Realizzata nel dopoguerra,
la vetrata dell’Epifania mostra uno stile
semplice e moderno
don Lorenzo Cappelletti
La vetrata che segue quella della “Circoncisione di Gesù”, ovverosia del “Nome di Gesù” (ma la cui iconografia richiama pure la “Presentazione al Tempio”: cfr. La Santa Crociata in onore di San Giuseppe 6/2022, pag. 20-21), raffigura la “Visita dei Magi”, o, se si vuole, l’“Epifania”.
Questa collocazione si comprende tenendo conto che, nel calendario liturgico vigente fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, la festa dell’Epifania (6 gennaio) seguiva quella del Nome di Gesù (1 gennaio).Questa vetrata, peraltro, fu realizzata — come ricorda la targa di dedica: in memoria di Guendalina Cappelli a[nno] D[omini] 1953 — proprio quando Pio XII, all’inizio di quel decennio, stava cominciando ad apportare qualche ritocco al calendario liturgico.
Le dimensioni (cm 362 x 136), nonché la cornice “a grottesche” che la inquadra, intendono giustamente assimilarla alle vetrate precedenti; e anche i colori degli abiti di Maria e Giuseppe non si distaccano da quelli usati in precedenza. Ma non c’è bisogno di leggere la data della dedica per capire che questa vetrata non fa più parte del gruppo delle vetrate degli anni Trenta. Lo si capisce subito dallo stile usato. Non tanto nella parte bassa, dove compaiono i tre Magi recanti oro (in uno scrigno aperto), incenso e mirra (in altri due scrigni chiusi), quanto nella parte alta della vetrata,dove le figure di Gesù, Giuseppe e Maria sono collocate entro uno sfondo fatto di spicchi geometrizzanti che riprendono i colori delle loro vesti. Cominciamo proprio dallo sfondo, che è un elemento quanto mai significativo, in questo caso, per cogliere il mutamento di stile. Ci accorgiamo, infatti, che esso non rappresenta più in forma descrittiva un luogo, ma colloca Gesù, Giuseppe e Maria in un contesto che potremmo definire astratto. È scomparso in queste figure anche il dolce grafismo neorinascimentale degli anni Trenta ed esse appaiono con tratti più severi e angolosi, più moderne e asciutte. I loro gesti e le loro posizioni, poi, assumono un accentuato carattere didascalico — questa è probabilmente la ragione della presenza in alto di un serafino rivolto verso Gesù e non della stella del racconto evangelico (cfr. Mt 2, 2-10) — che peraltro non risulta pienamente convincente anche per altri motivi. Infatti, se Giuseppe, che allarga le braccia in atto di ricevere, è presentato in funzione di accolito a cui sono consegnati materialmente i doni, se Gesù, che apre il palmo della mano destra ed è segnalato con l’indice da Maria, appare giustamente come colui a cui i doni sono indirizzati, la posizione di Maria genera qualche perplessità in chi osserva. Infatti Maria, collocata com’è più in alto e con una specie di pilastro di color ocra scuro alle sue spalle che ne evidenzia la figura, nonostante il gesto della mano sinistra con cui indica Gesù, prende talmente il centro della scena da far apparire gli altri personaggi quasi come un contorno, dando a tutta prima l’impressione che si sia di fronte a un mistero squisitamente mariano.
Come dicevamo più sopra, i Magi sono tratteggiati invece in forme e posizioni tradizionali: i loro sguardi e i loro gesti di offerta dal basso verso l’alto; i loro sgargianti abiti di diversa foggia e colore; i loro fantasiosi copricapi regali; la stessa fisionomia dei loro volti (uno barbuto, uno che emerge da lunghi capelli biondastri, uno negroide) ce li presentano secondo l’usuale favolistica caratterizzazione che hanno ricevuto in prosieguo di tempo e che s’incontra comunemente nel presepe.
Non sappiamo chi sia stato l’artista né la ditta che realizzò questa vetrata. Tutto quello che sappiamo è che essa, come si legge in un profilo di don Giuseppe Preatoni (L. Brazzoli, I Servi della Carità. Profili biografici (1890-1990), Roma 1993, pag. 249-251), fa parte dei «molti interventi edilizi operati nel Tempio» (ivi, pag. 250) da questo sacerdote guanelliano durante la sua ventennale direzione (1936-1955) della Pia Unione del Transito di San Giuseppe, risultando una delle «numerose vetrate artistiche» (ivi) fatte realizzare da lui. Quali potrebbero essere state le altre risulta difficile stabilirlo in assenza di documentazione scritta e di precisa datazione di eventuali ulteriori vetrate di questo periodo. Si potrebbe giusto ipotizzare che una di queste “numerose vetrate artistiche” sia la vetrata di dimensioni più piccole
(220 x 130) e di stile più moderno, rispetto alle altre della navata sinistra, sovrastante l’attuale piccola cappella che s’incontra all’ingresso in Basilica sulla sinistra. Ipotesi corroborata dal fatto che, fra gli interventi edilizi realizzati nella Basilica di S. Giuseppe al Trionfale a cura di don Preatoni, è esplicitamente citato «il battistero» (ivi), che era ospitato, fino alla sua collocazione nel presbiterio, proprio in quella piccola cappella ora dedicata a san Giuseppe, sopra la quale sta la vetrata di dimensioni più piccole, da noi illustrata ne La Santa Crociata in onore di San Giuseppe 2/2022, pag. 25-26.