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Dopo la visita di papa Francesco al carcere minorile di Roma, è nata un’iniziativa per dare lavoro ai giovani detenuti. C’è bisogno di garantire loro un guadagno, ma soprattutto di farli sentire utili

di Alba Arcuri

è un punto di inizio che segna l’esperienza del pastificio nel carcere minorile di Casal del Marmo, a Roma. È la visita di papa Francesco il Giovedì santo del 2013, per la lavanda dei piedi con i giovani detenuti. «In quell’occasione – racconta Alberto Mochi Onori, responsabile della ONLUS Gustolibero che ha dato vita all’iniziativa – il Papa chiese al cappellano, padre Gaetano Greco, di fare qualcosa per dare un’altra opportunità a questi ragazzi».

Padre Greco aveva già costruito una casa-famiglia per ospitare i minori provenienti dall’area penale e per i quali non era prevista la detenzione. Ma si era presto reso conto che senza un’opportunità lavorativa, cioè senza una vera alternativa, sarebbero presto stati risucchiati nel loro mondo e forse tornati a delinquere.

Alberto Mochi Onori ricorda i primi passi di questa esperienza: un vero e proprio pastificio all’interno dell’istituto di pena, che sta dando lavoro a tanti ragazzi. Alberto ricorda che lui stesso ha cominciato a fare il volontario in carcere quando aveva appena diciotto anni, dopo l’incontro con padre Gaetano. L’incontro che in qualche modo ha segnato il suo destino.

In quegli anni, cioè nel 2015, la legge era cambiata: si concedeva la possibilità anche ai giovani adulti, dai ventuno ai venticinque anni, di finire di scontare la pena nelle carceri minorili per reati commessi quando erano minorenni. Questo comportava un aumento dei detenuti negli istituti per minori, e dunque l’esigenza di prepararli per un lavoro, a un mestiere per il “dopo”.

«All’interno del carcere – racconta il responsabile della cooperativa – c’era una palazzina ormai in disuso, perché da lì i giovani detenuti avevano organizzato delle evasioni. L’amministrazione carceraria ce la concesse in uso. L’idea di padre Gaetano era di creare una attività produttiva “semplice”. La pasta faceva al caso nostro. Ci abbiamo messo un bel po’ per realizzare il tutto: permessi, raccolta fondi, mutuo bancario. Finalmente nel 2021 abbiamo firmato il contratto per iniziare i lavori. La palazzina andava buttata giù e ricostruita. Ma è stato un bene: questo ci ha consentito di realizzare una struttura professionale, il Pastificio Futuro. Nel 2023 la struttura era pronta: cinquecento metri quadri, macchinari professionali, quattro essiccatori».

«Ora siamo finalmente attivi e pronti per la grande distribuzione – continua Mochi Onori – siamo in grado di produrre una tonnellata e mezza o due al giorno, dando lavoro a una ventina di persone».  Non solo dunque detenuti, ma anche minori che non scontano la pena in regime carcerario, ovvero i “messi alla prova” (a Roma sono 1500). L’inaugurazione ufficiale del pastificio è avvenuta il 10 novembre 2023. Alberto mostra i pacchi di pasta ruvida. Ne descrive le qualità, la scelta delle farine italiane, perché ci tiene a precisarlo: «Non chiediamo beneficenza. Volevamo che la pasta fosse buona!». 

A distanza di dieci anni dalla sua prima visita, papa Francesco è tornato a visitare Casal del Marmo, a lavare i piedi, nel Giovedì santo, a quei giovani detenuti. È stato il primo a ricevere un pacco di pasta prodotto dal Pastificio Futuro. «Durante la Messa, a cui anche io ho partecipato – ricorda Alberto – ha detto a questi ragazzi che se sono caduti, hanno diritto a sollevarsi e a riappropriarsi della vita. Ha detto loro di non lasciarsi rubare la speranza. Noi abbiamo cercato di fare nostro questo monito. Non è semplice: non tutti i ragazzi a cui è data un’opportunità riescono a coglierla. Pensate a un giovane che esce dal carcere, uno straniero, uno che non ha niente, qui. Ma una seconda possibilità bisogna dargliela».

I ragazzi percepiscono uno stipendio, proporzionato alle ore lavorate. Particolare importante per far capire loro che c’è un “altro” modo per portare i soldi a casa. Non ci sono sovvenzioni esterne, quindi gli stipendi vengono pagati con gli introiti della vendita della pasta. Attualmente i ragazzi impiegati sono meno di una decina, poi ci sono i tutor esterni, che in alcuni casi sono ex detenuti minorenni che, una volta pagato il debito con la giustizia, hanno deciso di fare del pastificio il proprio lavoro.

Oggi la struttura, anche se adiacente al carcere, ha un ingresso esterno sul muro di cinta. E non solo per motivi di sicurezza; i ragazzi detenuti escono dall’istituto di pena, percorrono un tratto di strada ed entrano nel pastificio dall’unico ingresso. Un’esperienza di lavoro “esterno” dunque, che si sposa col monito di Francesco: no alla cultura dello scarto, e che risponde a uno degli obiettivi del regime di detenzione: quello della rieducazione e del reinserimento sociale.

Risultato mai scontato! Ci vuole responsabilità e puntualità da parte dei ragazzi: quello nel pastificio è un lavoro di tre o quattro ore che non ammette ritardi.  E poi vanno rispettati gli impegni presi con il giudice (per esempio il dovere di firma, quando si tratta di giovani che scontano la pena fuori dal carcere). «Uno di questi nostri giovani – racconta Alberto – dopo un periodo fuori dal carcere, è rientrato perché non era stato in grado di assolvere agli obblighi prescritti dal giudice.  Quando l’ho rivisto “dentro” – spiega Alberto – ovviamente c’è stata una certa delusione. Ho spiegato a questo ragazzo che davvero non potevo fare più nulla per lui. Nonostante il fallimento, sapete che mi ha detto? Che i sette mesi trascorsi in carcere a lavorare nel pastificio erano stati i più belli della sua vita. Che aveva imparato qualcosa ed era stato utile a qualcuno».

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