in certe località, funzione che occupava pressoché l’intera giornata: l’itinerario era lunghissimo ed erano previste non brevi soste nei luoghi di rilevanza religiosa come chiese, cappelle, luoghi di memorie, dove si benediceva il popolo, si facevano omaggi al SS. Sacramento, con canti, discorsi, piogge di fiori, perfino azioni drammatiche. Naturalmente i paramenti erano i più ricchi, gli addobbi sfarzosi, gli apparati al limite di quanto poteva la comunità.
A questo contribuivano le Confraternite del SS. Sacramento sorte soprattutto nel secolo XIV. Col tempo venne anche l’uso, come nelle Rogazioni, di benedire le campagne e i raccolti durante alcune di queste fermate.
L’elemento che mai mancava era l’infiorata: sia pure modesta o ridotta al semplice spargimento di fiori da parte dei bambini lungo la via della processione, era presente anche nelle manifestazioni di comunità minuscole. In gran parte dell’Italia predomina il fiore della ginestra: splendido nel colore giallo, odorosissimo e abbondante lungo le strade e nei boschi, è veramente il fiore della processione del Corpus Domini.
Dove le comunità erano numerose si infioravano di petali le strade per le quali passava la processione coprendo il selciato con veri tappeti con immagini e ornamenti, spesso disegnati e realizzati con vera arte.
L’usanza, resa difficile nella realizzazione dalla presenza del traffico e altre variazioni dei tempi, continua e spesso è divenuta un’importante manifestazione che collude a volte con i vecchi riti agricoli, altre con le moderne feste dei fiori. Si possono citare moltissime località come Orvieto, Bolsena, Ventimiglia e soprattutto Genzano e Spello dove la manifestazione occupa tutto il paese ben oltre i limiti di tempo intorno alla festività.
È questa una festa che può dirsi all’aperto, profonda nel suo mistero e popolare nelle sue manifestazioni, che abbraccia gli aspetti più diversi della natura e della vita, un giorno di lode al Signore in cui la vita si fa religiosità e la religiosità si fa vita.

 

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