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Le reliquie dell’Evangelista, ritenute tesoro preziosissimo, si conservano a Padova. L’antica tradizione è confermata da ricerche moderne

di Lorenzo Bianchi

Eusebio di Cesarea definisce Luca «antiocheno d’origine [si tratta di Antiochia di Siria, ora in Turchia, ndr], medico per professione, discepolo degli apostoli» (Storia ecclesiastica, III, 4, 6). La tradizione orientale lo conosce anche come il pittore della Madonna. Lo scrittore del terzo Vangelo e degli Atti degli Apostoli probabilmente era un pagano convertito; non conobbe Gesù e fu discepolo di Paolo, che seguì fino al momento del suo martirio a Roma.

Poi le fonti più attendibili (quali sant’Epifanio e san Gregorio Nazianzeno) lo indicano come evangelizzatore di Dalmazia, Gallia, Italia, Macedonia e Acaia. Morì tra la fine del I secolo e i primi decenni del II, all’età di 84 anni, e fu sepolto in Beozia, a Tebe.

Nell’anno 357 l’imperatore Costanzo II
trasferì il suo corpo, insieme a quello dell’apostolo Andrea, a Costantinopoli, nuova capitale dell’Impero, dove l’anno precedente era stato traslato da Efeso il corpo di Timoteo, anch’esso discepolo di Paolo. Quando, verso il 527, Giustiniano riedificò l’Apostoleion (la basilica dei Santi Apostoli in Costantinopoli), furono viste le casse di legno che si era certi contenessero i corpi di Andrea, Luca e Timoteo (ma senza essere aperte, come attesta Procopio di Cesarea).

Nel 586 Gregorio Magno, all’epoca ambasciatore del papa Pelagio II, portò a Roma da Costantinopoli come dono dell’imperatore Maurizio Tiberio la testa di san Luca, ora conservata in Vaticano: ma le analisi scientifiche e la datazione al radiocarbonio 14, compiute nel 1999, hanno dimostrato che si tratta di una falsa reliquia, poiché la sua origine non risulta anteriore al V secolo.

Dopo secoli di silenzio, altre fonti sulle reliquie di Luca compaiono in pieno Medioevo. Riferisce un testo della fine del XII secolo che il 14 aprile dell’anno 1177, nell’area cimiteriale presso la basilica di santa Giustina a Padova, fu rinvenuta la cassa di piombo contenente le reliquie dell’evangelista Luca. Una tradizione medievale successiva, che sembra emergere nella seconda metà del XIII secolo, aggiunge che la traslazione dall’Apostoleion di Costantinopoli sarebbe avvenuta a opera del sacerdote Urio per sottrarre le reliquie al pericolo che l’imperatore Giuliano l’Apostata (361-363) le distruggesse.

Al XV secolo risale poi una disputa sulla autenticità delle reliquie di san Luca: dopo una ricognizione compiuta da un’apposita commissione, nel 1463 Padova vinse un processo nei confronti della vicina Venezia, che sosteneva di possedere le vere reliquie dell’evangelista. Un’apertura della cassa di Padova era già avvenuta prima, nel 1354, quando il capo dello scheletro fu portato dall’imperatore Carlo IV nella cattedrale di San Vito a Praga, dove tuttora è conservato; e un’altra avvenne nel 1562, quando l’arca in Santa Giustina che dal 1313 conteneva le reliquie fu rimodellata e spostata nel transetto di sinistra della chiesa, dove oggi si trova.

Se il Martirologio Romano dal 1583 (e fino alla riforma dell’ultimo Concilio) accoglie la notizia della traslazione del corpo di san Luca da Costantinopoli a Padova, la critica moderna ha spesso mostrato scetticismo di fronte a una tradizione così tarda. Ma negli anni scorsi la richiesta di una reliquia di Luca, fatta dal locale vescovo ortodosso per ricollocarla a Tebe, nel sarcofago che la tradizione orientale considera il luogo della sua prima deposizione, è stata motivo di un’accurata indagine compiuta da una commissione scientifica dal 1998 al 2001.

È stata dunque riaperta la cassa e riesaminato il contenuto, consistente in uno scheletro privo del capo, deposto in una cassa di piombo lunga quasi due metri, forata sul fondo in tre diversi punti. L’unico segno distintivo antico che appare è un rilievo sull’esterno di uno dei lati corti della cassa, una specie di stella a otto punte. Cassa e contenuto hanno certamente subito modifiche a causa delle varie ricognizioni (ad esempio, il coperchio è di epoca rinascimentale), ma questo non ha impedito di ottenere dei dati autentici e valutabili in rapporto alla tradizione antica. Si è dunque potuto stabilire che lo scheletro di Padova appartiene a un uomo anziano, alto circa 163 cm, e che la cassa è quella della sua originaria sepoltura; le analisi del radiocarbonio 14 hanno fornito per le ossa una datazione probabile tra la seconda metà del I secolo d.C. e l’inizio del V, con la massima probabilità tra il II e il IV; è stato confermato che il cranio trasferito nel 1354 a Praga è quello dello scheletro di Padova. Lo studio del DNA ha escluso un’origine greca, mentre l’origine siriana, anche se non l’unica possibile, risulta la maggiormente probabile.

Altre analisi fisiche hanno stabilito con certezza che cassa e reliquie si trovavano a Padova già verso il V-VI secolo, restando esclusa in tal modo ogni ipotesi di traslazione in epoca medievale; l’indagine dei pollini ha inoltre indicato come area di provenienza la sola Grecia. In più, lo studio archeologico ha permesso di identificare la stella a otto punte, presente sulla cassa, come una combinazione di due croci, con otto terminazioni: una figura nota anche in ambito giudeo-cristiano (appare già negli ossuari della Palestina del I-II secolo) a significare la nuova vita in Cristo.

Dunque le recenti indagini scientifiche hanno avvalorato la tesi dell’autenticità delle reliquie custodite a Padova, e la loro provenienza dall’Oriente (e in particolare dalla Grecia) in un periodo anteriore al VI secolo. Dal 2000 una costola di san Luca evangelista è ritornata a Tebe, nel sarcofago che probabilmente accolse la sua prima sepoltura. 

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