A Calcutta la Giornata Mondiale del Malato 2020
di Angelo Forti
Gesù in questa giornata mondiale del malato invita tutti alla sorgente della gioia, infatti, quest’anno, lo slogan è un versetto del Vangelo di Matteo dove Gesù dice: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi ed oppressi, ed io vi darò ristoro». Come sede della Giornata di quest’anno è stata scelta la città di Calcutta, palcoscenico di un’eroica carità cristiana testimoniata e vissuta da Madre Teresa.
Il romanziere Dominique Lapierre nel suo libro La città della gioia descrive una sua esperienza vissuta in una bidonville di Calcutta.
Lapierre, che ha vissuto con Madre Teresa un’eccezionale esperienza di servizio a quella popolazione, è rimasto colpito dal modo di vivere degli abitanti di questo quartiere poverissimo di Calcutta. Questa popolazione pur vivendo di nulla, in una povertà estrema, ringraziava Dio per quel poco che aveva – a volte era solo il respiro per respirare! – e mostrassero una serenità straordinaria.
Dominique Lapierre ha dichiarato di aver cambiato il nome dei personaggi nel romanzo ma la sostanza dei fatti narrati corrispondono alla realtà e Madre Teresa è la protagonista.
Il suo cuore, le sue mani, infatti, hanno disegnato questa cattedrale dell’amore nella quale tutti si sentono amati e cantano la gioia di vivere.
In vita Madre Teresa aveva scritto che «Se mai diventerò santa, andando in paradiso, sarò di sicuro una santa dell’oscurità. Sarò continuamente assente dal Paradiso, andrò in giro per accendere la luce a coloro che vivono nell’oscurità».
È stato detto giustamente che «se la luce è uguale per tutti, la notte è sempre diversa per ciascuno di noi» Nel corso della malattia, sempre e comunque, scende su di noi l’ombra della paura, la stanchezza si fa compagna di viaggio e la sosta nella smarita solitudine si fa invocazione. Comunque, è esperienza di vita che chi desidera conoscere il senso del vivere, deve farsi alleato del suo dolore per uscirne rigenerato in meglio. Infatti ogni sofferenza nasconde un germe di benedizione che dovremmo tentare di abbracciare per far rivelare il frutto della benedizione che Dio ha racchiuso in quel guscio di sofferenza.
Il versetto di Gesù: «Venite a me» è rivolto in particolare a chi si sente un rottame nella vita, a chi è stanco; tuttavia, può essere letto come la voce dello stesso malato che desidera vicinanza, solidarietà, compagnia e condivisione.
In un ambito familiare la sofferenza coinvolge correttamente non solo i parenti, ma anche gli operatori sanitari come samaritani di un benessere fisico ma anche psichico.
A ben vedere anche la preghiera che, nel silenzio della notte, nasce sulle labbra è la ricerca di una scialuppa di salvataggio che porti il sofferente sulla terra ferma dove trovare una relazione.
Nella “città della gioia” Madre Teresa non aspettava che le portassero gli ammalati, ma lei stessa pellegrinava per gli slam alla ricerca di solitudini da riempire, lacrime da asciugare e ferite da medicare e morenti da consegnare all’eternità del buon Dio.
Si racconta che una sera madre Teresa portando con fatica una donna consumata dal male nel suo ricovero per la notte. Arriva in quel ricovero samaritano, le procurò un letto, la pulì, le fasciò le ferite e prima del saluto di congedo, quella donna le fece un cenno: voleva parlarle. Con un fil di voce le chiese: «Perché hai fatto tutto questo?». Madre Teresa amorevolmente le rispose: «Perché ti voglio bene». Gli occhi di quella povera donna si illuminarono di gioia disse: «Ripetimelo ancora». Forse, nessuno prima di Madre Teresa ha avuto una parola così necessaria per vivere,
L’invito di Gesù ad avvicinarsi a lui per godere il calore del suo amore, ci spinge ad essere come buoni samaritani nei sentieri faticosi della sofferenza per far sentire che Dio è Padre di tutti e Gesù lo dimostra.