di Vito Viganò
Ho steso questo scritto all’ospedale, dopo una operazione al cervello. Ho pensato che era il momento più appropriato. E non solo per vedere se sapevo ancora maneggiare una matita. Da vecchio in buona salute, uno svenimento, una caduta con trauma cranico, una emorragia interna, nel giro di pochi giorni mi sono trovato incapace di tenermi dritto e di muovermi. Son cose che succedono più facilmente nella vecchiaia. E sono solo da accettare. Ho fatto l’esperienza di quanto è impegnativo.
Sembra ovvio, non se ne può fare a meno. Gli anni si accumulano e, magari un po’ troppo in fretta, ci si trova anziani, vecchi. Il rendersi conto non sempre porta a un giudizioso accettare l’età avanzata, così da viverla con dignità e gusto. E, tra le fasi dell’esistenza, la vecchiaia può risultare la più delicata a volerla vivere bene.
La psicologia, scienza giovane, ha già prodotto una varietà di pratiche per la cura dei problemi umani. Metodologie così diverse hanno motivato confronti e verifiche, per individuare una terapia più efficace tra tutte. Nessuna ha meritato tale distinzione. Un risultato interessante dei confronti è stato l’evidenziarsi, in ogni pratica terapeutica, di un punto di partenza considerato indispensabile: l’atteggiamento di accettazione del proprio guaio.
Vanno prese le persone per quel che sono, senza pretenderle diverse, per averne complicità, alleanze e intese.
Perché vecchiaia vuol dire declino. Si riducono le risorse vitali, il fisico denuncia i danni dell’uso e degli abusi praticati. Il mentale si salva ancora, grazie all’esperienza di una vita, se le condizioni fisiche sono risparmiate da tristi malattie del cervello, più frequenti nell’anziano.
Gradualmente si è esclusi dai tanti ruoli del vivere sociale in cui ci si è spesi e in cui ci si è identificati. Viene intaccata perfino l’autonomia, con penose dipendenze dalla buona volontà di altri.
Se ne farebbe volentieri a meno, ma la vecchiaia si impone: è la realtà. Accettarla vuol dire che la si accoglie, le si assegna il posto che merita, dentro di sé. Ci si rende conto dunque di quel che comporta e lo si tiene in considerazione, ci si adegua. Si ha la saggezza di mettere il cuore in pace per quel che non è più disponibile, senza inutili forme di rifiuto, di negazione, di giovanilismi illusori e penosi.
Accettare vuol dire soprattutto vivere, procurarsi ancora il gusto dell’esistenza. Si hanno preziose energie vitali, si dispone forse di più tempo, si hanno interessi da coltivare. Vivere con dignità la vecchiaia è proprio l’opposto di ogni atteggiamento di passività, rassegnazione, rimpianti deprimenti. Si assume il ruolo che la realtà cronologica assegna, ci si identifica, se ne rispettano le condizioni, senza pretendere di restare incollati ad altri ruoli non più realistici.